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ISRAELE - PALESTINA
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Yisca Harani: 'Noi ebrei israeliani che denunciamo le violenze contro i cristiani'

di Dario Salvi

La fondatrice di Religious Freedom Data Center parla di “sviluppo inquietante” negli attacchi dei coloni. “Preoccupante” la “legittimazione” di ministri e polizia. Un’ideologia di supremazia ebraica ha “messo radici”, ma i diritti delle minoranze non sono una “questione marginale”. Il 14 luglio patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme in visita di “solidarietà” a Taybeh. 

Milano (AsiaNews) - “Parlare di pace e coesistenza può sembrare ingenuo o distante in questo momento”, ma è “l’unico modo per conservare anche la minima speranza di una vita futura condivisa tra ebrei e palestinesi, e tra ebrei, cristiani e musulmani” e “per questo lavoriamo”. È quanto racconta ad AsiaNews l’attivista israeliana Yisca Harani, fondatrice nel giugno 2023 del Religious Freedom Data Center (Rfdc), organismo indipendente che documenta l’escalation di incidenti in Israele, con un’attenzione particolare a Gerusalemme. “Il 90% di questi eventi - spiega l’esperta ebraica con studi in storia cristiana e dialogo interreligioso - sarebbe passato sotto silenzio se non fosse stato per noi, cittadini ebrei israeliani, che li monitoriamo e presentiamo denunce alla polizia”. “Ci siamo assunti la responsabilità” prosegue, e “questo è importante soprattutto qui in Medio oriente, dove in molti Paesi vicini le persone vengono messe a tacere quando parlano contro i loro governi. Questo è un nostro problema” e per questo “siamo noi a doverlo esporre, definire, guardare negli occhi e affrontare”.

Parlando del 7 ottobre (2023), una data che ha segnato la storia recente di tutta la regione con l’attacco di Hamas a Israele, l’attivista parla di “ferite che rimangono profondamente visibili” in una società che era già “fratturata”. Il Rfdc nato su iniziativa della Harani documenta in gran parte gli incidenti all’interno del territorio israeliano, mentre non si occupa della Cisgiordania. In realtà, spiega, “i confini psicologici e politici tra le due realtà sono labili” e quanto sta accadendo nell’ultimo periodo, anche a Taybeh, è il riflesso di una “completa erosione della moderazione, della legalità e della responsabilità, con un chiaro sostegno governativo”.

Ciò rappresenta, avverte l’esperta e studiosa, “uno sviluppo inquietante” non solo per chi è all’opposizione, ma “persino per coloni allarmati dall’illegalità e dall’estremismo ideologico dei giovani delle colline” i quali “non godono di ampio sostegno nemmeno fra gli stessi coloni”. “Ma l’elemento più preoccupante è che questo comportamento è legittimato dal sostegno di alcune figure politiche chiave” a partire dal “ministro della Sicurezza nazionale [Itamar Ben-Gvir], dal primo ministro [Benjamin Netanyahu] e, per estensione, dall’esercito: questo è il nocciolo del problema”. 

Nei giorni scorsi un’escalation di attacchi ha coinvolto il villaggio di Taybeh, in Cisgiordania, composto da circa 1500 abitanti e tre chiese, situato 30 km a nord di Gerusalemme e a est di Ramallah, famoso per essere il solo abitato per intero da cristiani. L’ultimo caso, e il più emblematico, è avvenuto il 7 luglio quando fanatici pro-occupazione hanno appiccato un incendio nei pressi del cimitero e della storica chiesa di san Giorgio (Al-Khadr) del V secolo, uno dei più antichi siti religiosi della Palestina. Fra i residenti - oltre 600 sono latini, mentre i restanti greco-ortodossi e cattolici greco-melchiti - è forte la preoccupazione per il futuro di una comunità nota sin dai tempi del Vangelo, quando era conosciuta col nome di “Efraim” ed era il luogo in cui Gesù si è ritirato prima della Passione. 

In risposta alle violenze i parroci greco-ortodosso, greco-cattolico e latino hanno diffuso una nota di condanna per episodi che “minacciano sicurezza e stabilità” dei cristiani, oltre a minare “la dignità degli abitanti” e persino la “sacralità” stessa della Terra Santa. P. Daoud Khoury, p. Jack-Nobel Abed e p. Bashar Fawadleh hanno così voluto sollevare il velo di silenzi e impunità all’interno dei quali si stanno consumando le violenze dei coloni ebraici nei Territori occupati e Israele contro arabi, comunità beduine e minoranze religiose.

