17/05/2010, 00.00
THAILANDIA
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Arcivescovo di Bangkok: spezzare la catena di violenze e ricostruire insieme la pace

Mons. Kovithavanij sottolinea che una frangia delle “camicie rosse” non ha voluto collaborare con il governo, secondo una linea di riconciliazione sostenuta da “tutta l’opinione pubblica thai”. Messe e preghiere dei cattolici per la fine del conflitto. Ancora 5mila oppositori asserragliati nel distretto commerciale. L’esercito pronto al blitz per disperdere i manifestanti.
Bangkok (AsiaNews) – “Dobbiamo spezzare questa catena di violenze e ricostruire tutti insieme un’atmosfera di pace”. È l’appello lanciato attraverso AsiaNews da mons. Francis Xavier Kirengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, mentre è scaduto da poco l’ultimatum del governo che intima i manifestanti ad “abbandonare la zona occupata della capitale entro le 15”. Anche ieri in tutte le chiese della Thailandia si è pregato per la fine del conflitto, aggiunge l’arcivescovo, che in cinque giorni ha causato 36 morti e circa 250 feriti.
 
Mons. Kovithavanij ricorda la “road map” per la pace e la riconciliazione in cinque punti proposta dal governo, sottolineando che “tutta l’opinione pubblica thai era favorevole a questa via di uscita”. Tuttavia, aggiunge il prelato, “una parte delle ‘camicie rosse’ non ha voluto e non vuole collaborare con il governo”, privilegiando la linea dura. Egli ritiene che “l’esecutivo andrà certamente avanti” mantenendo una posizione ferma e intransigente, “anche se gli oppositori non intendono fermare le manifestazioni”.
 
L’arcivescovo di Bangkok spiega che l’escalation di violenze degli ultimi giorni “proviene da una frangia delle ‘camicie rosse’ vicine al generale gen. Khattiya Sawasdipol” morto questa mattina in ospedale. “Vi è una parte dei manifestanti – chiarisce il prelato – che vuole la violenza e non ha interesse a negoziare con il governo”. Il generale “rosso” aveva ricevuto l’incarico da Thaksin Shinawatra, l’ex premier in esilio, di “andare avanti con le manifestazioni di piazza”, promuovendo un’ala militare del movimento anti-governativo capace di fronteggiare l’esercito. Il ferimento del generale, avvenuto la sera del 13 maggio, ha scatenato la successiva ondata di violenze.
 
L’esercito ha intimato ai manifestanti di abbandonare l’area occupata nel distretto commerciale della capitale. Alle 15 ora locale è scaduto l’ultimatum e i militari si preparano “alla resa dei conti”. Attraverso megafoni, appelli tv e messaggi sms sui telefoni cellulari l’esecutivo ha avvertito i dimostranti che “devono lasciare la zona”. Un appello rilanciato dall’arcivescovo di Bangkok, che chiede alla gente di “tornare a casa, perché la protesta si è spinta troppo oltre”. Fonti della polizia riferiscono che, al momento, sono ancora 5mila le camicie rosse ancora asserragliate nel quartiere finanziario di Bangkok.
 
“Anche l’ospedale cattolico di Saint Louis – aggiunge il prelato – si è prodigato nella cura dei feriti. come cristiani abbiamo indetto un comitato per la pace, cerchiamo il dialogo con le altre confessioni religiose, ma non è possibile al momento lanciare iniziative di riconciliazione. È meglio che le persone restino a casa, per non alimentare la confusione”. “Abbiamo ancora una speranza – conclude mons. Francis Xavier Kirengsak Kovithavanij – per spezzare la catena di violenze e ricostruire un’atmosfera di pace”.
 
Fonti di AsiaNews nella capitale spiegano che alla base della crisi politica vi sono “profondi squilibri sociali” che hanno causato “enormi differenze fra le masse povere e l’elite economica e finanziaria concentrata nella capitale”. “La casa reale e i militari – aggiunge la fonte – sostengono l’attuale governo, che ha preso poche iniziative concrete per migliorare la situazione delle aree agricole”. Una crisi politica e sociale, conclude, che ha messo a nudo “la debolezza del re e della monarchia, il cui silenzio rivela l’implicito sostegno all’esecutivo, ma ha contribuito ad acuire la frattura in seno alla società”.
 
Come emerge da un fondo pubblicato dal Bangkok Post, ora alle “camicie rosse” non resta che usare i manifestanti come “scudo umano”, sapendo che anche il governo ha interesse a “evitare lo spargimento di sangue”. Ma il tempo delle trattative, sottolinea il giornale, è finito e “nessuno nell’esecutivo è interessato” alle nuove condizioni poste dai leader del partito di opposizione “rosso” United Front for Democracy against Dictatorship (UDD) per risolvere la crisi. (DS)
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