Vicario d’Arabia: Natale di riti e tradizioni diverse, speranza di una ‘Chiesa viva’
Nella terza puntata del reportage di AsiaNews dal Golfo, mons. Bernardi parla della ricchezza portata da ciascuno nelle celebrazioni di queste comunità cattoliche formate da persone provenienti da tanti luoghi diversi. Molte le sfide: dalla controversia interna ai siro-malabaresi alla formazione per aiutare a non fermarsi al devozionismo. I giubilei locali e quello universale vissuti con “dinamismo e creatività”.
Manama (AsiaNews) - Il periodo del Natale, in particolare la Settimana Santa, è “intenso” e ciascuna comunità porta con sé “gli elementi caratteristici della propria fede”, mentre ai sacerdoti e al vescovo spetta il compito di fare “il massimo” perché possano celebrare “secondo la loro cultura e la loro storia. […] Purché non rimanga solo l’aspetto della tradizione” perché un rito “non deve essere da museo” ma “dinamico” e caratterizzato da “originalità”. Così il vicario apostolico dell’Arabia settentrionale mons. Aldo Berardi, dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi di cui è stato vicario generale, racconta la preparazione alle imminenti festività nel territorio di cui è pastore da quasi tre anni (la nomina è del gennaio 2023). Filippini, indiani, maroniti, europei sono parte di una Chiesa che è radicata nell’unità nella diversità, che rappresenta al tempo stesso una ricchezza e una complessità.
Dalla sfida di un vicariato “destrutturato” e con “difficoltà amministrative” dopo la morte del predecessore mons. Camillo Ballin nel 2020, l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 e i due anni da amministratore apostolico di mons. Paul Hinder, oggi il tema di fondo è la pastorale: ne va studiata una, spiega il prelato, “per ciascuna nazione, abbandonando un approccio conservativo ma cercando di compiere un passo in avanti all’insegna della “creatività”. Abbiamo incontrato mons. Berardi nella sede del vicariato in occasione di un reportage che AsiaNews ha compiuto nel Golfo, al termine di una messa celebrata nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali.
Di seguito, la seconda parte dell’intervista ad AsiaNews:
Mons. Berardi, come si vive questo periodo di Avvento in preparazione al Natale?
Il periodo del Natale, come la Settimana Santa, è intenso e ciascuna comunità porta con sé gli elementi caratteristici della propria fede, tanto che i sacerdoti prestano molta attenzione a questo aspetto. Facciamo il massimo perché tutti possano celebrare secondo la loro cultura e la loro storia, io non sono contrario purché non rimanga solo l’aspetto della tradizione: un rito non deve essere da “museo”, fine a se stesso, ma dinamico e va trovata l’originalità perché la Chiesa è viva e la fede va vissuta in profondità. Non contesto riti e tradizioni, ma chiedo sempre di trovare un elemento peculiare… non il rito per il rito e non le tradizioni per le tradizioni!
Sotto questo aspetto le diverse comunità presentano grande ricchezza: pensiamo anche solo ai filippini con la “Misa de Gallo” o il Simbang Gabi.
Esatto! Ai filippini, per esempio, dico loro: ‘Con il Santo Niño volete solo ballare o approfondire il perché e qual è il significato, come questa tradizione ha modellato il vostro cristianesimo?’. E qui subentra l’aspetto preparatorio, che diventa molto importante! Quella del vicariato è una Chiesa viva, che può condividere la propria storia secolare con gli altri. La Settimana Santa è un momento particolarmente significativo, con le processioni e i riti [legati all’epoca coloniale spagnola nelle Filippine]. Ma questi elementi vanno elaborati, capire qual è l’attualità del messaggio, cosa muove i fedeli. Un discorso che vale anche per i siro-malankaresi dall’India, basti pensare alla celebrazione del Venerdì Santo che dura anche sei ore, in piena notte! Ecco perché è essenziale la fase preparatoria, mentre il giorno di festa è solo la conclusione di un percorso.
Approfondendo il tema delle varie comunità, non mancano problemi interni come nel caso dei siro-malabaresi e la controversia su autonomia e riti. Qual è la situazione?
Questo è un tema delicato: fino al 2020 il papa [Francesco] aveva dato piena autorità al vicario apostolico su tutti i riti. Poi ha deciso di dare giurisdizione ai patriarchi, per primi i maroniti che poi, in breve tempo e per circostanze pratiche, hanno rinunciato. Nel 2024 sempre papa Francesco ha concesso ai siro-malabaresi la giurisdizione, ma al momento siamo ancora in una fase di riflessione. Il pontefice dovrebbe inviare un visitatore apostolico nei sette Paesi del Golfo [il riferimento è al vicariato dell’Arabia meridionale composta da Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen, ndr] per incontrare le comunità e valutare le circostanze.
