19/03/2009, 00.00
CINA
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Un soldato parla del massacro di Tiananmen

Doveva “liberare la piazza”. Ora invita il governo a ripristinare la verità. Il medico Jiang Yangyong, che quella notte assisté feriti e moribondi, da anni si batte perché sia fatta giustizia ai molti morti.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – “Il mio spirito è ancora bloccato là alla notte del 3 giugno”. L’ex soldato cinese Zhang Shijun ricorda quando, la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, il suo reparto partecipò al massacro di migliaia di pacifici dimostranti in piazza Tiananmen. E denuncia che dopo vent’anni ancora la Cina ha paura persino di parlarne.

All’agenzia Associated Press, Zhang racconta che aveva circa 20 anni quando il suo corpo, la 162ma divisione di fanteria motorizzata del 54° Gruppo dell’Esercito cinese di stanza ad Anyang, il 20 aprile 1989 fu mandato a Pechino. Per giorni sono rimasti accampati nella periferia sudoccidentale. Il 3 giugno giunse l’ordine: entrare nella piazza e liberarla.

Zhang dice che fungeva da medico, che quella notte non era armato, che la sua 162ma divisione della 54ma armata si limitò a costituire un cordone intorno a piazza Tiananmen e non si macchiò dell’uccisione delle migliaia di civili disarmati, morti che molti attribuiscono invece al 27° e al 38° Gruppo. Ma non vuole raccontare “quelle scene orrende”. Anche per timore di rappresaglie.

Dopo quella sera Zhang ha chiesto di essere congedato al più presto. Tornato alla sua Tengzhou, dove ancora vive, si è occupato anche di politica. Il 14 marzo 1992 è stato arrestato e poi condannato a 3 anni di rieducazione-tramite-lavoro per reati politici. Nella sua casa la polizia ha sequestrato ogni scritto, compresi i suoi diari sul massacro.

Da allora ha mandato 10 lettere al presidente Hu Jintao chiedendo di fare piena luce su quella notte. Dice che “la responsabilità non può cadere solo sui militari. E’ una responsabilità di tutti i cinesi”. In una lettera aperta inviata il 6 marzo al presidente Hu ricorda che “personale di sicurezza assaltò illegalmente e annientò giovani patrioti in nome del Paese… A tutt’oggi nessuno nel governo ha osato affrontare questo… o fare indagini”.  E chiede di mantenere la promessa di “restituire il potere al popolo”.

Dopo 20 anni ancora il Paese non osa parlare di quella notte. C’è chi dice che fu ucciso chiunque fosse nella piazza e che furono trucidati persino i feriti. Ha provato a parlarne il medico Jiang Yangyong, presso il cui ospedale quella notte sono stati portati 89 feriti da arma da fuoco. In 2 lettere inviate nel 2004 al governo, ha accusato i militari di avere usato “pallottole esplosive”, vietate dalle convenzioni internazionali, come ha constatato dalle ferite. Ha accusato il governo di aver mandato contro gli studenti soldati presi da regioni lontane, tenuti del tutto ignari della situazione, ai quali era stato fatto credere di dover stroncare una sommossa di pericolosi “controrivoluzionari”. Ha denunciato che quella notte l’esercito ha sparato a chiunque fosse nella zona, anche solo giovani incoscienti e curiosi. Ha chiesto serie indagini su quelle morti. Per questo il 1° giugno 2004 egli è stato prelevato dalla polizia e tenuto in un ostello dell’esercito, sottoposto per mesi a interrogatori e “sessioni di studio” per “comprendere e correggere” i suoi “errori”. Poi è stato messo sotto inchiesta per “aver creato voci che demonizzano il Partito e lo Stato”.

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