Sulle orme di Giovanni Paolo II, il pontefice si recherà nell’ex repubblica sovietica dal 13 al 15 settembre. Parteciperà al Congresso delle religioni. Previsto un incontro con il presidente kazako Tokaev. Possibile un secondo faccia a faccia con il patriarca ortodosso russo Kirill.
La contro-rivoluzione morale - come viene chiamata su alcuni media russi - è lo scopo globale e dichiarato della guerra in Ucraina, e per questo scuote i nervi sensibili dell’Occidente, molto più che per la contiguità geografica tra le armate della Nato e quelle della Russia neo-sovietica.
Giusto cento anni fa furono espulsi dalla Russia sovietica in Germania oltre 300 illustri rappresentanti dell’intelligentsia scientifica, letteraria e artistica che in esilio salvarono la cultura russa dalla cancellazione. Anche oggi a causa della "rivoluzione ucraina" migliaia di docenti, artisti e studiosi di vari campi sono fuggiti dal Paese. Saranno in grado di fare altrettanto?
Più della guerra, dei lager e del cibo, a ridare vita al passato a Mosca è l’insopportabile illusione di una superiorità morale e religiosa, che vorrebbe celebrare la capacità dei russi di unirsi nella solidarietà e nel sostegno ai dirigenti del Paese, proclamando la fine dell’individualismo libertario che rovina le anime dei depravati occidentali.
Alla base della grande idea della pace ci sono valori indiscutibili come l’assoluta dignità degli esseri umani, la superiorità del diritto internazionale, e perfino la reciproca dipendenza economica. Ma ora siamo tornati a discutere dei principi che da sempre istigano i potenti alla guerra: l’affermazione della propria identità nazionale e culturale, la difesa dei propri interessi territoriali e politici, il rifiuto della dipendenza economica dai potentati internazionali.
Mosca oggi denuncia l'ostracismo della propria cultura. Ma fin dalla Rus' di Kiev i russi hanno eliminato ogni riferimento alla "Chiesa madre" di Bisanzio, già allora vittima di una "cancel culture". La follia auto-distruttiva della "riscrittura della storia" accomuna Oriente e Occidente, Russia, America ed Europa, e la guerra in corso non è altro che la grande sanzione punitiva di tutti verso tutti.
I Paesi con cui la Russia oggi si sente in contrapposizione non sono i “nemici”, ma i Paesi “non amichevoli”. Per capire in profondità questa definizione si possono ricordare le tesi di Vladimir Solov’ev, che alle soglie del XX secolo ricordava la “natura femminea” della Russia. In questa prospettiva la guerra è una reazione che afferma l’ingiustizia e la violenza maschile di un Occidente che vive solo di sé stesso e non onora la capacità di sacrificio della sua sposa, il suo desiderio di generare un mondo nuovo.
Da dove nasce il deciso appoggio del patriarcato di Mosca all'aggressione dell'Ucraina piuttosto che al sentimento pacifista? Le ambiguità - in fondo - si ritrovano già della "Dottrina sociale della Chiesa russa" approvata nel 2000. Kirill vorrebbe accompagnare la vittoria militare con la riunione delle Russie, ma il risultato per ora è la perdita di molte parti della Chiesa che vorrebbe farsi universale.
Max Scheler sosteneva che la migliore dimostrazione della cultura russa del risentimento sono gli eroi “umiliati e offesi” di Gogol, Dostoevskij e Tolstoj. Oggi i russi pensano di aver fatto la propria parte dopo la fine della guerra fredda, mentre “gli altri” ne hanno approfittato. Questa rabbia è esplosa in Ucraina facendo vedere a tutto il mondo quanto poco si è capito di un popolo non solo orgoglioso delle proprie tradizioni, ma in grado di smascherare le ipocrisie e le debolezze degli altri.
In ogni dimensione politica, sociale e perfino religiosa, la linea diretta di comando è diventata sempre più importante per Putin e per la sua cerchia più stretta, come principale strumento di propaganda che deve trasmettere l’immagine di un presidente super-efficiente, vicino ai problemi di ciascuno, investito perfino di una missione divina, del quale il Paese non può fare a meno.
La missione dei due fratelli di Tessalonica è davvero una profezia non solo dello sviluppo dei popoli dell’Europa orientale, ma perfino dei loro conflitti. Ben prima del Battesimo di Kiev del 988, delle guerre infinite tra russi e polacchi, fino al conflitto attuale, l’Europa era rimasta incompiuta. E la loro lingua rimasta “scritta sull’acqua” e sul sangue, in attesa di un nuovo miracolo della pace.
Tra le tante accuse legate alla guerra russa in Ucraina ci sono quelle contro “gli anglosassoni”, pronunciate a più riprese dal Cremlino. Al di là delle contrapposizioni culturali questo termine rivela una strategia per dividere il campo dei nemici. Mosca vorrrebbe uscire dal conflitto con un mondo in cui siano ben distinti la Russia, gli anglosaksy e l’Europa.
Al di là delle effettive riconquiste militari, e delle distruzioni nei centri abitati, fino a che punto la popolazione delle cosiddette “repubbliche indipendenti” desidera riunirsi alla Russia?
Ruscismo è il nuovo ideale di conquista del mondo post-globale, in cui al posto dell’omologazione di tutti i popoli, ognuno cerca di vincere una guerra totale. Impone nuovamente l’attualità delle armi che sembrava superata da quasi un secolo. Come alla fine della Belle Époque ottocentesca, quando l’invenzione dell’illuminazione elettrica, della radio e dell’automobile sembrava aver definitivamente tratto l’umanità fuori dalle caverne.
