Cinque anni di 'sicurezza nazionale' a Hong Kong: 332 arresti e processi a rilento
Nell'anniversario del passaggio dell'ex colonia britannica alla Repubblica popolare l’Hong Kong Democracy Council traccia il bilancio della repressione. Dei 161 condannati 102 stanno ancora scontando pene in carcere. Il 14 agosto dovrebbe entrare nella fase finale il processo a Jimmy Lai. Intanto - complici i tagli dell'amministrazione Trump - chiude anche il canale in cantonese di Radio Free Asia, riducendo ulteriormente gli spazi di informazione libera su Hong Kong.
Hong Kong (AsiaNews) – Con la consueta enfasi Hong Kong sta celebrando oggi i 28 anni del ritorno dell’ex-colonia britannica sotto la sovranità della Repubblica popolare cinese, nel quadro di un accordo con Londra che avrebbe dovuto salvaguardare il suo status attraverso il modello “un Paese, due sistemi”. Ma il 1 luglio 2025 segna anche il quinto anniversario dall’entrata in vigore della Legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino per stroncare il movimento pro-democrazia. Un pugno di ferro che di fatto ha svuotato di significato quella formula e che l’anno scorso poi il Consiglio legislativo di Hong Kong, formato oggi da “soli patrioti” fedelissimi alla Repubblica popolare, ha integrato nella propria legislazione con una nuova legge quadro, che in nome della lotta alla “secessione” e alle “influenze straniere” è oggi ancora più restrittiva sulla libertà di espressione.
Un bilancio degli ultimi cinque anni da questo punto di vista è stato offerto in queste ore dall’Hong Kong Democracy Council, osservatorio che ha sede a Washington e che tiene costantemente aggiornato in un proprio database il conto dei prigionieri politici a Hong Kong, che attualmente ammonta a 1934 persone. Di queste ben 332 persone sono state arrestate per reati legati alla “sicurezza nazionale”. Tra quanti sono andati a processo 161 persone e un’azienda sono state condannate, mentre solo 2 sono state assolte. Sono102 le persone attualmente dietro le sbarre perché condannate a una pena detentiva ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale. Altre 59 sono state rilasciate dopo aver scontato il periodo di reclusione loro comminato.
In 8 sono in custodia cautelare in attesa della sentenza. Il caso più noto è quello di Jimmy Lai, il 77enne imprenditore cattolico editore del quotidiano pro-democrazia Apple Daily, costretto a chiudere nel 2021. In carcere ininterrottamente dal dicembre 2020, il suo processo ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale è iniziato il 18 dicembre 2023 e dopo 146 udienze è ancora in corso: l’inizio della fase finale è fissato per il 14 agosto. Non è invece ancora nemmeno iniziato quello all’avvocatessa Chow Hang-tung, al sindacalista Lee Cheuk-yan e all’ex membro del Consiglio legislativo Albert Ho, tutti e tre detenuti da ormai 4 anni, che andranno a giudizio in quanto organizzatori delle veglie del 4 giugno in memoria del massacro di piazza Tiananmen: dopo innumerevoli rinvii al momento l’inizio del loro processo è fissato per l’11 novembre.
C’è poi la proiezione anche fuori dai confini nazionali di queste misure: la polizia per la sicurezza nazionale ha emesso mandati di arresto e taglie su 19 cittadini di Hong Kong rifugiatisi all'estero e ha anche arrestato e detenuto decine di loro familiari e conoscenti a Hong Kong. Quanto infine alle 143 persone arrestate ma rilasciate su cauzione senza essere incriminate, la maggior parte ha avuto comunque il passaporto confiscato e risulta ancora formalmente “sotto indagine”, il che significa che non possono lasciare Hong Kong a tempo indeterminato e devono chiedere il permesso al tribunale per viaggiare. Anche per loro, dunque, Hong Kong è diventata una grande prigione.
Al di là del versante giudiziario, ci sono inoltre gli altri volti della censura sulle idee: “Libri vengono rimossi dalle biblioteche – ricorda l’Hong Kong Democratic Council -, film censurati, gruppi della società civile subiscono pressioni o vengono costretti a chiudere, librerie indipendenti vengono perquisite e sono vittime di intimidazioni, università e scuole diventano ambienti chiusi all’apprendimento, le professioni vengono controllate, lo stato di diritto è minato...”.
Uno sforzo che sta trovando anche alleati “sorprendenti”: proprio ieri, in concomitanza con l’anniversario “sensibile” del 1 luglio, Radio Free Asia - il canale di informazione sostenuto dall’amministrazione americana, punto di riferimento per tante notizie sulle violazioni dei diritti umani nel continente - ha interrotto la sua edizione in cantonese, la lingua cinese più parlata a Hong Kong. Questa edizione era stata lanciata proprio nel 1998, subito dopo il passaggio sotto la sovranità della Repubblica popolare cinese, per salvaguardare la libertà di informazione nell’ex colonia britannica. Già l’anno scorso, con l’entrata in vigore della versione locale della Legge sulla sicurezza nazionale, che colpisce in maniera specifica le istituzioni che godono di finanziamenti stranieri, Radio Free Asia aveva spostato la sua sede fuori da Hong Kong. Il resto lo hanno fatto i tagli dell’amministrazione Trump, che dall’inizio dell’anno stanno praticamente smantellato dall’Est Europa all’Estremo Oriente questa forma di soft-power americano.
“Proprio mentre il servizio in cantonese stava diventando sempre più importante con la scomparsa di Apple Daily, Stand News e Citizen News e l’autocensura sempre più diffusa nei media mainstream di Hong Kong, ci siamo trovati a fronteggiare il taglio dei fondi – scrive in una nota Radio Free Asia -. Anche se la nostra voce scomparirà per ora, la nostra battaglia per il giornalismo e la libertà di espressione continuerà comunque a esistere nel cuore di ogni collega e di ogni lettore”.
28/05/2020 09:49