05/08/2025, 14.12
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Baghdad: nella norma sulla ‘libertà di espressione’ i rischi di una legge-bavaglio

di Dario Salvi

Il Parlamento discute una proposta normativa che vuole regolare il diritto a manifestare ed esprimere il dissenso. I timori di attivisti e ong secondo i quali il testo - che non è stato resto ancora pubblico - rischia di affossare le libertà personali e civili in una nazione che si avvia al voto. Fra gennaio e giugno almeno 20 persone incriminate per esercizio pacifico “di libertà di espressione”.

Milano (AsiaNews) - Una proposta di legge sul diritto a manifestare ed esprimere il dissenso al vaglio del Parlamento in Iraq sta alimentando proteste e preoccupazioni, oltre a crescenti critiche, di esperti legali, attivisti e personalità della società civile e ong pro diritti umani. Col pretesto di salvaguardare le “libertà pubbliche”, la nuova norma potrebbe infatti essere usata per reprimere critiche e manifestazioni di piazza in una fase critica della vita del Paese che si sta avviando ad una nuova - e decisiva - tornata elettorale. Interpellato da Shafaq News l’esperto di diritto Ali al-Tamimi ha dichiarato a che l’attuale bozza si basa su termini vaghi come “ordine pubblico” e “moralità”, che potrebbero essere sfruttati per mettere a tacere le voci dell’opposizione. “L’ambiguità - avverte - in particolare per quanto riguarda le definizioni di spazi pubblici e privati e le responsabilità poco chiare delle forze di sicurezza, potrebbe aprire la porta ad arresti arbitrari e abusi legali”. Gli fa eco Hussein al-Mulla, portavoce del Digital Media Center, il quale riconosce la “necessità” di regolamentare le manifestazioni, ma avverte anche che il legislatore “non deve ostacolare il diritto a riunioni pacifiche”. Un principio ancor più valido in una nazione in cui “i movimenti di protesta sono spesso visti con diffidenza dai sistemi politici” a fronte di una “legislazione equilibrata che rispetti i diritti fondamentali”.

Una legge controversa

La prima lettura del disegno di legge della discordia ha avuto luogo il 3 dicembre 2022 e la seconda il 9 maggio 2023. All’epoca, i testi e le norme previste avevano scatenato una forte ondata di protesta da parte di attivisti e organizzazioni della società civile irachena secondo i quali, se convertita in legge, avrebbe violato diritti di base tutelati dalla legislazione nazionale e dalle convenzioni internazionali. L’analisi condotta da Amnesty International (AI) sulle precedenti bozze della legge a cui l’organizzazione ha avuto accesso ha sollevato preoccupazioni in merito alle restrizioni sproporzionate alla libertà di espressione basate sulla “morale pubblica” o sul cosiddetto “ordine pubblico”. A questo si aggiunge anche l’impatto sulle libertà personali di base, con la possibilità di arresti e detenzioni arbitrarie a discrezione dell’autorità. 

La sera del 31 luglio scorso il Parlamento ha diffuso una nota in cui si affermava che commenti e valutazioni espresse dalla società civile erano stati presi in considerazione e analizzati nella stesura dell’ultima versione della bozza, ribattezzata “Legge sulle riunioni pacifiche”. Inoltre, proseguiva il legislatore, tutti gli articoli riguardanti la libertà di espressione e le relative sanzioni penali erano stati eliminati, proprio nello spirito di “non limitare le proteste”. In realtà, a dispetto degli annunci e delle dichiarazioni le discussioni sulle modifiche ai testi si sono svolte per lo più in privato, in un processo che secondo la società civile manca di trasparenza e inclusività. Non è stata pubblicata alcuna bozza ufficiale della norma sottoposta a discussione in sede parlamentare il 2 agosto scorso, rendendo difficile la valutazione di un rispetto effettivo di libertà personali, diritti umani e internazionali. Oltretutto, le autorità hanno fatto sempre più ricorso agli articoli del codice penale iracheno relativi alla diffamazione, al vandalismo e alla distruzione di edifici governativi per arrestare e condannare attivisti e giornalisti ad anni di carcere o multe. 

