27/05/2025, 11.44
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Imamoglu e i curdi: la doppia partita per il potere del sultano Erdogan

di Dario Salvi

Almeno quattro ondate di arresti hanno decimato i vertici della municipalità di Istanbul. In cella oltre al sindaco e leader dell’opposizione oltre 200 persone. Il Chp accusa il governo di usare la magistratura come “arma politica”. Sullo sfondo l’apertura del presidente al Pkk, per “arruolare” i curdi nel piano volto a cambiare la Costituzione. 

 

Milano (AsiaNews) - Almeno quattro diverse ondate di arresti hanno decimato la leadership del Partito Popolare Repubblicano (Chp), all’indomani del fermo del sindaco di Istanbul e candidato presidente dell’opposizione Ekrem Imamoğlu il 19 marzo scorso. Col pretesto della lotta alla corruzione e di presunti reati finanziari, la magistratura ha di fatto smantellato i vertici della capitale economica e commerciale del Paese, spalancando le porte del carcere a capi dipartimento, collaboratori, portavoce e amministratori di alto livello. “Stanno avvelenando la vita di persone innocenti - sottolinea in una nota il presidente Chp Özgür Çelik - con incursioni mattutine non effettuate contro i veri criminali. Stanno perseguitando le persone, fermando a più riprese quanti hanno già arrestato in precedenza”. Fra i 49 incarcerati nell’ultima ondata della scorsa settimana vi sono Kadriye Kasapoğlu, capo dello staff di Imamoğlu, insieme a Yavuz Saltık e Ali Kurt, che sono stati prima arrestati e successivamente rilasciati.

Gli arresti arma politica

Perquisizioni nelle abitazioni, raid all’alba, mandati di cattura e visite negate in carcere. A dispetto delle affermazioni del governo e del presidente Recep Tayyip Erdogan, che rivendicano l’indipendenza della magistratura, il potere giudiziario è ormai coinvolto a pieno titolo nella lotta per la leadership nel Paese. Soprattutto dall’arresto del sindaco di Istanbul, per critici e attivisti una chiara decisione di matrice “politica” che ha come unico obiettivo quello di eliminare il principale rivale del “sultano” alla guida della Turchia. I numeri mostrano la portata della caccia contro Imamoğlu e i suoi collaboratori nelle quattro ondate di arresti avvenute il 19 marzo, il 26 aprile, il 20 maggio e il 23 maggio scorso: almeno 229 persone in prigione, otto ai domiciliari e 26 in libertà condizionata in un quadro di crescente repressione. 

In un messaggio su X (ex Twitter) il vicepresidente Chp Gökhan Günaydın accusa: “Un funzionario Ibb [municipalità di Istanbul] deve essere pronto ogni mattina a una operazione che può sfociare in un arresto, anche se è già stato detenuto e rilasciato in precedenza”. Il vicepresidente Chp per le Elezioni e gli affari legali Gül Çiftci parla di strategia del governo che ha “armato il sistema giudiziario per manipolare la società e reprimere l’opposizione”. “Questa - prosegue - non è altro che una campagna di vendetta politica. Il regime sta usando lo Stato come un’organizzazione criminale per impadronirsi dei comuni. La magistratura agisce come esecutore del palazzo. Questo non è solo il rumore dell’avvicinarsi del fascismo, è il fascismo stesso” che va contro la “volontà del popolo di Istanbul: questo popolo non si piegherà, non si inginocchierà e non sarà messo a tacere!”. A questo si aggiunge il divieto di visita in carcere per il sindaco Imamoğlu, al quale il tribunale ha imposto la chiusura dei canali social e la rimozione delle immagini dagli spazi pubblici nel tentativo di oscurarne la memoria. 

La Costituzione del sultano

Alla campagna di arresti di alte personalità dell’opposizione e di alleati del sindaco di Istanbul fa da contraltare l’incertezza sul futuro politico di Erdogan che stante l’attuale Costituzione non sarebbe eleggibile per un ulteriore mandato. Di recente lo stesso capo dello Stato si è espresso sulla questione, affermando di non nutrire ulteriori ambizioni e di non avere intenzione di ricandidarsi. Parole che, secondo analisti ed esperti, in realtà celano un programma ben diverso che ha come obiettivo quello di continuare a guidare il Paese benché ad oggi tutti i principali sondaggi indichino come favorito alle urne il sindaco in prigione. 

