Vicario di Istanbul: il papa in Turchia ha ‘ridestato’ il desiderio di evangelizzazione
Per mons. Palinuro la presenza di Leone XIV ha ridato “entusiasmo” a una comunità cattolica caduta in un clima di “torpore”. Nell’incontro col mondo ortodosso il ritorno “alle origini della fede”, anche se restano le sfide. I gesti semplici del pontefice hanno rimosso “pregiudizi” nei musulmani. L’impegno comune con la diplomazia di Ankara per la pace in Medio oriente.
Milano (AsiaNews) - Il papa “ha riacceso l’entusiasmo” fra i fedeli, colpendo per “la sua semplicità” e la capacità “di mettersi in ascolto”, risvegliando una comunità cattolica “da un certo torpore in cui era caduta”. Il vicario apostolico di Istanbul mons. Massimiliano Palinuro ripercorre in questa lunga intervista ad AsiaNews il viaggio apostolico di Leone XIV in Turchia (e Libano), i momenti più significativi e l’importanza per la piccola, ma oggi ancor più viva, comunità cattolica turca. Dal dialogo ecumenico ai rapporti con il mondo islamico, sono molti i temi al centro della visita che il prelato ripercorre a mente fredda, pur restando ancora questioni irrisolte, a partire dall’inculturazione e dal messale in lingua locale da approvare. Sul fronte politico è emersa una rinnovata intesa fra Ankara e Santa Sede sulla soluzione “Due popoli, due Stati” per il conflitto a Gaza.
Di seguito, l’intervista al vicario apostolico di Istanbul:
Eccellenza, può fare un bilancio di queste giornate del papa in Turchia: quali sono gli elementi positivi e dove Leone XIV l’ha sorpresa maggiormente?
La visita del papa ha riacceso l’entusiasmo nella sequela in tutti coloro che lo hanno accolto, in particolare ha colpito la sua semplicità, la sua capacità di mettersi in ascolto delle persone. Il ritmo della visita è stato molto sostenuto e gli impegni si sono sovrapposti, ciononostante ha affrontato ogni incontro con una imperturbabile serenità che è riuscito a trasmettere a tutti. La sua parola forte, il suo messaggio di pace, la sua testimonianza di fede hanno riacceso la speranza nelle nostre comunità. È stato bello vedere l’entusiasmo delle persone, nella preparazione degli eventi come nel loro svolgimento. Ecco, tutto questo crea un desiderio di ripartire e ha svegliato, ha ridestato la nostra comunità da un certo torpore in cui era caduta, creando anche notevole interesse nei confronti del messaggio cristiano al di fuori dal contesto ecclesiale. Abbiamo ricevuto e stiamo ricevendo tante richieste di incontri, di colloqui, di partecipazione da parte di persone che sono state raggiunte dal messaggio di papa Leone. Quindi potremmo dire che questa visita ha avuto anche sicuramente una ricaduta positiva nella evangelizzazione, nella testimonianza del messaggio evangelico.
Che valore assume questa visita nella prospettiva del dialogo ecumenico e quali saranno i passi successivi?
La celebrazione del diciassettesimo centenario del Concilio di Nicea ci ha incoraggiati a ritornare alle origini della nostra fede, al cuore stesso della fede cristiana. E tutti i cristiani si riconoscono nell’unica professione di fede del credo niceno-constantinopolitano. Questo è stato e è rimane un punto di partenza essenziale nella logica di quell’ecumenismo pratico inaugurato da papa Giovanni. Cerchiamo ciò che unisce, mettiamo da parte ciò che divide. Questa visita ci ha dato la grazia di ripartire da ciò che è unisce, da ciò che è essenziale. Non vi è dubbio che anche questa visita ha messo in evidenza i punti fragili del dialogo ecumenico, la non larga partecipazione da parte delle chiese greco-ortodosse, la divisione in atto nel mondo ortodosso. Direi anche che ha mostrato ulteriore fragilità, dato che in alcune università teologiche del mondo ortodosso si insegna ancora che la fede cattolica è eretica e vi sono da superare enormi ostacoli nel dialogo teologico. In questo senso la visita ha messo in evidenza questi nervi scoperti. In ogni caso abbiamo compreso ancora meglio che il cammino ecumenico è irrinunciabile per il futuro della Chiesa e del mondo cristiano.
Cosa ha significato per la “piccola, ma viva” comunità cattolica turca la visita del pontefice?
La comunità cattolica ha mostrato tutto il suo entusiasmo e il suo fervore. Vi è stato davvero un risveglio anche nelle singole comunità e tante persone che si erano allontanate, che erano un po’ sparite, assimilate nella grande maggioranza islamica, hanno ravvivato il loro senso di appartenenza alla comunità ecclesiale. La sua venuta ha rafforzato il senso di appartenenza alla Chiesa, di tutti i membri della comunità, anche in coloro che si erano intiepiditi o rischiavano l’assimilazione.
