In uno spericolato rovesciamento di fronti, l’avanguardia sovietica del femminismo mondiale si trasforma oggi nella celebrazione delle “madri eroiche”, premiate al Cremlino da Putin. Vittima della guerra è proprio il mito della madre, della donna russa che si prende cura di tutta la famiglia e di tutto il popolo caricandosi delle sofferenze e delle umiliazioni, come la Matrjona di Solženitsyn, anima dell’intero villaggio dei perseguitati.
Tutti desiderano la fine della guerra, ma non può essere solo una questione di resa o compromesso, identità e dominio sul campo di battaglia. È una guerra interiore, che si svolge nelle chiese e nelle coscienze, nelle università e nelle scuole, per le strade e nelle case di tutti i Paesi d’oriente e d’occidente.
I toni esagerati e il vuoto di contenuti hanno prodotto un effetto soporifero e mortifero nell’animo dei cittadini russi, in preda allo sconforto per i timori di nuove coscrizioni obbligatorie. E una surreale diatriba web sul gorgonzola descrive, meglio di qualunque altro esempio, il desiderio dei russi di “non essere coinvolti”, di ribellarsi ai sensi di colpa e scrollarsi di dosso le retoriche dei “valori tradizionali”.
La dimensione ecclesiastica appare sempre più secondaria nell’esaltazione del “Mondo Russo”, che indica il popolo e l’impero più delle liturgie e delle mitre vescovili. Dappertutto si imprime su bandiere, magliette e meme digitali, lo slogan “Siamo russi, Dio è con noi!" che lo zar Nicola I volle come grido della Russia nella guerra di Crimea a metà dell’Ottocento.
Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina agita in realtà due spettri, due identità incompiute, la cui effettiva eredità nella vita delle persone sarà a lungo ancora difficile da definire.
Discutere se sia la Russia a voler fare la guerra alla Nato, o gli alleati a voler distruggere la Russia, non cambia il quadro della situazione, in cui entrambi i contendenti sono concentrati unicamente sulle strategie e gli obiettivi da raggiungere.
Se il dialogo tra le Chiese è stato un modo per uscire dalle tensioni delle guerre mondiali del Novecento, i nuovi conflitti attuali rivelano che gli sforzi di quel grande lavoro non hanno potuto eliminare le ragioni delle divisioni, spesso assai poco spirituali e molto legate alle vicende storico-politiche, come del resto avveniva negli scismi più antichi.
Nella festa del Battesimo di Gesù - appena celebrata nel calendario ortodosso - il bagno nell’acqua del kupel con l’apertura a croce sul ghiaccio dei laghi è un rito quasi esclusivo dei russi: se si sopravvive alla triplice immersione nell’acqua della gelida morte, allora si potrà sperare davvero in una vita nuova.
Il grande ritornello della propaganda putiniana, espresso in una forma sempre più radicale e apocalittica, è simile alle dichiarazioni recenti degli ayatollah iraniani di fronte alle accuse di repressione delle donne e del popolo: “Noi abbiamo la nostra cultura e i nostri valori, e nessuno ci può imporre un altro modello di vita”.
Fin dagli anni Novanta il futuro patriarca di Mosca guardava a Ratzinger come un punto di riferimento per una possibile alleanza ortodosso-cattolica. La storia ha però mostrato quanto questi sogni fossero privi di fondamento. Il papa mite e profondo ci ha preparato a lungo ad affrontare la vera Apocalisse e la sua profezia vale oggi ancora più di ieri.
Nel trentennio post-sovietico il Natale si era sdoppiato, accogliendo il 25 dicembre del calendario gregoriano, senza conflitti con il 7 gennaio di quello giuliano della Chiesa ortodossa. Con la guerra i cristiani tornano a litigare per le date del calendario liturgico. E torna alla mente come il primo scisma nel II secolo fu superato grazie a Ireneo, un santo dell’Asia andato a predicare in Gallia, inaugurando l’incontro delle anime e delle grandi correnti della spiritualità cristiana.
La guerra in Ucraina ci sta mostrando come la propaganda sia tornata a occupare tutta la scena, punto di arrivo di una parabola che va dalle poesie di Majakovskij fino agli influencer di oggi. E torna quanto mai attuale il dilemma di Dostoevskij che scriveva: "Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo, piuttosto che con la verità”.
Tra emigrati da tempo e fuggitivi recenti, la diaspora russa presenta un quadro variegato e assai poco unitario, anche se ricco di personalità di spicco della cultura, della politica e dell’economia. Del resto la divisione è un classico non solo della politica russa all’estero, ma anche della sua religiosità e delle strutture ecclesiali, come proprio la guerra russo-ucraina ha mostrato.
Nelle frasi sulla crudeltà nell'aggressione all'Ucraina che chiamano in causa alcune minoranze etniche il papa utilizza con molta precisione le chiavi di interpretazione delle componenti del mondo russo: la Russia, lo Stato russo, le etnie non russe, tre dimensioni diverse di un’unica e complessa realtà.
Che appoggino incondizionatamente il patriottismo militante, che sperino soltanto nella fine dell’incubo o cerchino timidamente di opporsi rischiando il lager e l’espulsione dalla vita sociale in ogni altro modo, tutti i russi guardano al futuro con un senso di smarrimento e incertezza, rabbia e senso di colpa, frustrazione e orrore del vuoto.
