06/10/2016, 13.26
LIBANO
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Vescovi maroniti: senza presidente e con la crisi il Libano affonda

di Fady Noun

Divisioni e interessi personali mettono in pericolo l’unicità “dell’esperienza libanese”. Aumentano inflazione e debito pubblico. Dal patriarcato maronita l’invito a ritrovare il “compromesso storico” di Taëf. Il sostegno di Hariri (forse) decisivo per la presidenza Aoun. 

 

 

Beirut (AsiaNews) - Riunita nella sede patriarcale di Bkerké, come avviene ogni primo mercoledì del mese, l’assemblea dei vescovi maroniti ha diffuso ieri in via eccezionale un appello al posto di un semplice comunicato. Nel momento in cui l’ex premier Saad Hariri è sul punto di sposare l’opzione Michel Aoun e si delineano le possibilità di quest’ultimo di ambire alla presidenza della Repubblica, i vescovi hanno voluto attirare l’attenzione dei vertici del Paese sulla gravità della situazione politica, economica, sociale, ecologica e morale. Una crisi legata in modo stretto alla vacanza della carica presidenziale, cui bisogna rispondere imprimendo una accelerata con una votazione decisiva per mettere fine a uno stallo perdurante da due anni e cinque mesi. 

L’assemblea ha voluto anche confermare il sostegno a una recente presa di posizione del patriarca maronita, il quale ha criticato la proposta di un “pacchetto di accordo” legato all’elezione del presidente della Repubblica, facendone una questione di “dignità”. A lanciare queste pre-condizioni legate alla scelta del capo di Stato è stato il presidente della Camera Nabih Berry; esse prevedono, fra gli altri, un’intesa volta ad approvare una nuova legge elettorale. 

L’assemblea dei vescovi non si è accontentata di attirare l’attenzione della classe politica sulla gravità della crisi istituzionale, ma ha voluto anche invitarla ad analizzare nel profondo le conseguenze sul piano economico per il Paese. Sul piano politico, invece, l’assemblea ha lanciato un appello per la “riconciliazione nazionale” che riporterebbe il Libano sulla via del “compromesso storico” di Taëf [il trattato inter-libanese che ha messo fine alla guerra civile, ndr]. 

Nel loro appello i vescovi affermano che è “imperativo avviare una riconciliazione nazionale, voltare pagina e operare in direzione del compromesso storico sancito nell’accordo di Taëf”. È necessario, continua il testo, rilanciare il principio di un “vivere in comune in uno Stato inclusivo, e non alle condizioni poste da una parte dei libanesi”. “La riconciliazione serva a restituire i libanesi alla loro amicizia reciproca, lontano dalla politica delle fazioni, sapendo che questo modello di convivenza assume sempre maggiore importanza, in una regione in cui soffia un vento di follia che minaccia tutti”. 

“Dobbiamo dunque - prosegue la nota dell’assemblea dei vescovi - mettere in risalto il carattere unico dell’esperienza libanese, sia in generale sul piano del partenariato islamo-cristiano nella gestione dello Stato, sia sul piano puramente islamico del partenariato fra sunniti e sciiti nella gestione di questo stesso Stato. Ed è qui che si va ad inserire il contributo fornito dal Libano, per estinguere i focolai di divisione confessionale ed eliminare il muro che separa una maggioranza dalle diverse minoranze” presenti sul territorio. 

Vale peraltro la pena ricordare qui che gli sciiti rappresentano anch’essi una minoranza (pari al 18%), rispetto alla maggioranza sunnita. 

Sul piano economico, l’assemblea ha messo in guardia - senza evocare il termine - dall’inflazione che deriva da un budget 2017 troppo ambizioso in termini di spesa; e ha avvertito dei rischi sul piano sociale derivanti da una moltitudine di nuove tasse, paventate di recente dal ministero delle Finanze. Dicastero guidato, peraltro, da una persona assai vicina al presidente della Camera. 

Tra le spese previste, vi sono quelle necessarie a coprire una nuova scala di trattamenti salariali nel pubblico impiego; una mossa osteggiata da diversi esperti di economia e dagli istituti del commercio, che mettono in guardia circa il pericolo di un effetto inflazionistico. 

“La lotta politica - sottolinea la nota dei vescovi - ha provocato un drammatico arretramento dell’economia in tutti i settori, in particolare nell’industria e nell’agricoltura. A ciò si aggiunge il fardello posto dai rifugiati siriani e palestinesi che, tra loro, superano in numero la metà della popolazione libanese. E ancora, gli effetti del vento di cambiamento che soffia nella regione”. 

“I risultati sono ben visibili - aggiunge l’appello - in termini di: mancata crescita economica; aumento della disoccupazione; chiusura di molte imprese commerciali, industriali e turistiche; arretramento delle esportazioni, e aumento della spesa e del numero di funzionari a carico dello Stato; aumento del debito pubblico; abbandono di settori vitali; dilapidazione delle casse, prosciugate da contratti e “bustarelle”; virtuale assenza di qualsiasi responsabilità; emergenza rifiuti con le logiche conseguenze sul piano della salute pubblica; anarchia per fabbriche e industrie che inquinano e snaturano l’ambiente; inquinamento dell’aria, dei fiumi e delle acque sotterranee”. 

Da ultimo, i prelati si chiedono allarmati in base a quale principio “la classe politica si ostina a gravare sull’economia […] a dispetto degli avvertimenti lanciati dagli istituti finanziari internazionali? Come possiamo garantire il fondo necessario al pagamento dei salari e degli stipendi, mentre si allarga la crisi dei rifiuti e peggiorano i debiti?”. “Queste forze politiche - conclude l’assemblea dei vescovi maroniti - sono coscienti dei pericoli insiti in questo nuovo progetto di bilancio, che prevede la creazione di decine di nuove tasse e/o il loro aumento, tanto per le imprese quanto per la popolazione, procedendo in direzione contraria rispetto alle regole economiche che prevedono, in caso di crisi, di stimolare il settore privato e di ridurre i costi di produzione, per favorire gli investimenti, la crescita e la creazione di posti di lavoro?”. 

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