13/03/2007, 00.00
RUSSIA
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Russia, i diritti umani e il fallimento della Cecenia

La mancanza di diritti umani in Russia: arresti arbitrari e torture, persecuzione di giornalisti e omicidi. In occasione della visita del presidente Putin in Italia, ong per la tutela dei diritti chiedono si parli di diritti e non solo di economia. In Cecenia c’è rischio di una rivolta islamica che travolga l’intero Caucaso settentrionale.

Roma (AsiaNews) – In occasione della visita del Presidente russo Vladimir Putin in Italia, iniziata oggi, ong per la tutela dei diritti chiedono alle Autorità italiane di parlare di diritti e non solo di economia. La Cecenia e il Caucaso settentrionale sono una vera polveriera.

Amnesty International e altri gruppi chiedono al premier italiano Romano Prodi e al ministro degli Esteri Massimo D’Alema di parlare anche di diritti umani domani durante l’incontro con Putin.

La lista delle violazioni è lunga: l’ampio uso della tortura contro i detenuti senza che la magistratura intervenga,; gli arresti arbitrari e frequenti e le violenze contro dissidenti e giornalisti (il 7 ottobre 2006 la giornalista Anna Politkovskaya è stata assassinata dopo i suoi resoconti sulla violazione dei diritti umani in Cecenia); la brutalità poliziesca contro la popolazione caucasica (nell’aprile 2006 la polizia speciale ha disperso con la forza 500 persone che protestavano contro la corruzione delle autorità del Dagestan, uccidendo Murad Nagmetov); le restrizioni alla libertà di espressione e di riunione (nell’ottobre 2006 è stata chiusa d’autorità la Società per l’amicizia russo-cecena, ong per la tutela per i diritti umani nella Cecenia e nel Caucaso settentrionale, in forza di una legge che tutela le offese “contro la pubblica decenza o i sentimenti etnici e religiosi”; il suo direttore esecutivo Stanislav Dmitrievskii è stato condannato a 2 anni di carcere per “incitamento all’odio razziale” per avere pubblicato articoli non violenti scritti da separatisti ceceni); i crescenti episodi di razzismo e gli omicidi contro studenti esteri, rifugiati, ebrei e rom senza un deciso intervento delle autorità (nel marzo 2006 sette imputati sono stati condannati per “teppismo” a pene tra 18 mesi e 5 anni e mezzo di carcere per avere partecipato all’aggressione mortale contro la bambina tagika di 9 anni Khursheda Sultonova).

Soprattutto grave appare la situazione in Cecenia e nell’intero Caucaso settentrionale, dove sono frequenti detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali, rapimenti, torture e dove la violenta repressione contro le aspirazioni autonomiste ha favorito la nascita di un movimento per creare uno Stato musulmano nell’intera regione. Nel 1991, dopo il crollo del regime sovietico, la Cecenia ha cercato di separarsi da Mosca e ha vinto la Prima Guerra Cecena (dicembre 1994-agosto 1996), al termine della quale l’accordo di Khasav-Yurt ha sancito la sconfitta russa. Nell’ottobre 1999 Mosca ha di nuovo inviato l’esercito per stroncare le aspirazioni indipendentiste rifiutando tutte le proposte di accordo presentate da Aslan Maskhadov (presidente ceceno dal 1997 e poi leader dei ribelli).

La Russia si è mossa eliminando tutti gli attivisti per l’indipendenza (come il portavoce del parlamento ceceno Ruslan Alikhadzhiyev, arrestato nel 2000 e da allora scomparso) e lasciando che l’esercito commettesse indiscriminate violenze contro la popolazione civile. Ancora nel febbraio 2005 Maskhadov proclamò un cessate-il-fuoco unilaterale, rispettato da quasi tutti i ribelli, quale gesto di buona volontà verso la Russia. Poco dopo, l’8 marzo 2005, il presidente Maskhadov fu assassinato da forze speciali russe nel villaggio di Tolstoy-Yurt. La posizione di leader è stata assunta da Abdul Halim Sadulayev, presidente della Sharia (corte islamica) dal 1997 al 2006, vero ideologo islamico. Intanto Mosca ha imposto nel Paese un governo a sé favorevole, che, se ha contribuito a sconfiggere i ribelli, tuttavia ha pensato anzitutto a consolidare il proprio potere, anche con sistematiche vendette contro gli oppositori e le loro famiglie. In  tutta la regione negli anni sono cresciute le difficoltà economiche, con elevata disoccupazione, diffuse corruzione e nepotismo, mancanza di tutela giuridica e di certezza del diritto e una crescente separazione tra autorità e popolazione. Nell’intero Caucaso sempre più persone, soprattutto giovani, si sono rivolte all’Islam come unica via per realizzare le aspirazioni sociali e personali. Mosca ha continuato a reagire con la forza: nell’ottobre 2005 la popolazione è insorta a Nalchik, capitale del Kabardino-Balkaria, dopo una sistematica persecuzione contro i musulmani con arresti, tortura e chiusura di moschee; le forze russe hanno invaso la città, uccidendo e ferendo centinaia di persone, anche civili.

Mosca ha ormai stroncato i ribelli ceceni, incapaci di prendere l’iniziativa e di contrastare le truppe russe stanziate nel Paese. Ma – osserva il Centre for Eastern Studies - ora i rivoltosi combattono non per una Nazione autonoma, ma per la creazione di uno Stato islamico che comprenda le altre repubbliche russe caucasiche, come l’Inguscezia, il Dagestan, la Ossezia del nord, ol Karachay-Cherkessia e il Kabardino-Balkaria. Ormai è in atto, seppure non ancora esplosa, una vera rivolta regionale che vuole “liberare” tutto il Caucaso settentrionale per creare uno Stato islamico sottoposto alla legge coranica. Tra queste popolazioni i valori “occidentali” come democrazia, diritti umani e libertà civili sono distanti e poco credibili, dopo il silenzio e il non intervento di tanti Stati sul conflitto ceceno. Secondo gli esperti, sarebbe una rivolta difficile da debellare, poiché fondata sulla stessa identità religiosa della popolazione.

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