01/12/2016, 10.10
IRAQ
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Profughi : ricostruire Mosul in convivenza e armonia (VIDEO)

di Samir Youssef

 Quattro capi famiglia (cristiano, yazidi, sabei e arabo musulmano), fuggiti nel 2014 da Mosul all’arrivo dello Stato islamico raccontano paure e speranze. Il desiderio di ricominciare a vivere; il tentativo di ricostruire un progetto di convivenza e armonia. Nessuno è esente dal “fanatismo islamico”. Solo Dio può sanarci ed essere fonte di salvezza fra noi. Seconda parte (la prima parte è stata pubblicata ieri).

 

Erbil (AsiaNews) - Ricominciare a vivere lasciandosi alle spalle le violenze delle milizie jihadiste del sedicente Califfato, assistendo “da lontano” alla liberazione di terre, villaggi, città fino alla roccaforte di Mosul. E ancora, ricostruire un progetto di convivenza e armonia - cancellato da anni di guerra e dalla follia dello Stato islamico (SI) - fondandosi sulla ragionevole speranza che solo attraverso pace, riconciliazione, perdono e misericordia si potranno sanare le ferite del passato.

È quanto chiedono i profughi di Mosul e della piana di Ninive, nella seconda parte del racconto/intervista fatto da p. Samir Youssef a quattro capi famiglia in rappresentanza di altrettante fedi ed etnie: si tratta di Zanel, uno yazidi originario di Sinjar; Emad, cristiano di Mosul; Abad, della comunità Sabei di Qaraqosh; Omar Abu Lukman, arabo musulmano di Sinjar. 

P. Samir è parroco della diocesi di Zakho e Amadiya (Kurdistan), che cura 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi che hanno abbandonato le loro case e le terre per sfuggire ai jihadisti. Il sacerdote è in prima linea dall’estate del 2014, quando è iniziata l’emergenza.

Da questa esperienza di dolore e di sofferenza, racconta p. Samir, dobbiamo trarre un insegnamento, senza permettere che il male possa portare delle divisioni fra noi. L’estremismo, il fanatismo sono un male per tutti noi, nessuno è rimasto escluso dalle violenze perpetrate in questi anni in nome del “fanatismo islamico”. E Dio solo può sanarci ed essere fonte di salvezza fra noi. 

L’Iraq è il cuore del mondo e se noi non saremo in grado di vivere assieme, anche nel resto del mondo sarà difficile un percorso di convivenza. Senza la pace in Iraq, anche il mondo non avrà tranquillità. Da questa esperienza dobbiamo uscire ancora più forti e diffondere il messaggio di pace e fraternità nel mondo.

Con lui e con i vescovi irakeni, AsiaNews vuole rilanciare la campagna "Adotta un cristiano di Mosul" in occasione del Natale per aiutarli ad avere cherosene, scarpe, vestiti per l’inverno, sostegno per la scuola ai bambini.

Di seguito, la seconda parte delle testimonianze e dei racconti (clicca qui per leggere la prima parte dell’intervista)). A fine pagina potrete trovare anche i video. 

Che prospettive vede per la vostra terra? Siete in attesa della liberazione?
Zaenl: Noi tutti lo speriamo. Stiamo assistendo [da lontano] alle battaglie e speriamo che presto potremo tornare nelle nostre terre. Non c’è nessuno che non ami la propria terra. 

Emad: Noi stiamo aspettando la liberazione, guardiamo lo svolgersi della battaglia in televisione, seguiamo le notizie. Vogliamo tornare, perché questa è la nostra terra e la terra dei nostri padri, i quali hanno versato il sangue per questa terra. e certo che sì, ci sentiamo male vedendo tutte le nostre chiese e le nostre case bruciate e distrutte, ma siamo pronti a ricostruire tutto di nuovo. Io amo la mia terra. 

Abas: Io sono collegato e comunico con alcune persone tramite il telefono, e che vivono in prima persona i combattimenti. Spero proprio di poter tornare, e di ricominciare a vivere insieme di nuovo. 

