Vicario d’Arabia: cristiani ‘pellegrini di speranza’ in un Golfo ‘via della diplomazia’
In una situazione che nonostante il cessate il fuoco tra Israele e l'Iran resta “preoccupante”, mons. Martinelli ricorda che “non si deve mai abbandonare la possibilità del dialogo”. Il documento sulla Fratellanza “risposta di pace alla violenza”. Le iniziative di preghiera e di amicizia alla Abrahamic Family House sulle orme di san Francesco. Servono luoghi per fare “esperienza di speranza, di pace e di riconciliazione”.
Milano (AsiaNews) - “Non si può rinunciare in alcun modo alla prospettiva della diplomazia. Per quanto la situazione possa essere preoccupante e tesa, non si deve mai abbandonare la possibilità del dialogo tra le parti”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), commentando l’ultimo fronte di guerra fra Israele e Iran. Un’escalation che ha fatto temere per giorni un allargamento su scala regionale - e globale - del conflitto, e che sembra essersi concluso ieri dopo i raid statunitensi e la tregua “imposta” alle parti dal presidente Usa Donald Trump. Nuovo sangue versato mentre a Gaza si continua a morire, nel silenzio e nell’indifferenza della comunità internazionale. “Penso che l’Oman, grazie alla storica capacità di mediazione, potrebbe continuare ad avere un ruolo significativo” afferma il prelato, assieme agli Emirati. Nella lunga intervista il vicario richiama anche l’invito di papa Leone XIV a essere “Chiesa unita per la vita del mondo” che vale ancora di più in una realtà migrante “con lingue, culture, tradizioni e riti diversi […]. Queste realtà ci sono, sono semi di speranza. In un momento come questo, dove la violenza sembra prevalere, abbiamo il compito di essere pellegrini di speranza e di promuovere esperienze di vita buona”.
Di seguito, l’intervista a mons. Martinelli:
Eccellenza, quali sono le reazioni nei Paesi del vicariato, soprattutto gli Emirati, all’attacco di Israele all’Iran e il coinvolgimento degli Stati Uniti? Vi è preoccupazione per l’escalation?
In tutta la regione vi è preoccupazione per quanto sta succedendo in questi giorni. Tuttavia, la situazione negli Emirati e in Oman è di fatto tranquilla e la vita quotidiana, finora, non ha subito restrizioni. Il quadro rimane critico in Yemen, soprattutto nel Nord, dove il conflitto tra Israele e Iran si innesta in una situazione già molto difficile. Infatti, già dall’inizio della guerra fra Israele e Hamas, gli Houthi risultano coinvolti sia colpendo direttamente Israele, sia praticando azioni di disturbo della navigazione nel Mar Rosso. A sua volta lo Yemen è stato colpito in risposta.
Gli Emirati sono cari ai cristiani per il documento sulla “Fratellanza”: in un quadro di conflitto persistente, da Gaza a Teheran, vi è il rischio che questa missione comune possa venire meno?
Il documento sulla Fratellanza Umana ha aperto un nuovo capitolo nella storia delle relazioni tra le religioni, e le attuali gravi difficoltà accentuano l’importanza di quel documento, che oggi appare ancora più importante di quando è stato firmato. Il documento era stato firmato in memoria dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto, Al-Malik al-Kamil. Quell’incontro accadde durante un altro conflitto, le Crociate, e fu una risposta di pace a quella violenza. Il documento firmato ad Abu Dhabi denuncia chiaramente ogni strumentalizzazione della religione.
Perché è ancora attuale e fondamentale?
Oggi più che mai c’è il rischio di giustificare la violenza legata ad interessi di parte, in nome di Dio, ma questo rimane un abominio! Va sempre denunciato come falso! In questo modo si perde il significato autentico dell’esperienza religiosa. Penso che sia importante ribadire l’importanza di questo documento, continuare a studiarlo e diffonderlo. Come papa Leone chiaramente ha detto “Non dobbiamo mai abituarci alla guerra!”, il documento Fratellanza Umana ci aiuta a mantenere viva una coscienza critica di fronte alla violenza, come ha ripetuto tante volte papa Francesco.
Quali sono i rapporti con gli sciiti nei Paesi del Golfo?
Posso rispondere per i Paesi che conosco: per la mia esperienza e conoscenza gli sciiti sono bene integrati negli Emirati Arabi Uniti e anche in Oman. Non ho mai saputo di problemi specifici. Nello Yemen la situazione è diversa: gli Houthi sono sciiti e comandano nel Nord del Paese. Lì permangono forti tensioni, che hanno caratterizzato la guerra civile negli anni passati, sebbene la situazione generale interna oggi sia migliorata rispetto al passato.
Nel vicariato vi sono iniziative di preghiera per la pace? Penso alla Casa della famiglia Abramitica: vi sono momenti comuni di preghiera, iniziative o attività?