Furono i membri dell’intelligentsija ottocentesca a dargli origine con l'invito ad “andare al popolo” dopo l’abolizione della servitù della gleba. Ma oggi la dittatura dell’ "uomo semplice" sta distruggendo la Russia più ancora della martoriata Ucraina, molto più di quanto abbia fatto in settant’anni l’ateismo militante sovietico.
In Russia e in Ucraina strumentalizzati anche i riti e le tradizioni della Settimana Santa. Il papa e il patriarca di Mosca hanno dovuto annullare l’incontro previsto a Gerusalemme a metà giugno, in “attesa di tempi migliori”. La speranza controcorrente del metropolita Onufryj: "Anche oggi il mondo vive grazie ai giusti che hanno fatto spazio al Signore risorto nel proprio cuore, rendendoli forti e capaci di amare il mondo intero”.
Nella spiritualità russa una categoria di santi sono gli strastoterptsy, “coloro che soffrirono la passione”, spesso perseguitati per motivi politici, che hanno saputo vivere la prova dando testimonianza di una fede profonda. Come i sacerdoti ortodossi che oggi sono disposti a pagare un prezzo per invocare la fine dell’aggressione dell'Ucraina: "Non sono morto e non sono volato su Marte, non abbandono il sacerdozio, ma non posso pregare per la guerra”.
In una novella di Dostoevskij del 1864 un funzionario imperiale di bassa statura siede nel seminterrato della sua casa, offeso con il mondo intero e desideroso di vendetta. In "Guerra e Pace" di Tolstoij - di fronte alla litania bellica del prete Nataša - "pregava Dio affinché perdonasse tutti e lei con loro". Due volti per dire come la cultura russa, oggi vittima del dilagare di propaganda e ideologia, sarebbe preziosa per comprendere davvero quanto sta accadendo in questa guerra.
Nel misto di diffidenza e ostilità che ha lasciato a lungo congelate le relazioni tra cattolici e ortodossi in Russia, l’accusa di proselitismo è stata progressivamente “neutralizzata”. Rimaneva però un’altra accusa, ben più incisiva e storicamente fondata nelle sue varie interpretazioni: quella dell’uniatismo in Ucraina. La storia di una Chiesa fin dal 1596 restia ad esaltare la "terza Roma" moscovita.
Le riletture storiche e gli appelli alla coscienza popolare non possono più giustificare un sistema contro un altro, un Paese contro un altro, un’ideologia contro l’altra. Qulunque sarà l'esito della guerra sarà un mondo diverso per tutti e non solo per la Russia e per l'Ucraina.
La grottesca e tragica Russia descritta nel 2006 da Vladimir Sorokin nel romanzo "Il giorno del gendarme" presenta l’anima tormentata di un Paese che è sempre il primo nemico di sé stesso, e per questo ha bisogno di sentirsi in guerra con tutti gli altri. Sembra quasi che i capi politici e religiosi della Russia attuale sentano il dovere di confermare nei fatti gli incubi della letteratura.
Dai "vecchio-credenti" ai samizdat il dissenso è sempre stato una caratteristica della società russa. E pur con tutta la forza della censura e della repressione messa in campo da Putin negli ultimi anni sta nuovamente emergendo “da sotto i massi”, secondo la famosa espressione di Solženitsyn.
Quello che rimarrà del regime putiniano dopo questa guerra non ha più grande importanza: ha raggiunto il suo scopo, che non era la conquista di Kiev, ma la disintegrazione dell’odiato ordine mondiale chiamato “globalizzazione”. Ma l’Ucraina segna un punto di non ritorno anche per l’Ortodossia che adesso sarà messa alla prova dall’imposizione militare del dogma putiniano.
Il conflitto tra Mosca e Kiev ricomincia ogni secolo da capo in una "guerra di famiglia", come la descrisse nella straordinaria novella "Taras Bulba" il giovane Nikolaj Gogol, proveniente dalla campagna ucraina e preso sotto l’ala protettrice dei grandi poeti imperiali a San Pietroburgo. Il sogno dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà è che sia l'abbraccio pacificatore tra papa Francesco e il patriarca Kirill oggi a scongiurarla.
L’emorragia di sacerdoti “alessandrini” verso il patriarcato russo sembra inarrestabile: la vera “guerra canonica” interna all’Ortodossia si gioca oggi in Africa dove gli interessi di Mosca sono spirituali tanto quanto materiali, pastorali e politici, liturgici e militari al tempo stesso.
Nonostante le professioni di amicizia eterna tra russi e cinesi, che Putin ha rinnovato in occasione dell’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, Mosca guarda all’Asia per divincolarsi dall’Europa e dall’America, e ha bisogno di New Delhi per non essere soffocata dalla Cina. E non è neanche un fenomeno tanto nuovo.
Nello scontro sull'Ucraina vince ancora il grande impero asiatico che nessuno ha mai potuto eguagliare, né gli inglesi del Commonwealth, né gli americani della “democrazia d’esportazione” dell’ultimo secolo. La rottura con l'Occidente lascerà la Russia completamente sola di fronte alla Cina. E i due imperi d’Asia saranno costretti a scoprire le loro carte.
La Russia ospita al suo interno oltre 200 nazionalità, ma esprime una cultura dominata da un popolo solo, quello russo, che in Asia si propone come europeo e in Europa ribadisce il grido d’assalto dei popoli asiatici. Le stesse pretese russe di “garanzie della sicurezza” nelle trattative con l’Occidente per evitare il precipitare del conflitto ucraino, contengono in sé tutte le suggestioni di una nazione che si percepisce come "intercontinentale".
Le tensioni di tutta l'area ex-sovietica rimandano a un concetto che è più di una semplificazione linguistico-geografica. Il respiro universalista affonda le sue radici nella Rus' di Kiev e oggi incarna l'ambizione di Mosca a "vedere lontano". Ma deve fare sempre di più i conti con le reazioni dei "popoli fratelli".