06/08/2023, 12.05
VATICANO - GMG
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Gmg, papa ai giovani di Lisbona: ‘Segno di pace nel mondo. Non abbiate paura’

Con la messa finale, nella domenica della Trasfigurazione, Francesco conclude la XXXVII giornata mondiale della gioventù. L’invito ad avere “coraggio” e a operare per la fine dei conflitti, a partire da quello nella “cara Ucraina” che “continua a soffrire molto”. Un “obrigado” ai nonni per la fede e a san Giovanni Paolo II per la Gmg. Nell’omelia il richiamo a “brillare, ascoltare e non temere seguendo l’esempio di Cristo.

Lisbona (AsiaNews) - Gesù conosce “il cuore di ognuno di voi” e oggi vi dice “non temete, non abbiate paura, abbiate coraggio”. È il monito rivolto da papa Francesco nell’omelia della messa conclusiva della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù dal 2 al 6 agosto a Lisbona, in Portogallo. Nella solennità della Trasfigurazione del Signore, celebrata al Parque Tejo alla presenza di autorità, cardinali, vescovi, sacerdoti e una nutrita folla di fedeli [un milione e mezzo da ieri sera], composta da giovani e non, il pontefice rilancia le parole di san Giovanni Paolo II che ricorda anche nella riflessione finale, prima dell’Angelus, e al quale rivolge un “obrigado” [grazie, in portoghese] per aver “dato vita alla Gmg”. Nei lunghi ringraziamenti finali - una serie di obrigado, dai giovani alle autorità laiche ai vertici ecclesiastici, ai volontari e alla stessa città di Lisbona che definisce “memoria nei giovani come casa di fraternità e città dei sogni” - il pontefice definisce i giovani “segno per la pace nel mondo” e saluta i giovani che non hanno potuto partecipare proprio a causa della guerra e dei conflitti. Un pensiero viene rivolto anche alla “cara Ucraina” che “continua a soffrire molto” e per questo spetta a ragazzi e ragazze “di tutte le nazionalità” il compito di “costruire la pace” assieme a Maria regina della pace e a Gesù. Un ultimo “obrigado” ai nonni che “ci hanno trasmesso la fede” e “indicano l’orizzonte di vita” assieme a queste giornate di Gmg che costituiscono un “seme” da tenere nella mente e nei cuori per “i giorni difficili”, perché con questo “ricordo” si potrà ravvivare “l’esperienza e la grazia”.

Segnati da un evento che porta “tanta allegria nel cuore”, il papa nell’omelia si rivolge ai presenti - soprattutto giovani, ma anche gli adulti - chiedendosi che doni si porteranno “ritornando nella valle della vita quotidiana?”. E il papa risponde, sulla base del Vangelo e delle parole dell’apostolo Pietro sul monte della Trasfigurazione, “con tre: brillare, ascoltare, non temere”. Perché, spiega, Cristo “vi conosce” e “vi guarda nel cuore”, ama e cammina al vostro fianco, per questo si può superare ogni sorta di “paura”. Spiegando il senso del verbo Brillare”, il papa esalta la trasfigurazione di Gesù e il suo volto che “brillò come il sole” dopo aver da poco annunciato la passione e morte in croce, “frantumando” l’immagine di un Messia potente e mondano.

Gesù prende “Pietro, Giacomo e Giovanni, li conduce sul monte e si trasfigura”. Anche noi, sottolinea Francesco parlando a braccio e staccandosi dal testo scritto come più volte fatto in questa Gmg, abbiamo bisogno “di qualche lampo di luce” che sia “speranza” per affrontare il buio della notte. “Dio ha illuminato i nostri occhi - ha continuato, guardando la folla - i nostri cuori, la nostra mente, la nostra voglia di fare qualcosa nella vita”. Ecco perché, illuminati da Cristo, anche noi “siamo trasfigurati” e proprio ai giovani “luminosi” spetta il compito di portare ovunque la luce del Vangelo. Essere luminosi non vuol dire stare sotto i riflettori, esibire una immagine perfetta, ma imparare “ad amare come Lui”, quando vivremo una vita che rischia per amore: “Non sbagliatevi - spiega il papa - diventeremo luce quando faremo opere di amore” mentre “quando ci guardiamo in modo egoistico, la luce si spegne”.

“Il secondo - prosegue nell’omelia - è ascoltare”, che è anche il verbo che indica cosa vi sia da fare nella vita cristiana. “Gesù e il nostro cuore - sottolinea - vanno ascoltati” perché “insegnano il percorso dell’amore. Con buona volontà facciamo percorsi di amore, ma poi” emerge un “egoismo mascherato di amore”. Ecco perché, dunque, solo Cristo sa indicare il “percorso” e per questo dobbiamo “ascoltare Gesù”. “Brillare, ascoltare e, infine, non temere” afferma papa Francesco, riprendendo le parole usate da Gesù per incoraggiare i discepoli impauriti.

Il pontefice nell’ultima parte dell’omelia si rivolge direttamente ai presenti, discostandosi dal testo, per ricordare loro che hanno vissuto una “gloria”. “Voi che coltivate sogni grandi - afferma - voi giovani che a volte pensate di non farcela”, al “pessimismo” e allo “scoraggiamento” che a volte arriva, al “dolore” mascherato “col sorriso”, voi che “volete cambiare il mondo”… Dovete lottare, esorta il papa, “per la giustizia e per la pace”. Di voi giovani che mettete “impegno e fantasia” la Chiesa del mondo “ha bisogno come la terra ha bisogno della pioggia. Siete il presente e il futuro - conclude - e a voi giovani Gesù dice di non temere, non abbiate paura!”.

Nella veglia di ieri sera, dialogando direttamente i presenti, il pontefice ha discusso del senso della vita, della gioia che è “missionaria” e va portata ad altri, grazie a persone che sono “raggi di luce” come i genitori e i nonni, i preti e le suore, i catechisti, gli animatori e gli insegnanti. “Ognuno - ha proseguito - pensi alle persone che sono state le radici della nostra gioia. Noi abbiamo radici di gioia: e anche noi possiamo essere per gli altri radici di gioia”. Questa gioia, ha avvertito, non va trovata “in una biblioteca chiusa, anche se bisogna studiare”, ma è necessario scoprirla “nel nostro dialogo con gli altri […] questo qualche volta stanca”.

Alla veglia hanno preso parte autorità e pellegrini, gruppi parrocchiali locali e giovani da tutto il mondo, famiglie e genitori con bambini piccoli, anziani; tutti hanno seguito con attenzione le parole del papa e partecipato con il silenzio e la preghiera al momento di adorazione, seguito poi da canti e coreografie. Il papa ha poi affrontato il tema dell’essere “stanco”, di quanto uno si lascia andare, smette di camminare e cade, ma questo non costituisce “un fallimento” ma deve “alzarsi” come cantano gli alpini: “Nell’arte di salire quello che importa non è non cadere, ma non rimanere per terra”. “Chi rimane per terra - ammonisce - è un pensionato della vita, ha chiuso con tutto. Quando vediamo qualcuno che è caduto, cosa dobbiamo fare? Sollevarlo. L’unico momento in cui è permesso guardare una persona dall’alto verso il basso è per aiutarla ad alzarsi”.

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