Assalti iniziati ben prima del 7 ottobre 2023 con l’attacco di Hamas a Israele e l’inizio del conflitto a Gaza. Tuttavia, le atrocità nella Striscia - che non hanno risparmiato i civili, anche bambini - e la “Guerra dei 12 giorni” con l’Iran hanno finito per oscurare la vicenda, lasciando campo libero a coloni ed estremisti col benestare delle autorità ebraiche. Violazioni, sottolineano i parroci, che non costituiscono solo una “provocazione”, perché causano “danni diretti” agli uliveti che rappresentano una “fonte essenziale di reddito” oltre a impedire agli agricoltori “di accedere alle loro terre”. Un grido di allarme raccolto in queste ore dai patriarchi e dai capi delle Chiese di Gerusalemme che, il 14 luglio, effettueranno una visita di solidarietà a Taybeh e Ramallah. All’iniziativa prenderanno parte anche diplomatici e si concluderà con una conferenza stampa alla chiesa di san Giorgio.

A confermare il quadro di violenze vi è anche il Rfdc di Yisca Harani, che documenta oltre 50 casi fra aprile e giugno di quest’anno nel rapporto “Incidents Against Christians in Israel” diffuso in questi giorni: in particolare, nella città santa almeno il 50% degli episodi si sono verificati nel quartiere armeno e hanno preso di mira religiosi, sacerdoti e laici. Altri punti caldi la Porta di Jaffa, David Street (25%), e la Via Dolorosa (13%). La grande maggioranza (78%) ha riguardato sputi, poi abusi verbali (8%), vandalismo (4%), violazione di domicilio e profanazione di luoghi sacri. Tra le vittime religiosi armeni, francescani, ortodossi e cattolici, oltre a civili, mentre gli attacchi si verificano durante processioni, funzioni religiose o indossando la talare e oggetti di culto. 

Raccontando la società israeliana, l’attivista riferisce di una realtà “profondamente divisa, non necessariamente fra religiosi e laici, quanto sul piano politico fra destra e centro-sinistra”, con le ultime elezioni che hanno “escluso” il centro dal potere. Tuttavia, gli “esclusi” sono comunque convinti di “rappresentare circa metà della popolazione”, mentre quanti sono al governo ritengono di “costituire la vera maggioranza e la loro vittoria essere il risultato di un legittimo processo democratico”. “Una duplice percezione - prosegue - che alimenta la tensione e l’alienazione, ed è in questa crisi di fiducia che deve intervenire la società civile”. Vi è poi un “processo psicosociale” interno alla società israeliana degli ultimi 30 anni, spiega Harani, impresso da Netanyahu e dalla destra che ha esaltato “il discorso ebraico-centrico”. Si sono enfatizzati “valori e identità ebraica”, avverte, che hanno fatto emergere “un’ideologia di supremazia ebraica che ha ormai messo radici”. 

Nell’analizzare i recenti attacchi a Taybeh non ravvisa “un’agenda anti-cristiana”, perché “i coloni che compiono tali violenze sono guidati da una visione più ampia di dominio territoriale e di nazionalismo messianico” e non “da un’ostilità specifica” verso la minoranza religiosa. “Detto questo - prosegue - l’impatto sulla comunità cristiana è reale e allarmante” ed è collegato a un “pericoloso modello di illegalità e aggressione ideologica in Cisgiordania”. Una violenza che non è “isolata e spontanea”, ma è “chiaramente incoraggiata, se non direttamente sostenuta, dalle politiche governative e dai ministri che danno copertura ideologica alle idee suprematiste”. Stiamo assistendo - conferma - a uno sforzo per creare un monopolio ebraico sulla terra, e qualsiasi cosa - o chiunque - si frapponga diventa un bersaglio sia esso beduino, palestinese o cristiano”. 

Una riflessione finale Yisca Harani la riserva al Religious Freedom Data Center e altre realtà, la cui presenza oggi è “essenziale”. “Per gli ebrei israeliani, questo è un momento storico: ricordiamo, in modo doloroso e vivido, cosa significa essere una minoranza perseguitata”. “Ora, come maggioranza, abbiamo la possibilità - e la responsabilità - di agire diversamente” spiega l’attivista, sebbene “decenni di educazione plasmata da narrazioni esclusiviste” abbiano determinato “un crescente estremismo, inquadrando gli ebrei come perennemente minacciati, anche quando sono al potere”. “Sono cresciuta a Gerusalemme - ricorda - più di 60 anni fa. Vi era sempre tensione, ma anche coesistenza. Quello che vediamo oggi è un drammatico aumento dell’intolleranza, radicato nell’incapacità - o nel rifiuto - di insegnare i valori del pluralismo”. “Credo che la maggior parte degli ebrei israeliani, forse il 90%, non abbia idea di questi incidenti. Ed è proprio per questo - conclude - che organizzazioni come Rfdc sono così vitali. Non ci limitiamo a documentare le violazioni, ma sensibilizziamo la società israeliana e l’opinione pubblica internazionale, insistendo sul fatto che i diritti delle minoranze, compresi i cristiani, non sono una questione marginale, ma una misura di ciò che siamo come società”.

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