Dal 7 ottobre 2023, in tutte le realtà del Vicariato il tema della pace, nel mondo e in particolare nel Medio Oriente, è richiamato costantemente. Nelle nostre celebrazioni c’è sempre una preghiera per la pace. Io stesso ho scritto più volte lettere ai fedeli per le iniziative di digiuno e di preghiera per la pace. Richiamo sempre all’importanza di essere operatori di pace e costruttori di ponti. Recentemente ho molto sottolineato il desiderio e l’invito espressi da papa Leone a essere una Chiesa unita, per essere segno di unità, di pace e riconciliazione per tutto il mondo.
Per quanto riguarda l’Abrahamic Family House, tutte e tre le case di culto - la moschea, la sinagoga e la chiesa - non mancano di pregare, ognuno secondo la sua modalità, per la pace. La nostra chiesa di san Francesco, ad esempio, ogni mese tiene una preghiera ecumenica nello stile di Taizé dove, anche in forza dell’anniversario dei 1700 anni del Credo di Nicea, si invoca la pace. Inoltre, il rosario quotidiano con la comunità è dedicato a Maria madre della Speranza e madre della Pace: questo aiuta i nostri fedeli a leggere la pace nell’orizzonte del Giubileo. In ultimo si recita abitualmente la cosiddetta “preghiera semplice” attribuita a San Francesco d’Assisi: “Signore fammi strumento della tua pace”.
Mons. Martinelli, quanto è attuale oggi il suo messaggio?
In questo momento l’Abrahamic Family House è un’eloquente e quotidiana testimonianza di pace, di coesistenza possibile che si realizza attraverso concrete relazioni di amicizia tra uomini e donne di religioni differenti. Credo che l’esistenza stessa di un luogo come questo rappresenti un costante invito alla pace e alla convivenza.
Il vicariato comprende due territori che, in queste settimane di conflitto e tensioni, hanno giocato un ruolo di primo piano, seppur su fronti diversi: dallo Yemen sono partiti gli attacchi Houthi verso Israele, mentre in Oman si sono tentati i fragili colloqui sul nucleare fra Washington e Teheran, poi naufragati in seguito all’attacco israeliano. Vi è ancora spazio per la diplomazia?
Non si può rinunciare in alcun modo alla prospettiva della diplomazia. Per quanto la situazione possa essere preoccupante e tesa, non si deve mai abbandonare la possibilità del dialogo tra le parti. Anche perché, i conflitti armati non sono mai la soluzione. La pace deve sempre passare attraverso un dialogo che vada oltre il confronto tra le forze militari in campo. Penso che l’Oman, grazie alla sua storica capacità di mediazione, potrebbe continuare ad avere un ruolo significativo. Gli stessi Emirati Arabi Uniti potrebbero svolgere un lavoro di mediazione importante, grazie alla loro capacità di intrattenere buoni rapporti diplomatici e di collaborazione con tanti Paesi.
Eccellenza, la Chiesa celebra l’Anno giubilare: dal suo osservatorio del Golfo, dove e come è possibile nutrire e alimentare la speranza in un quadro di conflitto permanente?
Stiamo vivendo l’Anno giubilare molto intensamente. Essere pellegrini di speranza è una esperienza molto importante per noi migranti. Invito sempre i nostri fedeli a leggere il loro essere migranti nella prospettiva dell’essere pellegrini di speranza. La speranza è una persona, è Cristo, il “Dio dal volto umano” e per le nostre situazioni, tante volte precarie, questo è molto chiaro. Nella fede Lo riconosciamo presente tra noi e nella storia, anche nella tribolazione di questo momento. Egli ha vinto la morte per sempre e ci accompagna fedelmente, permette la ripresa continua della vita, nonostante le nostre mancanze e la violenza che segna oggi tante parti del mondo. Per alimentare questa speranza occorrono dei rapporti buoni, dei luoghi in cui sia possibile fare esperienza di speranza, di pace e di riconciliazione.
Questo mi sembra il senso dell’invito di papa Leone ad essere una Chiesa unita per la vita del mondo: è un invito per le nostre famiglie, per le relazioni tra noi, nelle nostre comunità composte da persone che vengono da oltre cento Paesi diversi, con lingue, culture, tradizioni e riti diversi. Penso anche alle relazioni ecumeniche positive che possiamo coltivare. Penso al dialogo tra persone di fedi differenti, che si stimano a vicenda, superando i pregiudizi, e decidono di camminare insieme per promuovere il bene comune e la fratellanza umana. Queste realtà ci sono, sono semi di speranza. In un momento come questo, dove la violenza sembra prevalere, abbiamo il compito di essere pellegrini di speranza e di promuovere esperienze di vita buona.
21/07/2023 11:36