02/07/2007, 00.00
IRAQ
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Vescovi caldei: appello all’unità della Chiesa e del Paese, rifiutando l’ultimo Sinodo

I presuli del nord pubblicano una dichiarazione congiunta in cui indicano le più urgenti necessità della comunità cristiana: sicurezza, emigrazione, educazione e cura pastorale dei profughi. Appello al Vaticano perché annulli l’ultimo Sinodo, che ha portato a conclusioni “deludenti” e ne convochi uno a Roma. A tutti gli iracheni un invito ad impegnarsi per un’autentica riconciliazione; nuovo no alla Piana di Niniveh.

Kirkuk (AsiaNews) – La preoccupazione per la salvezza di tutto il Paese al di là delle differenze religiose e quella per la sopravvivenza della Chiesa in Iraq, hanno spinto i vescovi caldei  del nord a prendere una netta posizione comune sulla tragedia in atto. Un comunicato ufficiale firmato oggi dai 5 presuli suggerisce le questioni “scottanti” che il Patriarcato e la Santa Sede, come pure Baghdad e la comunità internazionale, dovrebbero affrontare per il bene della popolazione e della debole comunità cristiana.  Di seguito il testo integrale in una traduzione a cura di AsiaNews:

Noi, vescovi caldei delle diocesi di Kirku, Erbil, Alqosh, Zakho e Ahmadiyah, dopo aver incontrato i nostri sacerdoti nella cittadina di Ain Sifni, lunedì 2 luglio, e aver dibattuto i recenti sviluppi della situazione ecclesiastica e nazionale e aver spiegato le ragioni per la nostra mancata partecipazione al Sinodo tenuto nel monastero di Nostra Signora vicino Alqosh, dall’ 1 al 6 giugno, pubblichiamo la seguente dichiarazione:

Introduzione

Riguardo agli sviluppi della Chiesa e della situazione attuale dell’Iraq, riteniamo dovere della Chiesa emergere da questa insana condizione per permettere allo Spirito di palesarsi e di operare reali riforme nella sua struttura e missione. Con una visione chiara, senza imbarazzo, senza nascondendosi dietro l’autorità, la liturgia o la tradizione, il rinnovo e l’aggiornamento devono avvenire in modo continuo. Il futuro della nostra Chiesa e la sua forza ed unità dipendono da questo. Le nostre diocesi sono piccole e si basano sull’improvvisazione; miopi considerazioni personalistiche portano alla scelta di persone indegne per ruoli importanti, indebolendo la sua unità, testimonianza, attività pastorale e istituzioni. La riforma e il rinnovamento in una chiara ed oggettiva linea evangelica e lo scopo di aiutare l’unità e a collaborazione, ci rende la migliore fonte di speranza e gioia, non solo per i cristiani, ma per tutti gli iracheni.

La situazione del popolo iracheno e dei cristiani in questi giorni deve essere oggetto di discussione costante tra di noi.

La priorità del lavoro ecclesiale

In diverse lettere individuali e comuni abbiamo pregato Sua Beatitudine il Patriarca (Delly) di affrontare con coraggio le priorità presentate da noi e trovare soluzioni adatte.

Di seguito riportiamo le tematiche:

1 – Studiare la presente situazione dei cristiani in Iraq e prendere una posizione decisa (netta) riguardo a quello che succede nel Paese ed assumere una linea e una politica ufficiale;

2 – Esaminare lo stato dei profughi interni e all’estero e nominare sacerdoti per la  cura pastorale, morale e spirituale di questa gente  piuttosto che inviarli all’estero.

3 – Organizzare la curia patriarcale come richiesto dalle leggi della Chiesa (canone orientale 114-125), i suoi registri, fondi, comitati multilaterali e ufficio stampa;

4 – Per il Seminario ed il Babel College: trovare un posto appropriato ed una direzione che renda gli studenti capaci di rispondere alla loro vocazione e scegliere un direttore spirituale. Il gruppo responsabile del seminario deve essere un modello per i seminaristi nel loro cammino verso il sacerdozio. Per sviluppare e far progredire il Babel College (facoltà di teologia) grazie al quale gli studenti di tutte le Chiese ricevono la loro formazione teologica;

5 – I candidati vescovi: la persona deve avere un’alta spiritualità, una buon reputazione, una solida cultura e apertura; buona esperienza di amministrazione come stabilito dalla Chiesa (can. 180), deve essere scelto con il criterio di Giovanni Paolo II, “Pastores dabo vobis”, e non sulla base di altre considerazioni, come invece abbiamo appreso è successo nell’ultimo Sinodo;

6 – La vita dei sacerdoti: prendersi cura di aggiornare la loro formazione pastorale, culturale e spirituale e garantire loro uno stile di vita dignitoso;

7 – Il tribunale ecclesiastico non ha potuto riunirsi per mesi a causa dell’insicurezza e dell’assenza dei sui membri. Per questo chiediamo la formazione di un tribunale nella zona nord, molti casi aspettano una decisione.