Omar Abu Lukman: P. Samir, tu come i musulmani stai aspettando che le terre siamo liberate e che si possa ricominciare una vita nuova. I musulmani che hanno ucciso delle persone hanno sbagliato e saranno puniti per questo. Ma con gli altri, si può ricominciare a vivere insieme. Impariamo dalla storia, dal passato. Perché noi come credenti dobbiamo confidare nella misericordia, nell’amore. Torneremo a vivere insieme, ricominceremo a farlo, e se Dio vuole [inshallah] la nostra terra sarà liberata, e diventeremo fratelli, mettendo alle spalle il passato. Apriremo una nuova pagina, ci perdoneremo l’un l’altro e chiederemo il perdono di tutti voi. E chiediamo a Dio di perdonare noi tutti.

Dalle vostre informazioni com’è la situazione nelle zone liberate, ad esempio Sinjar? 
Zaenl: Le foto che arrivano sono brutte e fanno male. I templi di preghiera, le chiese, le scuole, gli ospedali, quasi tutto a Sinjar è andato distrutto. I danni non si contano solo in città, ma anche in quasi tutti i 20 villaggi che la circondano. Sono andato di persona e ho visto la mia casa distrutta. Lo Stato islamico ha anche costruito molti tunnel sotto la città. 

Emad: Abbiamo guardato con molta tristezza le foto delle nostre chiese bruciate a Basheqa e Mosul; la nostra casa di famiglia a Basheqa è stata svaligiata e depredata. Hanno bruciato tutto.  

Abas: Sono andato a Qaraqosh e mi sono sentito male, tutto era distrutto, i nostri templi di preghiera, le chiese, il sanatorio di Santa Barbara che è amato da tutti, e l’ospedale. Ci sono molti tunnel sotto la città. Le immagini ci hanno colpito, ma speriamo anche che tutto si potrà ricostruire. Ho girato a lungo Qaraqosh, ma non ho potuto rivedere la mia casa perché è stata distrutta. Piangevo mentre osservavo le devastazioni. 

Omar Abu Lukman: Io la mia casa ho potuto rivederla ancora. Era lì, come le altre, fatta con la nostra terra. 

Cosa ti aspetti per il futuro? Si può tornare a vivere insieme?
Zaenl: È quello che speriamo, soprattutto per noi yazidi di Sinjar, che abbiamo sofferto molto. Abbiamo contato più di 9mila persone fra ostaggi e uccisi, molti dei quali bambini, donne, ragazze usate come strumento del sesso. [A questo punto p. Samir ricorda le parole del papa in tema di misericordia, perdono, riconciliazione e l’Anno giubilare da poco concluso]. Certo, solo in questo è riposta la nostra speranza, solo il Signore ci potrà aiutare. 

Emad: Ho sperato molto quando ho visto mettere di nuovo la croce sulla torre della chiesa a Basheqa, dopo che lo Stato islamico aveva distrutto la vecchia croce. Ho sentito una grande gioia, quando ho visto i nostri sacerdoti pregare dentro la chiesa di nuovo, dopo due anni e mezzo. Una tragedia che era già successa 100 anni fa, quando ci hanno ammazzato e cacciato via. Ma noi siamo tornati e abbiamo ricominciato di nuovo. 

Abas: Come dice lei abouna [padre, in arabo, riferito a p. Samir] noi crediamo che si possa vivere solo nell’amore e solo l’amore può vincere. Il mondo senza l’amore non ha senso. E noi speriamo che si possa cancellare tutto questo passato e ricominciare di nuovo. 

Omar Abu Lukman: Certo che si può ricominciare, questa è la nostra speranza. E grazie a voi perché ci avete fatto credere in questo linguaggio dell’amore. Perché i nostri uomini, e i nostri leader, non usano queste parole, non hanno questo linguaggio. 

FINE SECONDA PARTE

 

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