15/06/2016, 13.03
MYANMAR
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Card. Bo: Basta violenze, lavoriamo insieme per la pace nello Stato Kachin

L’arcivescovo di Yangon rivolge un appello al governo, ai ribelli e alla comunità internazionale per la cessazione del conflitto. Più di 150mila persone vivono in capi profughi in mezzo a campi minati. La conferenza di pace di luglio “un’occasione da non perdere”. I leader religiosi, cattolici e protestanti, “stanno fallendo nel lavorare a fianco del popolo per la pace”.

 

Yangon (AsiaNews) – La guerra cronica che da anni insanguina lo Stato Kachin “non ha prodotto vincitori ma solo sconfitti, persone innocenti che languono in campi profughi in mezzo a campi minati, vittime del traffico umano e della droga. Per questo la prossima conferenza di pace organizzata dal governo non deve essere boicottata da nessuno”. È l’appello lanciato da mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, preoccupato dalla tragica situazione della popolazione dello Stato Kachin (nel nord del Paese), dove da anni le minoranze etniche combattono le milizie governative.

Il messaggio del presule inizia con il riconoscimento che “dopo sei decenni di sistema politico soffocante, la democrazia ha preso posto in Myanmar grazie al sacrificio di centinaia di uomini e donne”. Questo sogno, però, “deve essere ancora raggiunto in alcune aree, e mi riferisco allo Stato Kachin devastato dalla guerra. Più di 150mila persone sono chiuse in campi di fortuna: quello che un tempo era un popolo fiero si è trasformato una massa di migranti interni senza un luogo dove andare e che aspetta l’elemosina della comunità internazionale. Mentre i Kachin lottano per trovare un tetto sotto cui dormire, le miniere di giada nei loro terreni fruttano miliardi. Questa è la radice del conflitto”.

La guerra fra il Tatmadaw [nome delle forze armate birmane] e le milizie ribelli Kia (Kachin Indipendence Army) dura ormai da cinque anni. Divampata nel giugno 2011 dopo 17 anni di relativa calma, ha causato decine di vittime civili e almeno 200mila sfollati.

“Con umiltà – prosegue il card. Bo – faccio appello a tutti. Non sono un politico ma vorrei alzare la voce per coloro che sono messi a tacere. Ho vissuto con queste persone per 22 anni, parlo la loro lingua, conosco il loro dolore”. Al nuovo governo del Myanmar, l’arcivescovo chiede di “perseguire la pace con sincerità. Respingendo la passata concezione di ‘Una nazione, una razza, una religione’, vi imploro di lavorare per una nazione multicolore con un sistema federale”. Inoltre, “la Conferenza Panglong del 21mo secolo prevista nel prossimo futuro deve essere tenuta con tutte le parti in causa”.

Il riferimento è ai dialoghi proposti da Yangon e che si dovrebbero tenere il prossimo luglio. In generale accolta con favore dai gruppi etnici, la conferenza è stata pensata dopo che un accordo parziale siglato lo scorso ottobre con i gruppi etnici non ha dato i frutti sperati. La prima Conferenza Panglong fu organizzata nel 1947 dal padre di Aung San Suu Kyi, il generale Aung San, per garantire l’autonomia alle minoranze Shan, Kachin e Chin. Il suo assassinio avvenuto cinque mesi più tardi impedì il rispetto degli accordi.

Secondo il card. Bo, i leader religiosi devono giocare un ruolo prioritario nel progresso verso la pace: “La maggior parte dei Kachin – scrive – sono cristiani battisti, cattolici o di altre denominazioni. La nostra fede ci impone di perseguire la pace. Ma dove siamo nei dialoghi di pace? Io sento che stiamo fallendo con la nostra gente, non agendo in modo attivo per esplorare la pace”. “Non possiamo essere silenziosi – continua l’arcivescovo – riguardo all’oppressione della nostra gente per mano del governo o di altri gruppi armati […]. Uniamoci come cristiani per dare una possibilità di pace a queste terre”.

L’ultimo appello è rivolto al popolo Kachin: “Avete affrontato molte sfide nella vostra storia, possa il Signore donarvi la pace […]. Rimanete uniti, questa guerra è iniziata per la dignità dei Kachin, non separatevi rovinando quel sogno”.

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