05/03/2024, 10.17
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Card. Sako: a Riyadh una realtà ‘sorprendente’. E ho benedetto migranti cristiani

di Dario Salvi

Il 20 febbraio il patriarca caldeo ha partecipato al terzo forum del governo saudita sui media come “ponti” di pace, il  Kaiciid partner dell’evento. Il rapporto fra cristiani e musulmani, in una nazione in “evoluzione”. Il richiamo a una forma di “sinodalità” anche per l’islam. La “saggia” posizione di Riyadh nella guerra in Terra Santa. E alla Santa Sede: “Dobbiamo dialogare, discutere” coi sauditi. 

Milano (AsiaNews) - “La benedizione e il segno della croce” impresso sulla fronte di un gruppo di migranti cristiani, perlopiù indiani e filippini, alle dipendenze di un ristorante come camerieri e personale di sala. L’accoglienza all’aeroporto di un poliziotto “che mi chiama ‘Abouna’ [padre, in arabo]” usando parole e gesti “di rispetto”. E donne “senza velo”. La partecipazione patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, ad un forum sul ruolo dei media nel dialogo interreligioso, che si è tenuto il 20 febbraio scorso a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita, è stata una “esperienza sorprendente”. Perché il Paese, culla dell’islam sunnita e oggi cantiere di riforme e progetti nell’ambito della “Vision 2030” del principe ereditario Mohammad bin Salman (Mbs), si è rivelato agli occhi del porporato un luogo di apertura e incontro con il quale, avverte, “la Santa Sede deve aprire un dialogo serio”. 

Chiesa e islam

Il card. Sako si è recato in Arabia Saudita “su invito delle autorità locali” tiene a sottolineare raccontando l’esperienza ad AsiaNews, quarto porporato a visitare il regno dopo il patriarca maronita Beshara Raï, il card. Jean-Louis Tauran e il card. Christoph Schoenborn. “L’occasione - spiega - era la partecipazione al terzo forum sui media” promosso dal governo in partnership col Kaiciid, una realtà saudita “impegnata nel dialogo interreligioso” che già in passato, in occasione di incontri a Vienna [prima sede dell’organizzazione] “mi aveva chiesto di partecipare”. “Ero il solo ecclesiastico presente - prosegue - accompagnato dall’ausiliare [di Baghdad] mons. Basilio Yaldo e ho sviluppato il mio intervento partendo dal tema dell’evento, il ruolo dei social media in una prospettiva di pace e di dialogo”. La prima volta nel Paese, continua il porporato, è stata “una esperienza particolare, sotto certi aspetti sorprendente e inaspettata” per una realtà che si presentava a lungo “chiusa, radicale, culla dell’islam”. In realtà, prosegue, “all’arrivo in aeroporto, con indosso un clergyman, il poliziotto mi ha chiamato ‘Abouna’ invitandomi a proseguire con parole di rispetto”; nell’albergo che ha ospitato l’evento ero “l’unico religioso in una schiera di 450 invitati fra cui ministri, uno sceicco saudita, un capo sciita e il moderatore del forum, un libanese”.  

Prima dell’intervento, il cardinale ha avuto occasione di confrontarsi e discutere con il leader religioso sunnita dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nel regno: “L’idea comune era quella di un Paese chiuso, radicale, tribale. Egli mi ha risposto che ‘prima lo erano, adesso non più’, che dobbiamo essere ‘aperti al mondo e confrontarci con la modernità’. Ed è un po’ il tentativo che stiamo facendo noi come Chiesa in una prospettiva di sinodalità. Io stesso - afferma il patriarca caldeo - ho detto tante volte in passato che l’islam ha bisogno della sinodalità. E alla fine mi hanno ringraziato”. Vi è poi l’episodio al ristorante, altrettanto significativo per il porporato: “Il personale era composto da indiani e filippini - ricorda - con una forte connotazione di migranti cristiani. Mi hanno chiesto se fossi un prete e impartire loro la benedizione. Ho fatto il segno della croce sulla loro fronte, senza alcuna remora. Non dobbiamo avere paura di confrontarci con l’islam, con l’Arabia Saudita, col timore di mostrare la nostra fede [cristiana]. Tutto questo senza escludere l’Iran sciita, che è l’altro fronte della fede musulmana”. Infine le donne, molte delle quali “non portavano il velo a Riyadh” perché “mi hanno riferito che non è più obbligatorio, come da disposizione del principe [bin Salman]… anche questo è un segno di cambiamento dell’islam”. 

