29/12/2025, 12.30
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Cardinale di Teheran: ‘Dio fonte di pace’ per sanare le ostilità fra Israele e Iran

di card. Dominique Joseph Mathieu *

Per il card. Mathieu la fine della guerra dei dodici giorni “non ha allontanato lo spettro della ripresa delle ostilità. La questione, secondo il porporato, non è “se, ma quando”. In previsione della Giornata mondiale la pace resta “ideale e obiettivo” anche in relazione agli “equivalenti ebraico e arabo/persiano”. E che sia reale “nei cuori, nelle comunità e nel mondo”. 

Teheran (AsiaNews) - Il cessate il fuoco che ha posto fine alla “guerra dei dodici giorni” tra Israele e Iran “non ha allontanato lo spettro della ripresa delle ostilità” tanto che “i belligeranti si preparano al peggio” e la questione sembra essere “non se, ma quando”. È quanto scrive il card. Dominique Joseph Mathieu, arcivescovo di Teheran-Ispahan dei latini, in riflessione inviata ad AsiaNews sul tema della pace in vista della Giornata mondiale del primo gennaio, da una regione martoriata da “tensioni e conflitti” che potrebbero presto riesplodere.

“La pace non dovrebbe ridursi a una semplice opposizione alla guerra, così come il disarmo non si riduce all’antitesi dell’armamento” osserva il porporato, mentre nella Repubblica islamica spirano venti di (una nuova) guerra con lo Stato ebraico. E anche al suo interno non mancano repressione e carcere, come mostra la recente condanna a oltre 50 anni per cinque cristiani “colpevoli” di praticare la loro fede o l’escalation di esecuzioni, il cui numero nel 2025 è più che raddoppiato rispetto all’anno precedente. Le condanne a morte eseguite sono più di 1900 come emerge dai dati dell’ong irano-norvegese Iran Human Rights (Ihr), ben oltre le 975 del 2024. 

Ciononostante resta ideale e obiettivo, ancor più - osserva il cardinale - pensando agli “equivalenti ebraico shalom e arabo/persiano salam. Essi indicano pienezza, integrità, benessere, prosperità, salute, sicurezza e armonia - non solo assenza di guerra, ma presenza di una vita pienamente realizzata”. In questo quadro diventa ancor più urgente il monito a conclusione della riflessione: che la pace sia reale “nei nostri cuori, nelle nostre comunità e nel nostro mondo”. 
Di seguito, la riflessione del card. Mathieu inviata ad AsiaNews:

Ogni Primo di gennaio, la Chiesa invita il mondo a celebrare la Giornata Mondiale della Pace. Istituita da san Paolo VI nel 1968, questa giornata è molto più di un appello diplomatico: è una chiamata spirituale. Essa colloca la pace non nei trattati, ma nel cuore. Quel cuore umano che solo la grazia può trasformare e rendere davvero pacifico.

La stampa internazionale diffonde troppo spesso la percezione del pericolo che alcuni Paesi rappresenterebbero per altri. Senza prove concrete, alimenta giorno dopo giorno la sensazione crescente di una minaccia che incombe sull’esistenza di una parte del mondo. Diventa allora imperativo, ci si dice, prepararsi a un possibile confronto, persino a uno scontro cosiddetto preventivo. Il racconto diventa così quello dell’armamento, giustificato in nome della nobile causa della pace. Davanti a esso si pone quello del disarmo, invocato ugualmente per la stessa causa. L’equilibrio si spezza, e l’ordine mondiale si fa caotico.

Nel suo discorso del 22 dicembre scorso alla Curia Romana, in occasione degli auguri natalizi, papa Leone XIV ha parlato di “un mondo ferito dalle discordie, dalle violenze e dai conflitti, in cui si assiste a una crescita dell’aggressività e dell’ira, spesso strumentalizzate dal mondo digitale e dalla politica”. Il cessate il fuoco che ha posto fine alla “guerra dei dodici giorni” tra Israele e l’Iran non ha allontanato lo spettro della ripresa delle ostilità. I belligeranti si preparano al peggio. La domanda non è se, ma quando.

È innegabile che la gente comune desideri vivere in pace, lontana dagli orrori della guerra, poiché la vita quotidiana è già abbastanza difficile sotto il peso delle sanzioni. La pace non dovrebbe ridursi a una semplice opposizione alla guerra, così come il disarmo non si riduce all’antitesi dell’armamento. In caso contrario, apparirebbe astratta o confinata al suo uso laico e generico - spesso impiegata in contesti politici, sociali o personali per esprimere la tranquillità, l’assenza di conflitti o l’armonia fra individui o gruppi, senza significati più profondi.

Tuttavia, molto più ricchi del termine “pace” sono gli equivalenti ebraico shalom e arabo/persiano salam. Essi indicano pienezza, integrità, benessere, prosperità, salute, sicurezza e armonia - non solo assenza di guerra, ma presenza di una vita pienamente realizzata.

Al centro del racconto della Creazione nel libro della Genesi, Dio contempla la sua opera compiuta e proclama: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Questa affermazione sottolinea non solo la bontà intrinseca della creazione, ma anche la sua bellezza e perfetta armonia, dove regnavano la pace e l’ordine divino prima del riposo sabbatico del settimo giorno (Gn 2,2). Così, prima del peccato originale, la terra era un luogo di pace perfetta, dove l’uomo - vertice della creazione - viveva in armonia con Dio, con gli altri e con la natura. La pace che allora regnava era quella di un mondo ordinato dalla Parola creatrice di Dio, fonte di ogni armonia. Nonostante il peccato abbia turbato questa pace, l’umanità non ha mai cessato di desiderarne il ritorno.

Se il Bambino nella mangiatoia ci ricorda la fragilità del mondo in cui veniamo alla luce, la sua persona (Verbo incarnato) testimonia l’Emmanuele, “Dio-con-noi”, l’Eterno che volge verso di noi il volto e dona lo shalom (cfr. Nm 6,26). Qui, shalom è la corona della benedizione divina: pace piena, benessere, prosperità e sicurezza. È Dio che crea e mantiene lo shalom; Egli ne è fonte, donatore e vera incarnazione: “Egli stabilisce la pace (shalom) entro i tuoi confini e ti sazia con fior di frumento” (Sal 147,14). In un senso spirituale profondo, si può dire che Dio è shalom, perché ovunque Egli sia, porta vera pace - buona relazione con Sé, tra i popoli e nel cuore dell’uomo. Uno dei 99 nomi di Allah nell’islam è As-Salam - “La Sorgente della Pace”.

La pace, come unità interiore (eirīné), si manifesta esteriormente in modo “disarmato”, cioè libero dalla logica della minaccia e della paura, ma anche “disarmante”, per la capacità di sciogliere l’odio e di aprire i cuori all’empatia, come ci ricorda papa Leone XIV. Essa si diffonde come un olio, oltrepassando confini, fedi e lingue. Per riceverla, dobbiamo far regnare Gesù - che è la nostra pace, come afferma san Paolo nella lettera agli Efesini (2,14) — nei nostri cuori e nelle nostre società, promuovendo la carità e la giustizia, come i papi ci esortano a fare.

Invochiamo la benedizione di Dio: “Che la pace (pax), eirīné, shalom e salam siano reali nei nostri cuori, nelle nostre comunità e nel nostro mondo. Possano essere sentite nelle nostre parole, nelle nostre azioni e nelle nostre vite”.

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