03/05/2021, 11.05
RUSSIA
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Conflitti tra Paesi musulmani per i confini in Caucaso e in Asia centrale

di Vladimir Rozanskij

Tra Inguscezia e Dagestan la polemica è stata risolta da un tribunale islamico. Tra Kirghizistan e Tagikistan una disputa sul possesso del bacino acquifero Golovnoj ha causato morti e feriti.

 

Mosca (AsiaNews) - Il mese del Ramadan - quest’anno da metà aprile a metà maggio - dovrebbe indurre i fedeli musulmani alla prudenza e al reciproco rispetto. Invece, proprio in questo periodo tra diversi popoli devoti all’Islam si moltiplicano i dissidi per la disputa sui confini tra le repubbliche ex-sovietiche a cavallo tra Europa e Asia, e tra i tanti gruppi etnici che da secoli si sovrappongono su quei territori.

Tra Inguscezia e Dagestan, repubbliche appartenenti alla Federazione Russa, la polemica è scoppiata con le dichiarazioni del politologo daghestano Ruslan Kurbanov (foto 2), che lo scorso 21 aprile si è rivolto alla minoranza dei lezgini, una delle etnie locali, parlando della vicina Inguscezia come di una “repubblica formatasi casualmente sullo sfondo delle guerre cecene degli anni ‘90”. Queste parole hanno suscitato reazioni di sdegno tra gli ingusci, al punto che i membri dell’associazione Mekhk-kkhel Sarazhdin Sultygov e Musa Albogachyev hanno citato Kurbanov davanti al tribunale islamico. Quest’ultimo ha accettato di sottoporsi al giudizio della Sharia, ma non in Inguscezia, e solo dopo la fine del Ramadan (nella Federazione Russa in questo periodo sono sospese le cause islamiche), e magari in Arabia Saudita o in Qatar.

I suoi accusatori lo hanno tacciato di “provocatore”, asserendo che i teologi locali, ingusci, daghestani e ceceni “masticano questi problemi come noccioline” e insistendo per il giudizio immediato a Nazran, capitale dell’Inguscezia. Il 27 aprile il tribunale si è riunito on-line, Sultygov e Albogachyev hanno accettato le scuse di Kurbanov, evitando lo scatenarsi di reazioni pericolose tra i popoli delle due repubbliche.

Negli stessi giorni di fine aprile, i rappresentanti dei Tukhkum (gruppi familiari locali) dell’etnia degli Arshtini (detti anche Orstkhoytsy) della Cecenia hanno preteso pubblicamente che cessassero le speculazioni circa la loro non-appartenenza al popolo ceceno. La loro richiesta è stata presentata in ogni villaggio in cui sono attive le unioni degli Arshtini, dove sono intervenuti gli anziani di ogni gruppo o teyp. Gli Arshtini riaffermano la loro unione con il popolo ceceno, e non vogliono che dalla vicina Inguscezia “si faccia politica usando la nostra gente, per dividere i cittadini della Cecenia”.

Tutto questo è stato provocato da un intervento del presidente del parlamento ceceno, Magomed Daudov, che all’inizio del Ramadan si è rivolto all’opinione pubblica delle repubbliche confinanti, proponendo di incontrarsi e discutere le questioni aperte riguardanti i confini. Daudov ha ripetuto la sua proposta il 26 aprile, proponendo un incontro a Pjatigorsk, capoluogo del distretto federale del Caucaso settentrionale, ma le proteste della popolazione si moltiplicano, mettendo seriamente in dubbio la possibilità di risolvere la questione.

Non solo tra le repubbliche caucasiche della Federazione Russa, ma anche tra Paesi ex-sovietici come Kirghizistan e Tagikistan si rinnovano le dispute di confine, che hanno provocato perfino una serie di scontri armati. Lo scorso 28 aprile è scoppiato un litigio per l’acqua tra gli abitanti intorno al bacino acquifero Golovnoj, vicino alle fonti del fiume Isfar (foto 3), che entrambi i Paesi ritengono territorio proprio. Sono state usate armi da fuoco, fino all’arrivo dei militari che hanno alimentato gli scontri a propria volta, fino alla sera del 29 aprile.

Le strade che portano al fiume sono state bloccate prima dai tagichi, poi dai kirghisi, e sono stati evacuati 7000 abitanti della zona. Oltre 10 edifici sono stati incendiati, compresa una scuola: il Ministero della salute kirghiso ha parlato di 31 morti e 154 feriti, mentre da Dušanbe si dichiarano solo 9 feriti. Le parti stanno ancora cercando di trovare una soluzione pacifica alla questione, che eviti nuovi scontri a fuoco.

La crisi della globalizzazione porta quindi anche queste terre all’esplodere del cosiddetto “etno-nazionalismo”, una variante orientale del sovranismo, legato all’etnia più ancora che al territorio o alla cultura. Sempre più i contendenti di queste zone usano argomenti legati alla fede islamica per giustificare le reciproche pretese, e a spingere verso una radicalizzazione sono soprattutto le generazioni più giovani.

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