Uttarakhand: giornalista trovato morto, libertà di stampa sempre più a rischio in India
Il corpo di Rajeev Pratap, reporter investigativo di 36 anni, è stato recuperato in un fiume dopo che aveva ricevuto minacce di morte per le sue inchieste sulla corruzione. Intanto il governo Modi rafforza i meccanismi di censura: nuove leggi impediscono la diffusione di notizie ritenute “diffamatorie” contro i conglomerati industriali. Da quasi un anno attiva piattaforma che chiede ai social di rimuovere i contenuti sgraditi al governo, contro cui X sta combattendo una battaglia legale.
New Delhi (AsiaNews) - La libertà di stampa si sta restringendo sempre di più in India e la repressione nei confronti dei giornalisti sta assumendo toni sempre più violenti, come testimonia il drammatico ritrovamento del corpo del giornalista Rajeev Pratap. Il 36enne, che gestiva su YouTube il canale di notizie “Uttarakhand Live”, è stato recuperato in un fiume il 28 settembre.
Pratap era noto per le sue frequenti inchieste sulla corruzione. La sua auto era stata rinvenuta nei pressi del fiume Bhagirathi il 19 settembre, giorno in cui aveva parlato con la moglie per l’ultima volta. Il suo corpo è stato scoperto in un’area a valle, allo sbarramento idroelettrico di Joshiyara.
Muskan, la moglie di Pratap, ha dichiarato che il marito era in ansia dopo aver pubblicato servizi su un ospedale e una scuola nel suo canale YouTube. Diverse persone l’avevano chiamato minacciandolo di morte se non avesse rimosso un video sul consumo di alcol all’interno di un ospedale particolarmente fatiscente dell’Uttarakhand. La moglie è convinta che la morte di Pratap non sia stata incidentale.
Altri cronisti investigativi in India hanno subito lo stesso destino: all’inizio dell’anno, per esempio, il giornalista freelance Mukesh Chandrakar, 28 anni, noto per i suoi reportage sul conflitto maoista in Chhattisgarh e sulla corruzione nei progetti stradali nella regione del Bastar, è stato trovato morto in una fossa settica.
L’India, che occupa il 151° posto su 181 Paesi nell’indice della libertà di stampa, si ritrova con un ambiente mediatico sempre più uniforme anche a causa di una nuova serie di imposizioni legali che impediscono di diffondere informazioni “diffamatorie” nei confronti dei conglomerati economici gestiti da persone vicine al governo del primo ministro Narendra Modi, come Gautam Adani e Mukesh Ambani. Entrambi, negli ultimi 10 anni, hanno acquisito sempre più proprietà mediatiche, soprattutto nel settore televisivo.
Una situazione confermata anche dall’ultimo rapporto sulla libertà di stampa nell’Asia meridionale: “I media, considerati uno dei principali attori della più grande democrazia del mondo, sono stati imbavagliati e sottoposti a una strategia volta a paralizzarli”, si legge nell’introduzione. “Negli ultimi dodici anni, la carta stampata e i media elettronici sono stati piegati dagli interventi del governo e dei proprietari delle aziende”.
Il 6 settembre, un tribunale di Delhi ha emesso un’ingiunzione contro nove giornalisti molto noti in India, vietando loro di pubblicare contenuti ritenuti “non verificati e diffamatori” nei confronti del colosso industriale Adani Enterprises. L’ordinanza ha provocato la rimozione immediata di quasi 140 video su YouTube e oltre 80 post di Instagram, una misura attuata rapidamente dal ministero dell’Informazione e della Radiodiffusione (MIB).
Secondo gli esperti legali, le criticità della sentenza riguardano la natura “ex parte” dell'ingiunzione, emessa cioè in assenza degli imputati e senza che questi avessero la possibilità di difendersi. Tale ordine rischia di fatto di normalizzare la censura preventiva. Inoltre, il provvedimento è stato esteso anche a individui non specificamente nominati nel caso, potendo quindi potenzialmente colpire chiunque, hanno fatto notare alcuni dei giornalisti presi di mira dal provvedimento.
Da tempo, inoltre, il governo indiano ha costretto le principali piattaforme social a rispettare gli ordini di rimozione dei contenuti online che non piacciono all’esecutivo, minacciando di chiudere l’accesso delle piattaforme al mercato indiano, il più grande del mondo. New Delhi utilizza la piattaforma Sahyog, lanciata a ottobre 2024, per inviare avvisi alle aziende tecnologiche e chiedere di nascondere i post che ledono l’immagine del governo. Tali richieste possono essere inoltrate da tutte le agenzie governative federali e statali, e persino dai funzionari distrettuali e alla polizia.
Riguardo questa questione è in corso una battaglia legale tra X (ex Twitter) e il governo indiano. Elon Musk, proprietario della piattaforma che si autodefinisce un difensore della libertà di parola, ha equiparato il sistema a una forma di censura di fatto, mentre Delhi sostiene che il nuovo sistema miri a contrastare i contenuti illeciti.
X, però, nonostante abbia dichiarato la propria preoccupazione per la limitazione della libertà di espressione in India, durante il conflitto tra India e Pakistan scoppiato a inizio maggio, ha bloccato senza che venissero forniti ordini legali o spiegazioni gli account di giornalisti indipendenti che avevano criticato le azioni di Delhi, oltre ai profili di diversi reporter pakistani.
Dopo la sentenza emessa dall’Alta Corte del Karnataka, che ha stabilito che il ricorso contro il portare Sahyong era “privo di fondamento”, Musk ha annunciato che presenterà un ulteriore ricorso.
20/06/2018 14:55