04/11/2025, 14.49
NEPAL
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Himalaya: dietro le stragi degli alpinisti (anche) i cambiamenti climatici

Due incidenti in pochi giorni hanno causato la morte di almeno nove persone. Fonti locali riferiscono che “servirà tempo” per recuperare alcuni corpi per le condizioni meteo. Il rischio di valanghe accresciuto da fenomeni come i cicloni. Alterazione della stabilità del manto nevoso, aumento delle precipitazioni e accelerazione nello scioglimento dei ghiacciai i pericoli principali. 

Kathmandu (AsiaNews) - Due tragedie in pochi giorni sulle vette della catena dell’Himalaya hanno riacceso i riflettori sulle morti sempre più numerose che si ripetono nel tentativo di conquistare le vette più alte del pianeta. E se, in passato, la colpa veniva imputata ai rischi collegati all’impresa, al turismo di massa che causava un sovraffollamento (anche) in montagna e all’impreparazione degli scalatori, oggi si somma un ulteriore fattore indicato dagli esperti: quello collegato ai cambiamenti climatici. Giorni di forti tempeste di neve - alimentate dal passaggio del ciclone Montha la scorsa settimana, col suo carico di pioggia e neve in tutto il Nepal - hanno resto ancora più instabile l’area e innescato valanghe e slavine. Il bilancio complessivo, sebbene ancora parziale, è di almeno nove persone morte di cui cinque gli italiani, nazione col maggior numero di vittime. 

L’episodio più recente risale a ieri, quando una valanga ha ricoperto un gruppo di almeno 12 persone ad un campo base situato a 5630 metri sul picco Yalung Ri, nel Nepal centrale, nei pressi del confine con la Cina. Nell’incidente sono morte almeno sette persone, fra le quali tre italiani, due nepalesi, uno scalatore tedesco e un francese, oltre a quattro feriti accertati e già trasportati negli ospedali di Kathmandu come ha spiegato all’Afp Phurba Tenjing Sherpa, membro dell’organizzatore della spedizione Dreamers Destination. I corpi di cinque degli scalatori deceduti “potrebbero essere 10-15 piedi sotto la neve” ha aggiunto alla Bbc Mingma Sherpa, presidente di Seven Summit Treks. “Ci vorrà del tempo - avverte - per trovarli”.

In precedenza, lo scorso 31 ottobre si era verificato un altro incidente analogo con la morte di due esperti alpinisti di origine italiana - Alessandro Caputo e Stefano Farronato - travolti e sepolti da una slavina mentre tentavano la scalata del Panbari Himal, montagna remota e poco frequentata coi suoi 6.887 metri. Inoltre, a complicare un quadro già di per sé impervio vi sarebbe il maltempo persistente e il rischio di ulteriori valanghe, che ostacolano i soccorsi e rendono difficile il recupero dei cadaveri. 

Sede di otto delle 10 vette più alte del mondo tra cui il Monte Everest, il Nepal accoglie centinaia di scalatori ed escursionisti ogni anno. La stagione autunnale è il secondo periodo più popolare per le spedizioni nella regione dell’Himalaya, nonostante le giornate più brevi e fredde, il terreno innevato e una finestra ridotta per raggiungere la vetta rispetto alla primavera, con visibilità e condizioni meteo accettabili.

Tuttavia, il rischio di maltempo e valanghe rimane ed è accresciuto da fenomeni come i cicloni che aumentano i pericoli: la scorsa settimana il passaggio di Montha ha innescato forti piogge e nevicate in tutto il Nepal, lasciando escursionisti e turisti bloccati sui popolari percorsi di trekking. Due donne britanniche e una irlandese erano parte di un gruppo tratto in salvo dopo essere rimasto intrappolato per diversi giorni nella regione occidentale di Mustang. Il maltempo ha anche bloccato centinaia di escursionisti vicino al Monte Everest il mese scorso. Secondo l’Himalayan Database, un archivio che tiene conto delle spedizioni, almeno 1.093 persone sono morte in tentativi di scalata dal 1950, con le valanghe responsabili di almeno un terzo dei decessi. 

In passato si è spesso puntato il dito contro il sovraffollamento delle cime e, in alcuni casi, la scarsa preparazione degli aspiranti alpinisti. Tuttavia, nell’ultimo periodo è emerso anche il fattore ambientale come causa: analisti ed esperti sottolineano che il riscaldamento globale e il cambiamento climatico stanno moltiplicando i fenomeni estremi sull’Himalaya accentuando il rischio di valanghe, slavine e smottamenti. Fra le conseguenze vi sarebbero l’alterazione della stabilità del manto nevoso, l’aumento delle precipitazioni e l’accelerazione nello scioglimento dei ghiacciai. Con il terreno ripido e l’attività sismica della regione, misure pro-attive come i sistemi di allarme rapido, le infrastrutture protettive e l’attivazione controllata delle valanghe - concludono gli studiosi - risultano essenziali per mitigare i rischi e salvaguardare le comunità.

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