28/06/2006, 00.00
Israele - Palestina
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Haniya e Olmert: confusi (e disperati), di fronte all'attacco di Gaza

di Arieh Cohen

L'operazione militare israeliana a Gaza crea ancora più problemi di quanti ne risolva. I leader d'Israele e Palestina cercano di sopravvivere alla crisi interna ed esterna. I consigli del Vaticano.

Tel Aviv (AsiaNews) - Un'operazione militare israeliana, di durezza senza precedenti, è in atto nella striscia di Gaza da questa notte, a meno di un anno dalla decisione dell'esercito e dei coloni di Israele di lasciare in modo unilaterale quel territorio. Il blitz è in risposta ai continui attacchi di missili Kassam dalla striscia di Gaza verso le città israeliane e soprattutto in risposta all'attacco e alla cattura del 19enne Gilad Shalit, soldato israeliano di cittadinanza francese. La cattura è avvenuta durante un assalto di militanti palestinesi dissidenti contro una postazione militare israeliana. Shalit dovrebbe essere tenuto ostaggio da qualche parte nella striscia di Gaza, in mano a membri ribelli dell'organizzazione di Hamas.

Prima dell'attacco militare Israele ha domandato il rilascio incondizionato del soldato e ha annunciato che non vi saranno negoziati, contrattazioni, liberazioni di prigionieri palestinesi in cambio. Alcuni membri della sinistra alla Knesset avevano denunciato come "prematura" l'esclusione di ogni negoziato. La situazione è confusa all'estremo.

L'ala politica di Hamas a Gaza, capeggiata dal premier Ismail Haniya, si confessa disperatamente impotente e non informata e quindi non responsabile della cattura  di Shalit.

Tutto è avvenuto proprio nel momento in cui  Haniya e il suo governo tentano di guadagnare qualche riconoscimento e legittimità all'estero e mentre stavano per mettere in atto una "piattaforma nazionale", in accordo con il suo rivale politico, il presidente Mahmoud Abbas (Abou Mazen). Quest'ultimo ha perfino condannato pubblicamente l'attacco contro i soldati israeliani definendolo un crimine contro gli interessi del popolo palestinese.

Condoleezza Rice, segretario di stato Usa, aveva chiesto a Israele di non reagire militarmente, chiedendo una "soluzione diplomatica". Ma vari esponenti israeliani si domandano come mai, proprio gli Usa scelgano per la diplomazia, mentre proibiscono ai loro diplomatici di aiutare e perfino parlare con il primo ministro palestinese e tutti gli altri rappresentanti di Hamas.

La confusione non è finita.

Le contorsioni di Haniya

Haniya si contorce fra questi problemi, a cui se ne aggiungono altri: egli ha bisogno che la crisi finisca, così da intraprendere nuovi sforzi per farsi accettare dalla comunità internazionale; nello stesso tempo si mostra incapace di controllare i membri della sua organizzazione; ha dubbi sulla opportunità politica di condannare un'azione di guerriglia che il suo popolo vede invece come una "pulita" vittoria militare – non terrorista – riportata su una più potente macchina militare (che coi suoi raid ha fatto morti fra militanti e civili); vuole scongiurare una rottura finale con Abbas, evitando di essere come lui bollato di inefficienza; il timore che una pesante risposta militare israeliana a Gaza porti a dare la colpa ad Haniya e Hamas (per averla provocata, per essere incapaci di fermarla, o per tutt'e due le cose).

Haniya ha pure bisogno di mostrarsi indipendente dal leader di Hamas in esilio, il pro-iraniano Khaled Mashal. Con ogni probabilità, l'attacco ai soldati israeliani è venuto proprio da Mashal, che lo ha senz'altro approvato. Allo stesso tempo Haniya ha bisogno di non opporsi in modo aperto con Mashal, rischiando di dividere in due la stessa Hamas.

Infine, Haniya ha bisogno di restare vivo: Israele ha già minacciato di uccidere il primo ministro Haniya e tutti i membri del governo di Hamas. Già in passato Israele ha ucciso – con missili – il leader di Hamas, lo sheikh Ahmad Yassin, il suo stretto collaboratore Rantisi e tanti altri.

Le contorsioni di Olmert

Anche il Primo ministro Ehud Olmert si trova bloccato in tanti problemi: gli attacchi missilistici da Gaza su Israele e ora l'imbarazzante cattura di un soldato israeliano avvengono dopo il ritiro unilaterale di Israele da Gaza, una scelta appoggiata proprio da Olmert, prima come vice di Sharon e poi come premier. Il ritiro unilaterale era stato pubblicizzato come un passo che avrebbe dato a Israele più sicurezza, e invece succede il contrario. Molti israeliani ricordano le commoventi immagini dei coloni evacuati con la forza dallo stesso esercito israeliano, in nome di una "maggiore sicurezza": ora essi ne chiedono conto a Olmert e ai suoi colleghi. Inoltre, quanto succede a Gaza rende ridicolo – agli occhi degli israeliani – l'annuncio di Olmert sul piano di ritiro unilaterale da alcune colonie nei Territori occupati, motivati sempre da una garanzia di "maggior sicurezza".

In Israele tutti – destra e sinistra – ricordano che l'ex capo delle Forze armate e altri esperti hanno messo in guardia dal ritiro unilaterale da Gaza, che avrebbe prodotto proprio ciò sta succedendo: un aumento impressionante di attacchi contro Israele. Forse Olmert si domanda se il ritiro unilaterale non sia stato un errore. Ma se ammette ciò, come potrà continuare la sua politica?

L'invasione militare di Gaza in larga scala, non rischia di portare alla morte certa il soldato israeliano prigioniero? Nello stesso tempo, se Olmert si abbassa a contrattazioni o concessioni, non rischia di essere bollato dall'opposizione come "troppo molle verso il terrorismo" e "un mollusco senza spina dorsale"?

Il Vaticano: le soluzioni unilaterali sono illusioni

Anche la gente di Sderot e di tutte le città israeliane nelle vicinanze di Gaza è confusa: per mesi essi hanno vissuto sotto la pioggia di missili e obici, da parte di terroristi che tentavano di uccidere civili e il governo non è sembrato molto preoccupato. Ora, un attacco della guerriglia contro l'esercito provoca uno scenario da "fine del mondo". È vero, un giovane soldato è stato preso in ostaggio, ma la gente di Sderot non è stata ostaggio fino ad oggi?

In mezzo a tutto questo, Olp e Hamas a Gaza hanno annunciato di aver stilato una bozza di piattaforma per "l'unità nazionale e la riconciliazione". Essa può forse essere vista come una risposta alle domande ad Hamas da parte della comunità internazionale (occidente e arabi) di "riconoscere Israele". Ma forse no, essendo troppo vaga.

Una simile confusione sta a dimostrare la verità di quanto detto dal papa il 14 giugno scorso, secondo cui le soluzioni unilaterali, da una parte o dall'altra, sono solo illusioni. Le crisi di questi giorni – così ricorrenti nel Medio Oriente – non avranno  mai fine, a meno di varare un trattato bilaterale per assicurare una giusta e (perciò) durevole pace.
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