28/06/2022, 12.50
IRAQ
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Una diga minaccia di sommergere l’antica Ashur, roccaforte assira

Edificata sulle rive del Tigri 5mila anni fa, la città ha resistito all’invasione babilonese e all’ascesa dello Stato islamico. I miliziani hanno distrutto il 70% della porta di Tabira. Archeologi ed esperti avvertono dei pericoli legati alla realizzazione dell’impianto. Si rischiano fino a 250mila nuovi sfollati. 

Baghdad (AsiaNews) - Scampata alla follia devastatrice dello Stato islamico (SI, ex Isis), ora l’antica città di Ashur, edificata oltre 5mila anni fa sulle sponde del fiume Tigri in quello che è oggi l’attuale Iraq, rischia di scomparire sommersa da una diga in costruzione. La riapertura del sito archeologico e dell’area risale a poco più di due mesi fa, condita da balli e canti in abiti tradizionali, per celebrare quella che un tempo era base e roccaforte dell’impero assiro che si estendeva in Mesopotamia e Anatolia (abbracciando i territori che oggi compongono Egitto, Turchia, Israele, Giordania, Libano e Siria).

Poco prima dell’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, Ashur è stata designata patrimonio mondiale Unesco. Nel corso della sua storia la città ha conosciuto due grandi momenti di criticità: l’invasione delle forze babilonesi 600 anni prima della nascita di Cristo, per mano di Iside; poi, nel 2015, con l’ascesa dell’Isis nel nord dell’Iraq. Al centro si trova la porta di Tabira, un monumento composto da tre archi che funge da simbolo ed elemento storico. Si tratta, sottolinea Tobin Hartnell, direttore del Centro per l’archeologia e il patrimonio culturale dell’Università americana d’Iraq-Sulaimani (AUIS), “dell’unica porta fra il santuario principale degli dei nel cuore della città [Ina libbi] e i giardini di Ishtar (bit akītu), dea della guerra e della fertilità”.

Nel maggio 2015 lo Stato islamico ha pubblicato un video che mostrava alcuni dei suoi membri che cercavano di ridurre la porta in macerie, danneggiando circa il 70% della struttura; gran parte dell’opera è preda dell’erosione dell’acqua e degli agenti atmosferici. Lo scorso anno Hartnell ha ottenuto fondi per circa 70mila euro dall’alleanza internazionale che si occupa dei patrimoni nelle aree di conflitto, e ne ha scongiurato il crollo imminente. L’attività di restauro è avvenuta in coordinamento con il Consiglio iracheno di Stato per le antichità e il ministero della Cultura, stabilizzando la parte esterna che aveva subito i danni maggiori nell’attacco dell’Isis. Tuttavia, la struttura resta fragile, e senza ulteriori interventi persiste il pericolo di crolli.

I lavori di emergenza diretti da Hartnell hanno consentito che la porta e una parte della città riaprissero ai visitatori il primo aprile, giorno in cui si celebra il nuovo anno assiro. Ciononostante, il suo futuro resta ancora oggi in bilico perché a poco più di 30 km di distanza si trova l’area in cui dovrebbe sorgere la diga di Makhoul, un progetto avanzato in un primo momento dal regime baath di Saddam Hussein nel 2002. Durante gli anni della guerra l’opera è stata accantonata, per tornare con prepotenza alla ribalta nell’ultimo periodo anche a causa dei cambiamenti climatici che stanno prosciugando le riserve idriche a partire dai due grandi corsi d’acqua, il Tigri e l’Eufrate.

Nell’aprile dello scorso anno sono ripresi i lavori di costruzione, con gli escavatori intenti a gettare le basi del serbatoio principale di un’opera imponente che minaccia di inondare Ashur e l’area circostante, provocando al contempo fino a 250mila nuovi sfollati. Khalil Aljbory, archeologo dell’università di Tikrit, ha analizzato a lungo gli effetti della diga nella regione. Egli sottolinea che “l’impatto della costruzione della diga non è stato studiato a sufficienza e finora non vi sono state indagini sulle conseguenze sociali e ambientali”. L’opera, conclude, rischia di provocare “una seconda ondata di sfollati nella regione”.

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