30/05/2025, 14.14
CAMBOGIA-VATICANO
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Buddhisti e cristiani da Phnom Penh: 'Riconciliazione e resilienza, vie per la pace'

La riflessione di 150 delegati giunti da numerosi Paesi dell'Asia e dal resto del mondo nella capitale della Cambogia per l'ottavo Colloquio organizzato dal dicastero per il Dialogo interreligioso. Ricordato l'esempio di Maha Ghosananda, il venerabile maestro Theravada che fu vicino alle vittime del genocidio. "Attraverso l'amore, la giustizia e la solidarietà umana duratura costruiamo un mondo dove la pace sia più della semplice assenza di conflitto”.

Phnom Penh (AsiaNews) - “Immaginiamo la pace come la presenza attiva dell’amore, della giustizia e della solidarietà umana duratura”. È il messaggio che da Phnom Penh rivolgono al mondo al termine dei loro lavori i 150 rappresentanti di comunità buddhiste e cristiani che dal 27 al 29 maggio, nella capitale della Cambogia, hanno dato vita all’Ottavo Colloquio buddhista-cristiano, promosso dal dicastero vaticano per il Dialogo interreligioso insieme alla Preah Sihanouk Raja Buddhist University e alla Chiesa cattolica del regno della Cambogia.

Rappresentanti provenienti da Cambogia, Hong Kong, India, Italia, Giappone, Laos, Malaysia, Mongolia, Myanmar, Singapore, Corea del Sud, Sri Lanka, Taiwan, Thailandia, Vietnam, Stati Uniti e Santa Sede - insieme a due delegati della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (Fabc) - hanno affrontato insieme il tema “Buddisti e Cristiani che lavorano insieme per la pace attraverso la riconciliazione e la resilienza”.

Un tema particolarmente significativo in un Paese come la Cambogia, che proprio in queste settimane ha ricordato i 50 anni dell’ascesa al potere dei Khmer rossi, che segnò l’inizio del terribile genocidio. Non a caso nel corso della riflessione è stata a più riprese richiamata la testimonianza di Maha Ghosananda (1913-2007), il venerabile maestro buddhista della tradizione Theravada considerato il “Gandhi della Cambogia” per la sua vicinanza alle vittime della violenza e il suo impegno per la ricostruzione del Paese alla fine dell’orrore dei khmer rossi.

“Ci siamo incontrati a Phnom Penh – scrivono i partecipanti cristiani e buddhisti in una nota conclusiva diffusa dal dicastero per il Dialogo interreligioso - per riflettere sui nostri testi sacri, insegnamenti spirituali ed esperienze vissute come fonti di guarigione e speranza per un mondo ferito da violenza, ingiustizia e sfruttamento. Durante questi giorni, abbiamo pregato, visitato i luoghi di culto reciproci, studiato e ci siamo incontrati in uno spirito di rispetto e amicizia reciproca. Le nostre conversazioni sono state caratterizzate da un ascolto attento e dalla scoperta di una saggezza condivisa: entrambe le tradizioni invitano alla trasformazione dei cuori e delle società attraverso la compassione e la verità”.

Insieme citano due versetti molto significativi delle rispettive tradizioni religiose - “’L’odio non cessa con l’odio, ma solo con l’amore; questa è la legge eterna’ (Dhammapada 5) e “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5,9) – che “le pratiche di Metta (gentilezza amorevole), Karuna (compassione) e distacco consapevole” incoraggiano a intraprendere “percorsi che coltivano la pace interiore e favoriscono l’armonia nella società. La vita e la testimonianza di innumerevoli praticanti buddhisti”. E proprio la testimonianza di Maha Ghosananda e di tanti martiri che hanno vissuto la parola di Gesù mostrano “che anche le ferite più dolorose della storia possono essere trasformate attraverso la compassione, la saggezza e la resilienza spirituale”.

Sulla base di tutto questo i partecipanti al Colloquio di Phonm Penh si sono ritrovati uniti nell’affermare quattro principi:
- la riconciliazione non è la cancellazione della memoria, ma un coraggioso processo di verità, guarigione e ristabilimento delle relazioni;
- la resilienza si nutre della forza interiore, radicata nella fede e sostenuta da comunità che difendono la dignità di ogni persona;
- costruire la pace richiede di affrontare le cause più profonde del conflitto — povertà, degrado ambientale, ingiustizia sociale e negazione dei diritti umani;
- le nostre rispettive tradizioni religiose offrono risorse etiche e spirituali profonde per affrontare le sfide di oggi con compassione, coraggio e speranza.

Riconoscendo “il ruolo essenziale dell’educazione nella formazione delle nuove generazioni ai valori della nonviolenza, del dialogo e della cooperazione interreligiosa”, i partecipanti al Colloquio hanno sottolineato “la responsabilità dei leader religiosi e delle comunità di incarnare la riconciliazione in modi concreti: sostenendo chi soffre, promuovendo la giustizia e coltivando la pace interiore”. Per questo nel tornare alla propria esperienza quotidiana ciascuno da questo incontro porta con sé “un rinnovato impegno a camminare insieme come amici e compagni spirituali; un maggiore apprezzamento delle tradizioni e della saggezza reciproca e una ferma determinazione a essere strumenti di pace, guarigione e speranza in un mondo ferito”.

Esprimendo gratitudine alle comunità della Cambogia che hanno ospitato questo appuntamento - il vicariato apostolico di Phnom Penh, i leader buddhisti, le autorità nazionali e gli altri organizzatori - i delegati buddhisti e cristiani, ricordando "tutti coloro che hanno sofferto e continuano a superare le avversità grazie alla resilienza", invitano a dedicare "i frutti di questo Colloquio al fiorire di un mondo in cui la pace sia più della semplice assenza di conflitto”.

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