Eccellenza, quali sono gli aspetti più critici?
Ancora oggi vi sono diverse questioni irrisolte: un fattore primario è quello riguardante la giurisdizione che a livello legale non è riconosciuta, perché nei vari Paesi [la personalità giuridica] fa riferimento al vicariato latino. Ci vorrà del tempo per arrivare al riconoscimento di una Chiesa indipendente e, per il momento, dovranno dipendere dal vicariato per visti e luoghi di culto. Per quanto riguarda la questione dei riti seguiamo le direttive del Sinodo siro-malabarese se possibile, perché in diversi luoghi di culto non vi può essere spazio per due altari. La questione resta aperta, alcune associazioni civili o culturali premono per l’indipendenza ma per i fedeli l’aspetto peculiare è poter vivere la propria fede, quindi sono felici. Di contro, le altre Chiese patriarcali - partendo dai maroniti - sembrano aver rinunciato, perché troppo complesso a livello di organizzazione.
A gennaio sono tre anni da vicario apostolico: quali sono le luci e le ombre?
Dopo la morte del predecessore [mons. Camillo Ballin nel 2020, con i successivi due anni sotto l’amministratore apostolico mons. Paul Hinder, ndr] e l’emergenza pandemica legata al Covid ho trovato un vicariato “destrutturato”, con difficoltà amministrative. Dopo tre anni abbiamo un’amministrazione più strutturata, l’economia e le finanze sono state riviste e sono seguite alcune nomine, poi vi è il lavoro a livello di pastorale, tenendo conto che ogni Paese ha le proprie leggi e dipendiamo da ministeri diversi. Abbiamo restaurato alcune chiese in Qatar e Kuwait, ora dobbiamo pensare al Bahrein. Va studiata una pastorale per ciascuna nazione, abbandonando un approccio conservativo ma cercando di compiere un passo in avanti all’insegna della “creatività”. Dobbiamo poi ripensare anche tutta la pastorale, che non deve essere solo devozionale e conservativa. Al contrario, va ne pensata una peculiare per ciascun Paese, che sappia guardare al futuro con creatività, energia, vitalità che sono elementi delle comunità cattoliche del Golfo.
In questa prospettiva assumono particolare valore gli anni giubilari, partendo da quello di Sant’Areta, profondamente radicato nella terra d’Arabia…
Quello di Sant’Areta [e compagni, originari dell’antica città di Najran, nell’attuale Arabia Saudita, martirizzati nel 523 per la loro fede] nel 2023 è stato occasione per approfondire la storia dei martiri d’Arabia e scoprire il passato cristiano della Penisola, dando un senso alla nostra presenza. Vi è poi il Giubileo generale della Speranza del 2025 che si sta per chiudere, e a gennaio quello in Kuwait per i 65 anni della co-cattedrale. Ricordo anche, a livello locale, il Giubileo per gli 85 anni della chiesa del Sacro Cuore di Manama [da poco diventata Santuario, ndr] e per i 75 anni della chiesa di Nostra Signora d’Arabia ad Ahmadi [elevata nei mesi scorsi a Basilica Minore]. Sono pilastri della nostra storia, attorno a quali costruire la nostra stabilità. Non solo chiese, ma vi è anche da più di 75 anni la scuola del Sacro Cuore [a Manama, l’unica cattolica del Bahrein, ndr] che è il secondo istituto per importanza del Paese, in cui hanno studiato anche diversi politici e funzionari e gode di ottima reputazione. Io sono per le feste, le commemorazioni, perché sono un modo per inserirsi nel contesto storico di questa terra. Tuttavia, non dobbiamo fermarci all’elemento devozionale, ma rafforzare gli aspetti del dinamismo e della creatività, preparandoci al domani.
Mons. Berardi, da ultimo e riprendendo il tema dell’Anno giubilare che si sta per concludere, le chiedo: qual è la speranza per questa chiesa d’Arabia?
Mantenere questo spirito di creatività e di missione! Pur dovendo sperimentare molti limiti, non manca mai la speranza che è radicata nei fedeli e nel modo in cui vivono l’appartenenza. Inoltre, essere parte della Chiesa universale, soprattutto per i fedeli dell’Arabia Saudita che sono membri di una Chiesa sotterranea, delle catacombe, col rischio di essere isolati. In questo senso è stata significativa la partecipazione di piccoli gruppi alle Giornate mondiali della gioventù (Gmg) a Madrid, Cracovia, a Panama e in Portogallo. Ogni volta i ragazzi hanno portato una statua della Madonna di Arabia, donandola alla parrocchia che li aveva accolti.
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