05/12/2022, 11.23
MYANMAR
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Yangon, card. Bo alla giunta militare: serve dialogo con l'opposizione

L'arcivescovo si è detto "addolorato" dopo i bombardamenti che hanno colpito il suo villaggio natale nella regione di Sagaing. Mentre nel Rakhine l'esercito ha siglato una tregua con la milizia etnica locale, in altre regioni del Paese il conflitto civile continua indiscriminato. Nei giorni scorsi il capo del governo ombra in esilio ha chiesto armi antiaeree paragonando la guerra a quella in Ucraina.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Il card. Charles Maung Bo, arcivescovo della città, ha lanciato un appello per una soluzione pacifica al conflitto civile in Myanmar dopo un attacco dei militari al suo villaggio natale nella regione centrale di Sagaing. 

Il porporato ha dichiarato a Radio Free Asia di essere “addolorato” per il raid che il 23 novembre ha colpito il villaggio di Mon Hla, nella municipalità di Khin-U, e che ha ucciso diversi civili, tra cui un bambino di 7 anni. Sono morti anche sei membri delle Forze di difesa del popolo, il braccio armato del Governo di unità nazionale composto da deputati della Lega nazionale della democrazia, spodestati dopo il colpo di Stato dell’esercito a febbraio 2021. Le truppe militari hanno raso al suolo circa 200 edifici, tra cui una scuola e una chiesa che erano state costruite con le donazioni raccolte dal cardinale.

I cristiani che vivono a Mon Hla e nei vicini villaggi di Chaung Yoe e Chan Thar vengono chiamati Bayingyi e sono di origine portoghese: hanno vissuto lungo i fiumi Chindwin e Mu dall'inizio del XVII secolo.

L’offensiva contro la municipalità di Khin-U è iniziata a metà novembre: tre colonne militari hanno fatto il loro ingresso da ovest e hanno incendiato centinaia di case con l’appoggio di attacchi aerei. Dopo i bombardamenti del 23 novembre i militari hanno continuato la loro marcia verso sud occupando un villaggio dopo l’altro. Nell'abitato di Myin Daung, occupato dai soldati per tre giorni, dopo la partenza delle truppe sono stati trovati i resti carbonizzati di alcuni civili all’interno di un negozio. Secondo i residenti, i militari li hanno bruciati vivi, perché i corpi sono stati trovati con le mani legate dietro alla schiena.

Nel frattempo nello Stato occidentale del Rakhine i generali hanno firmato nelle settimane scorse una tregua con la principale milizia etnica dell’area, l’Arakan Army. Le milizie etniche, che si oppongono allo Stato birmano dall’indipendenza del Paese dall’impero britannico sono alleate alle Forze di difesa del popolo contro l’esercito. 

Il cessate il fuoco è stato firmato per permettere l’invio di aiuti e medicinali alla popolazione. È stato mediato dal dal presidente della Japan's Nippon Foundation, Yohei Sasakawa, un diplomatico che ha contatti con il capo della giunta (il generale Min Aung Hlaing), e che già a novembre 2020, prima delle ultime elezioni, aveva facilitato la tregua tra l’Arakan Army e l’esercito.

Secondo alcuni esponenti della resistenza, però, la pausa dei combattimenti servirà alle truppe della giunta per riposizionarsi nello Stato Chin e nelle regioni di Magwe e Sagaing, dove gli scontri non sono mai cessati.

La settimana scorsa il capo del Governo di unità nazionale in esilio, il presidente Duwa Lashi La, parlando alla conferenza Reuters Next, ha paragonato la situazione del Myanmar a quella dell’Ucraina, affermando che per costringere l’esercito a sedersi al tavolo dei negoziati sono necessarie armi antiaeree. Il regime birmano si è finora rifiutato di intrattenere un dialogo con il Governo di unità nazionale e le Forze di resistenza popolare, che considera invece organizzazioni terroristiche.

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