05/02/2011, 00.00
INDIA
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P. Antonio Grugni: in India, la missione come testimonianza tra malati e famiglie

di Piero Gheddo
Il lavoro missionario fondamentale per mantenere aperta la Chiesa indiana. Il sacerdote del Pime, cardiologo e specialista della lebbra, ha lavorato fra i malati delle baraccopoli di Mumbai. Trasferitosi nell’Andhra Pradesh, egli ha avviato un’associazione per la riabilitazione di bambini poveri, con handicap e lebbrosi.
Mumbai (AsiaNews) – La Chiesa dell’India, fondata dall’Apostolo San Tommaso, è solidamente stabilita e gode di una invidiabile salute, nonostante i venti di persecuzione. Gli istituti missionari e religiosi che hanno rifondato la Chiesa in India nel secolo XIX si interrogano se ha ancora senso mandare missionari stranieri in una Chiesa che basta a se stessa. La risposta è positiva, anzitutto perché i cattolici sono circa il 2% degli indiani e poi perché i missionari aiutano a rendere missionaria una Chiesa che ha tendenza a rinchiudersi. Lo dimostra padre Antonio Grugni, entrato nel paese nel 1976 come medico cardiologo e specialista della lebbra e nel 1989 diventato sacerdote del Pime.
 
L’Istituto missionario milanese, presente in India dal 1855, vi ha fondato 12 diocesi (tre rimaste in Bangladesh) ed ha una quarantina di membri indiani. Padre Grugni ha lavorato fra i lebbrosi delle baraccopoli di Mumbai per la “Lok Seva Sangham” (Società per il bene del popolo) fondata da padre Carlo Torriani a Mumbai per l’aiuto ai poveri. Dal 2005 Antonio vive a Fatimanagar (Andhra Pradesh) dove ha iniziato il suo gruppo di volontari, lo “Sarva Prema Welfare Society” (Associazione dell’amore per il benessere universale).
 
Oggi il principale problema della chiesa in India è come annunziare Cristo al popolo indiano senza suscitare reazioni negative. Padre Antonio afferma che vuol vivere “la missione come testimonianza”. I missionari hanno sempre evangelizzato costruendo e appoggiandosi a grandi strutture. Pochi hanno tentato di evangelizzare come facevano Gesù e gli Apostoli, quasi senza alcuna struttura d’appoggio e camminando con la gente comune, testimoniando il Vangelo senza alcun sentimento di superiorità, ma semplicemente da amico, da fratello.
 
Nel 2005 padre Grugni inizia sue attività a Warangal. Con un gruppo di collaboratori laici, curano e riabilitano i bambini poveri e handicappati e gli affetti da lebbra, Tbc e Hiv/Aids, attività svolte non in strutture proprie, ma visitando i pazienti e le loro famiglie, attraverso un progetto finanziato dal ministero indiano della Sanità. “La Sarva Prema – dice padre Antonio - si prende cura non solo dei malati, ma dell’intero nucleo familiare in crisi. Si interviene con misure d’urgenza, come dare cibo a chi non ne ha, o interventi a lunga scadenza quali adozioni a distanza per i bambini, pensioni per gli anziani, micro-crediti per iniziare attività artigianali o commerciali. Ai senzatetto costruiamo piccole case in muratura (finora 100). I nostri pazienti e i loro vicini di casa capiscono che non siamo degli assistenti sociali, ma veri amici che li aiutano nelle loro necessità e spesso colgono nella nostra fede cristiana la motivazione profonda del nostro agire”.
Padre Grugni è convinto che la Chiesa in India dovrebbe orientarsi anche verso questa “Mission as Witness”, che lui stesso sperimenta nella sua vita. Ecco in breve:
 
Il valore del contatto personale da parte dell’evangelizzatore.
Gesù mostra chiaramente il valore del contatto personale, che richiede di coinvolgersi a fondo nelle situazioni delle persone. Non basta insegnare una dottrina, bisogna trasmettere una forte esperienza di Dio e per fare questo occorre coinvolgersi nella vita del prossimo. Gesù, da ricco che era si è fatto povero assumendo la natura umana per poter condividere i bisogni degli uomini, identificandosi con i poveri. Non solo fare beneficenza ai poveri, ma vivere una vita austera, sperimentare la rinunzia al superfluo.
 
