11/06/2007, 00.00
ARABIA SAUDITA
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Bersagliata dalle accuse, la polizia religiosa annuncia una piccola riforma

Dopo l’arresto di 18 dei suoi uomini, coinvolti nella morte di tre persone, la “muttawa” istituisce un dipartimento legale. Persino la Società saudita per i diritti umani l’accusa di estorcere confessioni “con la forza”.

Riyadh (AsiaNews) – La creazione di un “Dipartimento delle leggi e dei regolamenti” è il primo e, almeno per ora, unico effetto delle accuse e delle critiche che negli ultimi tempi si stanno concentrando sulla muttawa, la potentissima polizia religiosa dell’Arabia Saudita. Legata alla Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, la muttawa si occupa soprattutto di perseguire chi beve alcolici, non veste secondo le regole islamiche o tiene comportamenti “immorali”, ma anche di reprimere ogni attività religiosa, anche privata, non in linea con l’islamismo wahabita.

Forte di 4mila uomini e accusata di praticare normalmente la tortura, la muttwa si è trovata ultimamente nell’occhio del ciclone per l’arresto di 18 suoi componenti, accusati della morte di due sauditi, a Riyadh e Tabuk, e nel suicidio, a Gedda, di una domestica, gettatasi da un edificio nel quale erano entrati gli agenti. La pur timida Società nazionale per i diritti umani (NSHR) dell’Arabia Saudita nel suo primo rapporto l’ha inoltre accusata di aver “ottenuto confessioni con la forza” e di diverse violazioni ed è arrivata a chiedere la modifica della legge istitutiva della stessa Commissione.

Ora, il presidente della Commissione, Sheikh Ibrahim Al-Ghaith, per replicare alle accuse di comportamenti illegali, ha annunciato la creazione del Dipartimento, “per essere consultato da membri della Commissione se non sono sicuri di qualcosa o hanno bisogno di pareri legali”.

Per il resto, Al-Ghaith, nel corso di un incontro con i giornalisti, del quale dà notizia Arab News, ha dovuto soprattutto difendere l’operato degli uomini della muttawa, sotto accusa, oltre che per le morti, “sulle quali si sta indagando”, per l’utilizzo di informazioni raccolte illegalmente, ad esempio, dalle rubriche dei telefonini. “Sono confiscati solo se fanno parte di un reato”, ha replicato in proposito. Ma nulla ha detto a proposito delle “confessioni forzate”.

Tra le altre accuse e critiche rivolte, e negate, quella di aver arruolato pregiudicati e quella dell’esistenza di una fatwa che proibisce di sottoporre a giudizio gli uomini della muttawa. “C’è solo – ha detto - una fatwa del precedente gran muftì dell’Arabia Saudita, Sheikh Muhammad Al-Ibrahim, secondo la quale i membri della Commissione non hanno bisogno di prove, quando rendono testimonianza”.

 

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