Libertà di espressione

Uno dei cambiamenti più significativi nell’attuale bozza è la rimozione dei riferimenti alla “libertà di espressione” e al “diritto alla conoscenza” sia dal titolo della legge che dalle sue definizioni fondamentali. Originariamente denominata “Legge sulla libertà di espressione, di riunione e di manifestazione pacifica”, la nuova definizione segnala una riduzione dell’ambito di applicazione, escludendo protezioni esplicite per i diritti di espressione e dei media. Gli emendamenti introducono anche diversi nuovi termini giuridici precedentemente assenti, fra i quali sit-in, assembramenti spontanei e scioperi, e la loro inclusione conferisce status giuridico a forme di protesta che in precedenza operavano in una zona grigia. Sebbene questa mossa sia stata accolta con favore come un passo verso il rispetto degli standard internazionali, le modifiche consentono ancora alle autorità di richiedere l’autorizzazione con cinque giorni di preavviso, opporsi negando i permessi, o di cambiare il luogo in cui si svolgono. Infine, la legge introduce la responsabilità condivisa per i danni e se gli autori restano sconosciti, lo Stato è tenuto a risarcire le vittime.

Gruppi pro diritti umani hanno espresso preoccupazione per la presenza di nuove restrizioni, tra cui l’insulto alle sette religiose, il divieto di proteste notturne e vincoli alle manifestazioni su strade pubbliche, vicino a ospedali, scuole ed edifici governativi. Amnesty International e la Fondazione Insm per i diritti digitali sottolineano che sono parte di una politica più ampia di repressione del dissenso, compreso l’arresto di critici del governo. “I legislatori devono votare contro o proporre emendamenti a qualsiasi legge che aumenterebbe l’arsenale di strumenti” volti a “limitare lo spazio civico o tradire gli impegni costituzionali e internazionali a tutela della libertà di espressione e di riunione pacifica” afferma Razaw Salihy, ricercatore AI in Iraq. “Tuttavia, senza una reale trasparenza e senza un dibattito pubblico sull’attuale bozza, la società civile è costretta a indovinare cosa verrà sottoposto al voto dei legislatori” prosegue l’esperto. “Alla luce dei precedenti dell’Iraq in materia di repressione della libertà di espressione e di riunione, il timore - avverte - è che la nuova legge non porterà i cambiamenti positivi tanto necessari” a dispetto delle rassicurazioni di facciata dei parlamentari. A conferma delle preoccupazioni, fra gennaio e giugno di quest’anno, almeno 20 persone sono state incriminate per l’esercizio pacifico “della libertà di espressione”.

Tensioni verso il voto

Negli ultimi anni l’Iraq è stato teatro di manifestazioni imponenti e ripetute contro la corruzione radicata nella classe politica e dirigente, alimentate da disservizi fra i quali le frequenti interruzioni di energia elettrica o violenze legate a gruppi armati fra i quali lo Stato islamico (SI, ex Isis). Le autorità in più di un’occasione hanno represso il malcontento con la forza, come avvenuto nel biennio 2019-2020 in cui i movimenti di piazza - senza distinzioni etniche, confessionali o religiose - hanno portato alle dimissioni dell’allora premier Adel Abdul Mahdi. Le criticità risultano più frequenti durante il periodo estivo, quando la carenza di elettricità, la cronica mancanza di acqua e temperature che superano spesso i 50 gradi rendono la vita della popolazione difficoltosa, tanto da scendere in piazza a dimostrare. Nelle scorse settimane centinaia di persone hanno protestato la vicino alle città di Hilla e Diwaniyah, a sud di Baghdad, bloccando le strade e bruciando pneumatici, per protestare contro la carenza di risorse in una fase delicata del Paese a pochi mesi dalle elezioni parlamentari.

Di recente il ministero delle risorse idriche iracheno ha affermato che il 2025 è stato “uno degli anni più secchi dal 1933” e che le riserve idriche sono scese all’8% della loro capacità totale, ma parole e dichiarazioni non servono a fermare il malcontento e non bastano ad arginare l’ira della piazza. Da qui la scelta, almeno di una parte del panorama istituzionale, di inasprire le norme per impedire alle persone di esprimere pubblicamente il malcontento. Fra quanti criticano la ratio della legge e l’iter parlamentare vi è il cofondatore dell'Organizzazione per i diritti umani Hammurabi, che parla di poca trasparenza e mancanza di coinvolgimento. Il testo, sottolinea William Warda a Middle East Eye (Mee), rischia di non rispettare “gli standard internazionali in materia di diritti umani. Senza informazioni, non possiamo parlare di libertà di espressione” mentre, prosegue, il Paese dovrebbe “rafforzare i meccanismi di responsabilità”. Il settore privato come i partiti politici, le aziende e le organizzazioni, conclude, devono “essere soggette al principio di trasparenza” e non devono essere immuni da critiche e controlli. 

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