Alcune altre questioni da affrontare sono: studiare programmi di educazione religiosa, la riforma liturgica, l’importanza della presenza cristiana in Iraq e gli sviluppi dell’emigrazione e della regione rimangono ancora in sospeso.

Queste sono le ragioni del nostro boicottaggio del Sinodo ad Alqosh, che avevamo chiesto al Patriarca di posticipare in modo da poter aver tempo di studiare in modo approfondito le questioni sopraelencate. Ma egli ha insistito nel riunirsi subito. Da quello che abbiamo letto su due dichiarazioni ufficiali on-line le decisione sono deludenti: due di noi sono stati nominati al Sinodo permanente senza chiedere il nostro consenso ed il seminario minore sarà trasferito alla diocesi di Alqosh, senza l’approvazione del vescovo!

Preghiamo perché la Santa Sede sospenda questo Sinodo per il bene della nostra Chiesa e convochi un nuovo Sinodo a Roma sotto gli auspici del Santo Padre, e nel quale parteciperemo tutti quanti ed insieme discuteremo di ogni questione in modo aperto. Per preparare questo nuovo Sinodo, specialisti religiosi e laici possono aiutare. L’attuale situazione nazionale ed ecclesiastica rende urgente un tale incontro.

Un appello agli iracheni in generale e ai cristiani in particolare

In questa occasione lanciamo un appello sincero ai nostri fratelli e concittadini iracheni: non arrendetevi all’amara realtà; apritevi gli uni gli altri; affidatevi al linguaggio della ragione e del dialogo come unica via per risolvere i problemi; aderite ai comuni valori umani, nazionali e religiosi. Sotto questa luce scegliamo un nuovo metodo di pensare e di convivere in spirito di responsabilità e fratellanza, liberi dalla paura e dal pregiudizio. Dobbiamo tendere le nostre mani per un’autentica riconciliazione nazionale, vivendo il perdono, costruendo ponti di fiducia per il consolidamento della convivenza, al fine di preservare la madre patria così com’è sempre stata: un mosaico di diverse eredità storiche, culturale, religiose.

Ai nostri fratelli e sorelle cristiani, che soffrono molto di questa caotica situazione, chiediamo di continuare a portare avanti il vostro principale ruolo storico, la promozione del  dialogo e di una cultura di pace e della civiltà dell’amore. Noi speriamo che, con pazienza e saggezza, con preghiera e collaborazione con gli uomini di buona volontà, possiamo migliorare la situazione del momento ““finché sia passato il pericolo” (Salmo 57, 2). Rifiutiamo perciò ogni “Safe Haven” per i cristiani nella piana di Niniveh o altrove, perché tutto l’Iraq è la nostra patria e noi dobbiamo vivere insieme con i nostri concittadini in pace ed armonia. Noi vescovi e sacerdoti della regione del nord vi garantiamo il nostro sostegno e solidarietà: le nostre chiese e centri sono aperti per accogliervi; non risparmieremo nessuno sforzo per aiutarvi. Allo stesso tempo chiediamo ad ognuno di voi di accogliere le famiglie in fuga dalle zone più pericolose e di aiutarle, non chiedendo loro affitti troppo cari, visto che la maggior parte è disoccupata. L’etica cristiana richiede questa assistenza come dice San Paolo: “Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza” (2 Cor 8,14).

Appello alle congregazioni religiose e alle organizzazioni caritatevoli

Lanciamo un appello anche alle congregazioni femminili e maschili della Chiesa cattolica affinché vengano nelle nostre diocesi, dove la sicurezza è ancora buona, a prendersi cura delle esigenze culturali, educative e spirituali degli abitanti e dei nuovi profughi, ad aprire scuole, istituti politecnici, scuole di infermeria …

Chiediamo anche alle organizzazioni caritatevoli cattoliche di aiutare lo sviluppo di questi rifugiati attraverso l’avvio di piccoli progetti agricoli, economici, l’assistenza sanitaria e l’apertura di piccole fabbriche. Questo genere di aiuti fornirà opportunità di lavoro ai residenti e nutrirà la loro speranza facendo in modo che rimangano in Iraq e non emigrino.

 

Petros Harboli, vescovo di Zakho

Rabban Al Qas, vescovo di Amadyia e amministratore di Erbil

Mikhael Mandassi, vescovo di Alqosh

Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk

Andrè Sana, emerito di Kirkuk

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