06/03/2024, 10.32
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Vicario d’Arabia: una nuova formazione cristiana per vincere isolamento e divisioni

Prima lettera pastorale di mons. Martinelli, che esorta i fedeli a non essere “schiavi, ma figli”. La fede va trasmessa “non più per convenzione, ma con convinzione” comunicando “le ragioni per cui uno crede”. L'invito a un percorso “interculturale” che permetta di interagire, conoscere, formare alla collaborazione le diverse realtà ecclesiali presenti nel Golfo. 

Abu Dhabi (AsiaNews) - Le “sfide” che la Chiesa deve affrontare nel mondo sono “aumentate” nel Golfo, area in cui la società è “compartimentata”, i coniugi o le famiglie vivono “spesso separati”, le persone sono “isolate” anche nei luoghi di culto “affollati” e “limitati” finendo per “perdere gli orientamenti”. In questa terra è “forte” il senso di “sradicamento soprattutto per i giovani”, laddove denaro e mondanità “diventano ragione e obiettivo” delle scelte, anche le più “intime”, senza lasciare spazio “alla volontà di Dio, al discernimento e alla vocazione”. É quanto sottolinea mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), nella prima lettera pastorale incentrata sulla “formazione cristiana”, inviata per conoscenza ad AsiaNews. “Di fronte a osservazioni e posti davanti alle sfide - aggiunge il prelato - vi è la necessità” di ripensarla “nella forma, nei contenuti e nei mezzi”. 

Intitolata “‘Non schiavi, ma figli’: la formazione cristiana per il terzo millennio, nel contesto di una Chiesa migrante multiculturale, multilingue e multi-rito nel Golfo arabo”, la lettera pastorale affronta un tema di estrema importanza per lo sviluppo della comunità cristiana d’Arabia. Il vicario individua quattro elementi caratteristici, che pongono sfide peculiari soprattutto ai giovani: l’essere multiculturale, multilingue e multi-rito; di migranti; inserita in un contesto specifico a livello socio-politico e religioso; in fase di cambiamento in un’era proiettata nel terzo millennio. 

La Chiesa affronta cambiamenti epocali e, al contempo, deve identificare caratteristiche e sfide per fornire una formazione adeguata, con “mezzi e contenuti che rispondano e corrispondano ai bisogni dei fedeli, specialmente dei giovani, e della Chiesa del Golfo”. Ecco perché, osserva mons. Martinelli, la fede va trasmessa “non più per convenzione, ma con convinzione” comunicando “le ragioni per cui uno crede”. Mentre la formazione cristiana “deve passare dalla trasmissione di contenuti e dottrine” a una “testimonianza viva” per spiegare “il legame tra fede e vita” e capace di “incontrare la realtà delle persone [...] formando così nuovi testimoni. Da qui l’importanza di quanto afferma il Direttorio per la catechesi del Pontificio consiglio per la promozione della Nuova evangelizzazione (2020) secondo cui “l’evangelizzazione è la chiave interpretativa della catechesi in tutte le sue fasi” e la stessa liturgia è “un luogo e un mezzo” di formazione. 

Un percorso “interculturale” che permetta di interagire, conoscere, formare alla collaborazione le diverse realtà ecclesiali, anche mediante “percorsi condivisi e differenziati”, con un “programma catechistico inclusivo di natura veramente cattolica”. Al riguardo, mons. Martinelli auspica il coinvolgimento di “tutte le realtà presenti nella Chiesa: famiglie, scuole, clero, religiosi, catechisti, laici, associazioni ecclesiali, Chiese diverse, generazioni diverse”. La formazione dovrebbe anche “aiutare ciascuno nel suo ruolo specifico e nelle sue sfide [perché] abbiamo tutti bisogno di essere continuamente formati nella fede, bambini, giovani e adulti”.

Vi è poi un passaggio specifico rivolto ai giovani, che vanno formati ad un “uso cristiano” delle “nuove realtà digitali” per sviluppare maggiore “senso critico” e permettendo “di connettersi con le loro domande e i loro desideri”. Perché, così facendo, Gesù possa apparire “come un compagno del proprio desiderio in un grande viaggio”. “La vocazione deve essere presente in ogni passo della formazione, portando i giovani a scegliere il loro futuro” afferma il vicario d’Arabia e, con riferimento all’essere cristiano, deve anche “educare a un vitale senso di appartenenza”, a un “sentimento positivo dell’esistenza”.

“Per quanto riguarda - aggiunge - il contributo della Chiesa al bene della società, le scuole sono essenziali. Esse fanno parte della missione della Chiesa, non strettamente per la catechesi, ma come luogo in cui dovremmo lavorare per il dialogo tra le fedi e le confessioni cristiane, per la tolleranza e il rispetto”. In quest’ottica considera la “vocazione” una “parola decisiva” per progettare il proprio futuro. La persona è invitata “a conoscere se stessa, i suoi limiti e le sue risorse, fino a porsi domande molto concrete”.

Infine, la formazione cristiana “non si esaurisce nella trasmissione dei contenuti della fede”, ma deve generare “una nuova mentalità, un nuovo modo di leggere la storia e la società in tutte le sue articolazioni”. Deve assumere “pienamente la dimensione culturale della fede”, spronare alla “ricerca di Dio (Quaerere Deum)” che “è all’origine di ogni cultura”, con scuole e università cattoliche che “svolgono un ruolo importante in questa direzione”. “Sono parte costitutiva della missione della Chiesa. Proprio per la capacità dialogica che può offrire, la scuola - conclude mons. Martinelli - può dare un enorme contributo non solo alla trasmissione della fede, ma anche al bene sociale e alla convivenza tra persone di fedi diverse, promuovendo il dialogo interreligioso e un senso di fraternità umana universale”.

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