Gerusalemme (AsiaNews) - Una quarantina di carri armati e blindati israeliani sono entrati stamattina presto nel campo profughi di Rafah, vicino alla striscia di Gaza, facendo 3 morti e 20 feriti. L'esercito israeliano ha precisato che il raid rientra nel quadro delle operazioni per scoprire e distruggere tunnel che dall'Egitto permettono di introdurre armi a Gaza. Ieri, nel corso di uno scontro a Gaza, una granata è caduta su un gruppo di militari israeliani, uccidendone 2. Intanto il Ministro degli esteri egiziano Ahmed Maher, rientrato al Cairo, ha dichiarato che l'incidente di cui è stato vittima ieri alla moschea di Al Aqsa non avrà "alcun impatto sull'essenza della politica egiziana Stiamo lavorando per far sì che il popolo palestinese riguadagni i suoi diritti". Ieri, all'uscita della moschea, Maher è stato attaccato da alcuni dimostranti appartenenti a un gruppo islamico radicale chiamato "Movimento di Liberazione Islamico".
Tutte queste notizie sembrano provare in profondità la volontà di pace che esiste in Terrasanta. In un'inchiesta pubblicata ieri sul Jerusalem Post, il sostegno dei palestinesi verso chi usa violenza contro soldati e coloni dei territori Occupati è dell'87%. Ma sebbene vi sia un alto sostegno alla violenza, circa l' 83% è favorevole alla mutua cessazione della violenza e il 73% sostiene che continuare le violenze impedisce il ritorno ai negoziati.
La confusione regna anche nel campo israeliano. Ieri alcuni soldati di Tsahal (l'esercito israeliano) sono stati condannati ad Haifa per essersi rifiutati di combattere contro i palestinesi. Diserzioni e rifiuti a combattere divengono sempre più comuni fra soldati e ufficiali, pur considerati "patrioti" e amanti di Israele.
Nel groviglio contraddittorio di sentimenti e di scelte, nell'aspra stagnazione che regna in Terrasanta, abbiamo chiesto a Mons. Pietro Sambi, Delegato Apostolico di Gerusalemme e Palestina, di offrirci alcune piste per costruire la pace ed avere speranza.