Gaza, figlio Vivian Silver: liberi gli ostaggi, ora futuro condiviso fra israeliani e palestinesi
Ad AsiaNews Yonatan Zeigen invita a rompere lo schema di un Paese in guerra e “congelato” al dramma del 7 ottobre. E invita a “pensare al nostro presente e al nostro futuro”. Andare oltre l’accordo di pace di Trump e immaginare una “visione diversa” basata sull'“uguaglianza” fra i due popoli. Ora "una nuova leadership, un nuovo governo, una mentalità nuova” per entrambi.
Milano (AsiaNews) - La tregua a Gaza, il rilascio dei prigionieri palestinesi nelle carceri dello Stato ebraico e la liberazione in corso degli ostaggi israeliani da oltre due anni nelle mani di Hamas, una ferita ancora aperta per il Paese, sono un primo passo per cercare di curare le persone. E per rompere lo schema di una visione “mainstream” che finora ha guidato le decisioni di un Paese in guerra, per smetterla di restare “congelati” al dramma del 7 ottobre 2023 e “iniziare a pensare al nostro presente e al nostro futuro”. Così Yonatan Zeigen, figlio della pacifista israelo-canadese Vivian Silver, fra le oltre 1200 vittime dell’attacco che il 7 ottobre 2023 ha innescato il conflitto nella Striscia col suo carico di ulteriore morte e violenza, analizza la firma dell’accordo fra Israele e Hamas per mettere fine alla guerra.
Il leader dell’ultra-destra e ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato che non si deve tornare al 6 ottobre: “Sul piano concettuale concordo con lui” afferma AsiaNews l’attivista e membro di Parents Circle - Families Forum, organizzazione di base di famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso parenti stretti nel conflitto e che credono che solo insieme si possa raggiungere una pace sostenibile. “La domanda - prosegue - è come immaginiamo, che visione abbiamo dell’8 ottobre e questa è certamente molto diversa”. Sotto questo profilo “l’accordo è pericoloso”, perché “non specifica davvero come sarà il futuro”, che “personalmente auspico sia improntato ad una realtà basata sull’uguaglianza”.
Abbiamo intervistato Zeigen nel fine settimana mentre era in Italia, a Torino, per partecipare al Festival della Missione 2025. L’11 ottobre è intervenuto all'evento “Disarmati. Volti della resistenza” come relatore assieme a Kim Aris (figlio della Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi) e Taghi Rahmani, marito dell’attivista iraniana Narges Mohammadi, anch’essa premiata dal comitato norvegese. Il rilascio degli ostaggi, la tregua non significano fine della guerra, ora “stiamo entrando in un tunnel - racconta - perché abbiamo vissuto in una sorta di caos psicotico fatto di violenze negli ultimi due anni. Adesso possiamo iniziare un qualcosa che, però, non è fine di nulla”.
“L’auspicio è che siano rilasciati tutti i prigionieri e gli ostaggi e che si fermi la violenza a Gaza”, proprio per questo “dobbiamo lavorare ancor più duramente per fondare un futuro che sia vivibile per entrambi i popoli. Perché - avverte - questo specifico accordo, da solo, non è in grado di garantirlo e dobbiamo riempirlo di contenuti”. Una strada che resta stretta e irta di difficoltà ma, al tempo stesso, possiede “molto più potenziale perché ora gli israeliani non dovranno essere bloccati in questa necessità psicologica di giustificazione per quello che stiamo facendo. Spero - aggiunge - che questo apra le menti e possa far capire che la non violenza è garanzia di maggior benessere e di più sicurezza, e che lavoreremo per creare qualcosa di nuovo”.