Il leader del Partito di Giustizia e Sviluppo (Akp) si è appellato ai vertici del Partito Popolare Repubblicano (Chp) chiedendo sostegno nel cammino di riforme che ha come obiettivo ultimo la modifica della Carta fondante dello Stato. “Uniamo le forze - è l’invito di Erdogan in un’intervista nel volo di ritorno dall’Ungheria - vogliamo una nuova Costituzione non per noi stessi, ma per il nostro Paese.” Il presidente si è poi rivolto al Chp, lo stesso partito che vede i suoi membri decimati nelle purghe di Istanbul, esortandoli a “unire le forze” per dare un nuovo volto alla nazione. “La più grande eredità che possiamo lasciare ai nostri figli - ha proseguito - sarà una Turchia senza terrorismo” riferendosi al processo di pace col Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). 

Il presidente ha poi attaccato frontalmente l’attuale Costituzione, affermando che in un mondo “in rapido cambiamento” non si può andare “da nessuna parte con una Costituzione vecchia e redatta in condizioni di colpo di Stato. […] E poco importa quanti siano stati gli emendamenti”. Il riferimento è alla Carta ratificata il 7 novembre 1982 da un referendum popolare che si è tenuto con la giunta militare al potere fra il 1980 e il 1983, che ha sostituito la precedente del 1961. Peraltro dalla sua entrata in vigore ha registrato almeno 19 modifiche, tre delle quali tramite referendum e con l’introduzione del presidenzialismo. 

“Ho sottolineato la necessità di una Costituzione civile, democratica e libertaria. Oggi mantengo questa posizione” ha ribadito Erdogan. “Abbiamo bisogno di una Costituzione scritta non da leader golpisti, ma da civili. A tal fine, noi dell’Akp - ha avvertito - ci stiamo lavorando e abbiamo incaricato alcuni dei nostri colleghi di farlo”. Lanciando la palla nel campo avversario, affermando che “la questione chiave è se il Chp si unirà a noi in uno sforzo condiviso per redigere una Costituzione civile”, il presidente ha concluso affermando: “Non ho intenzione di essere rieletto o di ricandidarmi”. Le dichiarazioni del presidente hanno alimentato le voci sul futuro, che per molti analisti vedrà comunque la presenza del sultano - al potere come primo ministro dal 2003 e presidente dal 2014 - a prescindere dalle smentite di facciata. Sebbene una fetta consistente del Paese e del suo elettorato continui a sostenerlo, egli appare oggi svantaggiato nei sondaggi rispetto al leader dell’opposizione, pur confinato in una cella di prigione. 

Curdi: da nemici ad alleati?

Sebbene la detenzione di Imamoglu sia stata ampiamente criticata a livello internazionale, Erdogan ha saputo evitare gli attacchi restando un attore primario negli scenari di crisi, a partire dalla guerra in Ucraina. Ed è tuttora un alleato chiave per l’Occidente all’interno dell’alleanza atlantica (Nato). Tornando alle questioni interne, il referendum del 2017 ha garantito ampi poteri al capo dello Stato, pur limitando la carica a due soli mandati. Per poter indire un altro referendum e cambiare i termini egli ha bisogno del sostegno di 360 deputati nel Parlamento di 600 seggi, ma al momento può contare solo su 321. E con 400 voti potrebbe cambiare la Costituzione immediatamente, senza bisogno della consultazione popolare. La sua recente mossa di porre fine a più di quattro decenni di conflitto col gruppo militante curdo Pkk - sebbene il suo leader Abdullah Ocalan sia tuttora in carcere - è stata interpretata da alcuni come un tentativo di attirare il sostegno curdo per una nuova Costituzione. Lo stesso Erdogan ha affermato nei giorni scorsi che, deponendo le armi, il Pkk avrebbe permesso al braccio politico Partito democratico del Kurdistan (Dem) di continuare “in modo molto più forte”. Del resto il Dem può contare oggi su 56 deputati e, col loro sostegno, il presidente avrebbe maggiori possibilità di cambiare la Costituzione in Parlamento.

Ecco perché la “questione curda” - la svolta del governo che ha aperto un canale di dialogo col Pkk e i vertici del movimento combattente che hanno dichiarato la fine della quarantennale lotta armata - rappresenterebbe il segno più evidente del tentativo del “sultano” di restare in sella. L’obiettivo di iscrivere i Dem nello sforzo parlamentare per emendare la Costituzione “ha aperto la strada al dialogo coi curdi”, scrive Sinan Ulgen, ex diplomatico turco e direttore del think tank con base a Istanbul Edam. “La decisione - prosegue - segna una svolta non solo per la Turchia, ma per l’intero Medio Oriente. Sin dalla sua fondazione, alla fine degli anni '70, da parte di Abdullah Ocalan, ora in carcere, il Pkk è stato motivato principalmente dall’obiettivo di creare uno Stato curdo indipendente, cercando anche di garantire i diritti politici della minoranza curda”. Il governo di Erdogan potrebbe dunque assicurarsi una rapida vittoria in questo campo, conclude l’esperto, “rispettando le recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, compresa la richiesta di rilasciare il leader politico curdo Selahattin Demirtas”. 

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