23/01/2024, 13.38
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Diritti umani: la Cina decanta il suo sistema a Ginevra (ma censura il dibattito)

Al Consiglio dei diritti umani Pechino rigetta al mittente le accuse su Hong Kong, gli uiguri, il Tibet, i dissidenti arrestati, sollevate nel dibattito dedicato alla situazione nella Repubblica popolare. Appena 45 secondi a disposizione di ogni Paese per esprimersi. Intanto quattro relatori speciali delle Nazioni Unite chiedono il ritiro delle accuse e il rilascio di Jimmy Lai.  

Ginevra (AsiaNews) - Quarantacinque secondi ciascuno per esprimere le proprie “raccomandazioni” alla Repubblica popolare cinese sul rispetto dei diritti umani. Giusto il tempo di elencare problemi come la Legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, la repressione degli uiguri nello Xinjiang, l’assimilazione forzata del Tibet, il dilagare della pena di morte… Dopo che la delegazione di Pechino - guidata dall’ambasciatore Chen Xu - aveva potuto aprire la seduta presentando un quadro secondo cui “il miglioramento delle condizioni di vita coincide con i diritti umani”. E, se nessuno può dirsi perfetto, “i dati di fatto dimostrano che la Cina oggi soddisfa le aspirazioni della sua popolazione”.  

Secondo la liturgia delle Nazioni Unite è andato in scena così, questa mattina a Ginevra, il dibattito pubblico sulla Cina nell’ambito della Revisione periodica universale promossa sulle situazioni dei singoli Paesi dal Consiglio dei diritti umani. Ben 163 i Paesi che si sono iscritti a parlare, con un numero notevole di nazioni dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che lo hanno fatto principalmente per lodare i risultati raggiunti da Pechino sul tema della lotta alla povertà (questione che non è certo sinonimo di rispetto dei diritti umani). Del resto proprio sulla propria immagine di paladina del Global South la Repubblica popolare cinese di Xi Jinping punta da tempo per nascondere la repressione sempre più dura di ogni forma di dissenso interno.

Nonostante tutto questo nelle raccomandazioni lette come veri e propri scioglilingua da molti delegati nazionali, le tante gravi violazioni dei diritti umani di cui molte volte parliamo su questo sito sono puntualmente emerse: la Gran Bretagna, per esempio, ha sollevato apertamente la questione del processo a Jimmy Lai in corso a Hong Kong. Dal Canada alla Grecia, dal Cile all’Australia, numerosi Paesi hanno chiesto conto delle detenzioni arbitrarie di attivisti, giornalisti, avvocati. La Corea del Sud ha espressamente sollevato il tema del rimpatrio forzato degli esuli della Corea del Nord. Il rappresentante dell’ex governo dell’Afghanistan (che tuttora rappresenta il Paese all’Onu) ha chiesto conto della riapertura delle relazioni con i talebani.

Tutte questioni a cui la delegazione della Repubblica popolare cinese ha risposto liquidandole come “menzogne” costruite con motivazioni politiche. Su Hong Kong, in particolare, ha dipinto un quadro secondo cui proprio grazie alla Legge sulla sicurezza nazionale e ai “cambiamenti nel sistema elettorale” la città sarebbe tornata a fiorire dopo “i disordini e la paura” del 2019. Quanto alla libertà di espressione, poi, in Cina sarebbe pienamente rispettata. Peccato che persino lo streaming di questa audizione - diffuso dal sito ufficiale delle Nazioni Unite - sia stato oscurato ai cittadini della Repubblica popolare cinese. Quanto alla libertà religiosa, nel Paese secondo le autorità cinesi sarebbe pienamente garantita a “200 milioni di credenti” che possono contare su “330mila ministri della propria religione e 144mila luoghi di culto”.

Un quadro - dunque - perfettamente rispondente a quello svuotamento del concetto stesso di diritti umani di cui parlava qualche settimana Chow Hang-tung, avvocato e attivista pro-democrazia di Hong Kong, in una lettera fatta uscire dal carcere dove è imprigionata e rilanciata da AsiaNews. Ora spetterà al Consiglio per i diritti umani trarre le conclusioni di questo dibattito, con un rapporto che dovrebbe essere presentato il 9 febbraio.  

Nel frattempo, però, proprio sul tema dei diritti umani in Cina in queste stesse ore giungeva dalle Nazioni Unite anche un appello significativo che chiede alla Regione autonoma speciale di Hong Kong il ritiro delle accuse e la liberazione di Jimmy Lai, l’imprenditore ed editore cattolico pro-democrazia in carcere da tre anni, di cui è in corso il processo ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale. A firmare questa richiesta sono insieme i quattro Relatori speciali dell’Onu che si occupano delle questioni che la vicenda di Jimmy Lai chiama in causa: Irene Khan, Relatore speciale sulla protezione e la promozione della libertà di opinione e di espressione, Clément Nyaletsossi Voule, Relatore speciale sui diritti di libertà di riunione pacifica e di associazione, Alice Jill Edwards, Relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, e Margaret Satterthwaite, Relatore speciale sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati. I relatori speciali fanno parte delle cosiddette Procedure speciali del Consiglio dei diritti umani, che sono l’organismo di esperti indipendenti nel sistema delle Nazioni Unite, che non dipendono cioè da nessun governo o organizzazione e prestano servizio a titolo individuale.

“Siamo allarmati dalle molteplici e gravi violazioni della libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione di Jimmy Lai e del suo diritto a un processo equo, tra cui la negazione dell'accesso a un avvocato di sua scelta e la scelta dei giudici da parte delle autorità”, hanno dichiarato questi quattro esperti nel loro appello. “Abbiamo espresso le nostre preoccupazioni sulla legge sulla sicurezza nazionale prima della sua promulgazione e continueremo a farlo, poiché riteniamo che non sia in linea con gli obblighi legali internazionali – hanno aggiunto ancora -. Ribadiamo che la legislazione sulla sicurezza nazionale, che prevede sanzioni penali, non dovrebbe mai essere usata impropriamente contro coloro che esercitano i loro diritti alla libertà di espressione e di associazione e di riunione pacifica, né per privare tali persone della loro libertà personale attraverso l'arresto e la detenzione”.

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