Zeigen ha raccolto il testimone della madre promuovendo un premio ispirato alla decennale opera [il “Vivian Silver Impact Award”, assegnato ogni anno a una donna araba ed ebrea] a favore della pace e della convivenza. Dal massacro del 7 ottobre 2023 in cui è morta anche l’attivista israelo-canadese per mano di Hamas, il figlio oggi 37enne ha lasciato la professione di mediatore sociale per raccoglierne il testimone, sostenuto dalla famiglia. Parlare di dialogo e confronto da familiare di una delle oltre 1200 vittime non è stato semplice e non sono mancate le critiche di quanti non hanno compreso il suo impegno nel ribadire che la vendetta non è la strada giusta per ottenere giustizia. “Per me non è stato difficile, ma imperativo, era un qualcosa che sentivo di dover fare” afferma, pur precisando che l’impegno va separato “dall’impatto” della sua missione, che a volte sembrava “privo di una base”. “Io e altri come me del movimento pacifista in Israele e Palestina - ricorda - avevamo la sensazione di trovarci in una guerra fra bande”. Una escalation di violenza alimentata dalla propaganda, contro la quale era doveroso opporsi anche se spesso “lo sforzo appariva vano”, ma era giusto “continuare allora come oggi, perché il lavoro non è concluso. Al contrario, in un certo qual modo si può dire che cominci proprio adesso”. Come hanno sottolineato diversi attivisti e personalità di primo piano della Terra Santa, fra le quali il patriarca latino di Gerusalemme, il card. Pierbattista Pizzaballa, ora è necessario pensare a come ricostruire. “Certo - prosegue - dobbiamo ritrovare una nuova umanità, una nuova moralità, capacità di empatia per una vita condivisa”.
Una nuova base di convivenza per israeliani e arabi, per ebrei e musulmani (e cristiani) in cui la fede religiosa non sia elemento di scontro, ma occasione di confronto e base per un dialogo come auspicato al punto 18 del piano di pace del presidente Usa Donald Trump. “Penso che la religione - spiega - non sia la base del conflitto” ma come è stata “usata, e abusata per alimentare lo scontro”; ciononostante, adesso “può essere utilizzata come fattore di risoluzione del conflitto”. “Ci sono - chiarisce - sentimenti religiosi molto forti in entrambi i popoli e società, per questo vi è il potenziale per usarli anche per il dialogo e per un lavoro in comune, ma non li considero certo la base per la risoluzione del conflitto e la colonna portante per una pace vera fra persone”.
Per quanto concerne il futuro di società civile e movimenti pacifisti, oscurati dalla retorica bellica, Zeigen è convinto che “siano cresciuti in questi due anni” in maniera “molto forte” sul piano internazionale, mentre hanno segnato il passo sul fronte interno israeliano. A partire dall’iniziativa franco-saudita fino all’attività di lobbying presso governi e ambasciate, sono molte le iniziative messe in campo, pur restando sospesa la questione in Israele dove, troppo spesso, il governo li ha trattati come “pericolosi, limitandone gli spazi operativi”. Come esempio cita quello del movimento The Parents Circle - Families Forum di cui è membro del consiglio, la cui attività “è stata messa al bando nelle scuole” perché “parlavamo di riconciliazione, e questo era considerato un concetto pericoloso agli occhi del governo”. In particolare, prosegue, della fazione nazionalista religiosa, fondamentalista e messianica che fa riferimento a Smotrich e al ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. “Noi che, come società civile, poniamo l’accento su una realtà e un futuro condiviso - chiosa - siamo considerati come pericolosi. Per avere più spazio, servono due fattori: un cambio di governo e un maggiore sostegno, legittimazione e risorse a livello internazionale”.
“Dall’estero abbiamo ricevuto grande sostegno a livello morale, ma non passi e gesti concreti” prosegue l’attivista, come nel caso di una “sollevazione globale” quando Israele ha posto una tassazione iniqua sui fondi dall’estero per le ong invise alla leadership. “Per me - afferma - è tragico essere arrivati a questo punto, aver perso così tante vite umane, e aver fatto questo accordo solo dietro pressioni enormi, quando era sul tavolo più di un anno fa, ma non lo abbiamo accettato. E gli Stati Uniti, e l’Europa, non hanno esercitato sufficienti pressioni per una sua finalizzazione”. Ora la speranza è “di non aver più bisogno di una società civile, se il nostro governo e la leadership palestinese cominciano a ragionare su principi di uguaglianza”. Nei giorni scorsi Zeigen è tornato con la famiglia nel kibbutz di Be’eri dove i miliziani di Hamas hanno attaccato e ucciso la madre, Vivian Silver, per onorarne la memoria e “piangere assieme, immaginando il futuro, cercando di consolare mio figlio che oggi a nove anni, le sue lacrime” per la morte della nonna. Infine, affrontando il tema dei due popoli e della regione, conclude affermando che sono necessari “una nuova leadership, un nuovo governo, una mentalità nuova” per entrambi.
20/02/2025 15:16