Lei ha scambiato qualche parola di persona col papa? E cosa vi siete detti?
Sì, abbiamo avuto l’opportunità di condividere un momento di dialogo: la piccola conferenza episcopale di Turchia, composta da sei vescovi, ha avuto la possibilità di un incontro di circa un’ora in cui il Santo Padre ha voluto ascoltare la nostra vita, i nostri problemi, e come dicevo all’inizio quello che ha colpito è la sua grande capacità di mettersi in ascolto. Abbiamo affrontato in modo particolare il problema dell’inculturazione, perché la Chiesa Cattolica turca è considerata ancora una chiesa fatta da stranieri al servizio degli stranieri. Al contrario, vi è di fatto una comunità locale, anche molto viva, composta da turchi che hanno accolto il Vangelo. Purtroppo la difficoltà dell'inculturazione, in modo particolare la difficoltà della lingua turca, costituiscono un ostacolo ad una più efficace testimonianza del Vangelo. Abbiamo affrontato il tema della nuova traduzione del Messale in lingua turca, che è stata ultimata e attende l’approvazione del dicastero competente, chiedendo al papa di accogliere questa istanza. È importante sostenerne l’approvazione, in modo da garantire che anche nella liturgia la lingua turca sia uno strumento di evangelizzazione efficace.
Il papa ha visitato la Moschea Blu, mentre non si è recato a Santa Sofia. Cosa ci può raccontare nella prospettiva del dialogo interreligioso con il mondo musulmano turco?
La visita alla Moschea Blu, come anche quella al ministro per gli affari religiosi che è il Gran Muftì di Turchia, ha avuto un impatto positivo sull’opinione pubblica turca e ha contribuito a rimuovere alcuni timori che vi erano e ci sono tuttora da parte musulmana. La visita del papa negli ambienti più conservatori della società turca è stata vista come un tentativo di riconquista, come una intrusione del mondo cristiano nella società musulmana turca. Al contrario, questi semplici gesti hanno mostrato da parte cattolica profondo rispetto e sincera fraternità nei confronti dei credenti musulmani e ciò ha contribuito a rimuovere questi pregiudizi, queste chiusure che erano state alimentate dalla fronte più radicale della società turca.
La Turchia è un attore importante nei vari teatri di crisi che stanno dilaniando la regione mediorientale: dalla vostra prospettiva come si guarda al conflitto a Gaza?
Certo, la Turchia svolge un ruolo chiave nello scacchiere internazionale! In particolare, l’abilità della diplomazia turca è quella di contribuire alla mediazione, molti colloqui di pace si sono svolti qui in Turchia, ospitati dal presidente [Recep Tayyip] Erdogan, sia quelli riguardanti il tema del conflitto ucraino-russo, sia quello israelo-palestinese. Ankara sta lavorando molto per contribuire alla risoluzione di questi conflitti e la visita del papa è stata accolta dal governo turco proprio in vista di un sostegno a questi sforzi per superare situazioni di grave conflitto. La Turchia riconosce nella posizione della Santa Sede quella più vicina alle proprie idee per il superamento dei conflitti, soprattutto per quanto riguarda la questione palestinese, con l’insistenza della soluzione “Due popoli, due Stati” che continua ad essere assai vicina alla posizione della Turchia. Questa sintonia di vedute sui temi fondamentali nei conflitti in corso fa sì che a livello internazionale la Santa Sede trovi nella Turchia un alleato interessante, così come la Turchia considera quella della Santa Sede la voce in Occidente più “vicina” alla sua prospettiva geopolitica.
Mons. Palinuro, come si prepara la comunità cattolica turca, in particolare il vicariato di Istanbul, alle feste di Natale?
Questo inizio del tempo di Avvento è stato segnato dalla grazia della visita del papa. Adesso con questo rinnovato entusiasmo ci mettiamo in cammino per riaccogliere la venuta del Signore, il “Principe della Pace” e quello che è il nostro impegno fondamentale ora è proprio quello di riaprire il cuore al Signore che viene. Il tema della solidarietà è quello che caratterizzerà anche questo Natale. Viviamo in un contesto in cui la povertà di tante persone ci chiede di accogliere il Signore nel povero, nel rifugiato, nel migrante, nella persona che ha perso ogni cosa. È lì che dobbiamo imparare a riconoscere il Signore che bussa alla nostra porta e chiede di essere accolto e consolato; questo Avvento deve essere caratterizzato dalla solidarietà e dalla capacità di compatire, di vivere la virtù dell’empatia nei confronti dell’altro. Questo ci chiede in Natale, in modo particolare mentre ancora tante vittime di guerre e persecuzioni bussano alle nostre porte e la Turchia continua a essere un Paese che dà accoglienza a tanti migranti e rifugiati in fuga da guerra, persecuzioni e povertà. La Chiesa qui è chiamata ad accogliere il Signore che viene nella concretezza della persona povera, della persona che soffre e che ha perso tutto.
10/05/2025 08:44