Un dialogo autentico

Riguardo ai vari fronti di crisi aperti in Medio oriente, le cui ripercussioni si fanno evidenti anche in Iraq, il card. Sako giudica “saggia” la posizione saudita, perché “non sono con Hamas, ma nemmeno con gli attacchi di Israele e le 31mila vittime causate, una tragedia. Questa guerra - afferma - deve finire, devono dialogare, devono dar vita a due Stati secondo una soluzione giusta e condivisa. Perché il rischio, già evidente, è di un allargamento del conflitto al Libano, all’Iraq, allo Yemen e alla Siria”. Da qui il richiamo all’importanza del dialogo con Riyadh e di ciò che il regno saudita rappresenta, conoscendone però la realtà anche “per esperienza diretta del mondo musulmano” ed è un’accortezza che la stessa Santa Sede deve adottare confrontandosi e interagendo “con il Paese, la sua cultura, la mentalità”. “Servono persone - osserva - che sappiano dar vita a un dialogo reale e autentico”. Come Chiesa “dobbiamo confrontarci, discutere” con i sauditi, anche per dare una risposta “ai tre milioni di cristiani, così mi hanno detto, che vivono nel Paese come lavoratori migranti. Incontrarli, anche per me, è stata una grande testimonianza e una professione di fede e persino qualche musulmano [non saudita] presente mi ha detto che ho fatto bene a benedirli [in pubblico]”.  

L’occasione del viaggio è stato il forum interreligioso il 20 febbraio scorso avente per tema: “Realizzare ponti e una partnership efficace per costruire la pace e preservare la diversità attraverso i media”. Un evento promosso in collaborazione col Kaiciid (King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue), un centro con base prima a Vienna, poi a Lisbona in Portogallo a partire dal primo luglio 2022. L’ente ha tre Paesi fondatori: l’Arabia Saudita, che ne è anche il principale finanziatore, l’Austria e la Spagna mentre la Santa Sede svolge al suo interno il ruolo di osservatore permanente. Questo è anche, di fatto, l’unico rapporto di natura “diplomatica” che il Vaticano intrattiene con Riyadh, fra i pochi Stati al mondo a non avere relazioni ufficiali sebbene negli ultimi anni gli scambi si siano intensificati soprattutto in una prospettiva di pace e di dialogo tra fedi diverse.

Medio oriente, media e la guerra

Nel suo intervento, il patriarca caldeo ha sottolineato come oggi il mondo, e in special modo il Medio oriente, sia “in gioco” nella sua esistenza stessa a causa delle “armi sofisticate, dei conflitti, di guerre distruttive e per l’estremismo”. Approfondendo il ruolo dei mezzi di comunicazione, il porporato ha spiegato come i media “esercitano una grande influenza sulle persone e sulle società” sotto molteplici punti di vista: nel pensiero, nelle decisioni e nel comportamento “in modo positivo o negativo”. “I media - ha proseguito - sono una benedizione quando funzionano e portano un messaggio positivo”, quando contribuiscono nel promuovere “la consapevolezza” nelle persone e favoriscono la loro “corretta educazione”. Al contrario, possono causare un “disastro” quando rilanciano o diffondono “notizie fuorvianti” e ancora, mettendo in discussione “i valori umani, religiosi, morali e nazionali” finendo così per “disintegrare la società”. 

Il patriarca caldeo rilancia il ruolo del clero nel mondo dei media e della comunicazione “per educare correttamente le persone” sulla base di valori condivisi come “la fratellanza e la pace”, preservando in questa prospettiva “i diritti, la libertà e la dignità delle persone”. Di fondamentale importanza, avverte, in un mondo e in una regione segnati dalle divisioni che si promuova l’unità “all’interno della diversità e della convivenza. Questo - avverte - è il futuro per cui dovremmo lavorare. Dobbiamo parlare di Dio, di ‘amore’ come nel cristianesimo e ‘misericordia’ nell’islam” esaltando “la buona morale” e “diffondendo valori umani e spirituali”. Per farlo serve un “vocabolario semplice, comprensibile ed espressivo” e fornisce una “solida interpretazione dei testi sacri” per “bloccare la porta” a quanti li interpretano al di fuori dei loro contesti “per scopi utilitaristi e politici. In questo modo aperto e illuminato, è possibile combattere il terrorismo e smantellare - ha concluso il porporato - l’ideologia di una società estremista che minaccia la sicurezza nazionale e globale”.

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