Gli ucraini non devono cercare la “vendetta sui russi”, ma il trionfo della via democratica della società, ispirando non l’esportazione forzata del proprio sistema, ma un vero confronto di civiltà, che nel nostro tempo sta venendo a mancare sempre di più.
Dopo il ritiro da Kherson la guerra sul campo sembra bloccarsi nel confronto di trincea tra le due sponde del Dnepr, tornando a una condizione simile a quella sperimentata nel 1480 nel cosiddetto “Confronto sull’Ugra”. Allora le due forze dell’Oriente e dell’Occidente scelsero di non proseguire la lotta, e la Russia cominciò la sua rinascita fino a sognare di poter diventare la “terza Roma”.
Celebrando il 4 novembre la torbida memoria seicentesca, i russi trovano le ragioni per proseguire nella grande guerra difensiva, ora di fatto impantanata nei fanghi tardo-autunnali delle zone annesse. Ma invece di selezionare eventi passati di gloria imperiale, sarebbe stato meglio non oscurare un’altra data simbolica: quella del 30 ottobre, la memoria dei dissidenti sovietici, oggi cancellata d’autorità.
Lo “zar” russo parla di guerra “difensiva” e salvifica per costruire un mondo nuovo guidato dalla Russia. Mosca si considera il “vero Occidente”, quello delle tradizioni. Per sopravvivere, il presidente russo spera in cambiamenti politici favorevoli in Europa e negli Usa.
A otto mesi dall'inizio della guerra e con l'incombere dell'inverno quali sono le possibili vie d'uscita dallo scenario apocalittico? Per "fermare la follia" come supplica papa Francesco occorrerebbe compromessi che nessuna delle due parti vuole accettare. Ma anche la vittoria di una sull'altra - oltre che improbabile - sarebbe solo la garanzia di una divisione perenne. Bisognerebbe gettare le maschere ipocrite e mettere sul tavolo ciò che veramente desideriamo.
Il grande scrittore russo Viktor Erofeev ha accostato il presidente - con i suoi risentimenti e le manie belliche - ai "banditi di strada" che intendono riprendersi il mondo e vendicarsi di tutte le umiliazioni subite. La “russofobia” è una delle principali motivazioni della guerra di Putin, ma il problema è che non si tratta di un sentimento solo degli avversari, quanto una parte della stessa “anima russa”.
Il Nobel al bielorusso Ales Bialjatskij, il movimento Memorial e il Centro per le libertà civili dell’Ucraina esprime una visione del mondo che contesta radicalmente quella esaltazione dell’identità “sovrana” che ha portato alla guerra. E dice la che risposta ad ogni “egemonia” sta nella difesa della libertà, dei popoli e degli individui.
Tra la protesta e la fuga, in Russia oggi sembra predominare la rassegnazione. I russi hanno paura di perdere Putin, perché non sanno che cosa li può aspettare dopo. Il grigiore di Kirill e la profezia del teologo ortodosso Georgij Kočetkov: "Che ognuno di noi impari a vivere in Cristo, così da non vergognarsi della propria fede e della propria vita… Bisogna cercare la via del servizio a Dio e al prossimo, anche se davanti a te c’è un nemico".
La “religione del fuoco” ha devastato e distrutto centinaia di chiese, e proprio Kirill ha annunciato anche il nuovo programma di restauro degli edifici crollati sotto le bombe da lui stesso auspicate, e sostenute con la preghiera.
La morte di Gorbacev e della regina Elisabetta, il papa in Asia Centrale, la guerra in Caucaso e la controffensiva ucraina, il viaggio di Xi Jinping: tutti eventi che evocano la fine di una stagione, per lasciare spazio a un mondo ancora tutto da descrivere.
Senza gli “agenti stranieri” la Russia non sarebbe la Russia, a cominciare dai metropoliti inviati da Costantinopoli a cristianizzare la Rus’ di Kiev. E forse nessun Paese sarebbe veramente se stesso senza l’influsso dei vicini e dei lontani.
L’apertura alla libertà religiosa non faceva parte del programma iniziale delle riforme. Furono le vicende seguite al disastro di Černobyl a costringere il segretario-presidente a modificare il suo atteggiamento, fino alla sintonia tra che stabilì con Giovanni Paolo II. Ma i russi gli rimproverano la fine dell’Urss come rinuncia al ruolo di potenza mondiale.
Sulla mancata disponibilità all'incontro in Kazakistan ha pesato anche il timore che a Nur-Sultan qualche voce dal mondo ortodosso potesse far risuonare le accuse di "filetismo". Ma la cultura e la tradizione russa sono un patrimonio universale dell’intera cristianità. E quando (speriamo il più presto possibile) taceranno le bombe per ricostruire, l'abbraccio tra Francesco e Kirill sarà quanto mai necessario.
In due discorsi di questi giorni il presidente Putin e il patriarca di Mosca Kirill sono tornati a mostrare come l'obiettivo della guerra non sia solo l’Ucraina ma l’intero Occidente, con il suo modello di società che attribuisce "un valore assoluto alla scelta individuale". Una sfida politica, morale e spirituale.
In Russia inizia a sentirsi la morsa della crisi economica dovuta alle sanzioni occidentali. Putin e i suoi sodali hanno de facto privatizzato tutto il Paese, e lo considerano una loro proprietà. Il peso delle trasformazioni ricade sulla gran parte della popolazione, privata di qualunque voce in capitolo.