“La Chiesa in Asia dovrebbe non solo insegnare, ma anche ascoltare e imparare da altre espressioni di fede.La missione non è la proclamazione di verità assolute, ma la condivisione dell’amore appassionato e fedele di Dio con l’umanità che ha trovato il suo compimento in Gesù di Nazareth. La specificità cristiana è quella di manifestare al mondo la nostra esperienza di Dio in Gesù Cristo e come questa fede ha trasformato la nostra vita, infiammandoci di amore. Questo è una forma di proclamazione di Cristo che il mondo indiano è disposto ad ascoltare, ma richiede una conversione quotidiana al Signore Gesù”.
 
“La Chiesa ha bisogno di un minimo di strutture per funzionare ed essere visibile. Il problema sorge quando le istituzioni si moltiplicano a dismisura in tutti i settori. Questo influisce sull’immagine della Chiesa, che appare un’organizzazione potente, ricca di fondi dall’estero (visti con sospetto o invidia), più orientata al lavoro sociale che a trasmettere una profonda esperienza di Dio”. Nella consultazione nazionale sull’evangelizzazione organizzata nel 1994 dalla Cbci (Conferenza episcopale indiana), nelle conclusioni si legge: “Sta crescendo nella Chiesa un senso di insoddisfazione nei confronti dello stile amministrativo prevalente nella Chiesa istituzionale”. La soluzione è di imitare il più possibile Gesù e gli apostoli, cioè la prima missione in un mondo totalmente non cristiano. Nella difficile situazione dell’India, occorre ritornare al metodo di Cristo.
 
La lotta contro mammona. Gesù ha proclamato che è venuto a liberare i poveri e gli oppressi, si è messo con i poveri, i marginali e i pubblicani, contro il potere del denaro. La sfida alla missione oggi non è di essere benefattori dei poveri (l’abbiamo sempre fatto), ma di essere noi stessi poveri, se si vuole che l’opzione per i poveri sia credibile. “Non è raro - dice Antonio – visitando distretti e città, imbattersi in vescovati principeschi (per lo standard di vita locale), conventi lussuosi con tutte le comodità, clero che circola con auto o moto ultimo modello in mezzo a gente che si muove su carri trainati da buoi”. Mons. Matthew Cheriankunnel del Pime, vescovo emerito di Kurnool, scrive nella Prefazione a “Il Vangelo della Rosa” di padre Grugni: “La Chiesa in India dà a volte l’impressione di essere una istituzione potente, ricca di strutture prestigiose, preoccupata soprattutto della propria immagine e sopravvivenza, col rischio che questo diventi una contro-testimonianza”.
 
“Nell’evangelizzazione dell’Asia, la priorità del silenzio, della contemplazione e della preghieranon ha ricevuto la dovuta importanza. La manifestazione di una profonda spiritualità e vita di preghiera può avere da se stessa un valore di evangelizzazione e testimonianza. La fede si diffonde da sola, se si presenta nella forma di umile servizio di compassione” . Così si legge nella Esortazione apostolica “Ecclesia in Asia” del 1999 (n. 23).Padre Antonio ritiene che “la testimonianza della preghiera, del servizio e della compassione (a volte silenziosa), la comunicazione di fede da persona a persona è il miglior metodo di evangelizzazione in Asia”. E cita la “Redemptoris Missio”, che al n. 42 dice: “La prima forma di evangelizzazione è la testimonianza, la vita stessa dei missionari, delle famiglie cristiane e della comunità ecclesiale”.
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