15/06/2015, 00.00
HONG KONG – CINA
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Hong Kong, Giustizia e Pace: La riforma di Pechino non passerà, il popolo vuole democrazia

La Commissione diocesana inizia questa sera, insieme ad altri gruppi della società civile, una protesta ad oltranza davanti al Consiglio legislativo. Qui sta per iniziare il dibattito che deve decidere il destino della riforma elettorale imposta dalla Cina continentale. Ad AsiaNews, una rappresentante spiega: “E’ un test che vuole misurare la nostra determinazione, non ci faremo cogliere impreparati”.

Hong Kong (AsiaNews) – La bozza di riforma elettorale imposta dalla Cina continentale a Hong Kong “non passerà. La nostra Costituzione dice che abbiamo dei diritti, ma ancora non ne abbiamo goduto. È arrivato il momento di mostrare la nostra determinazione e di far capire che il popolo vuole vera democrazia. Andremo avanti fino a che sarà necessario”. Lo dice ad AsiaNews Jackie Hung, rappresentante della Commissione diocesana di Giustizia e Pace, che da tempo spinge l’esecutivo del Territorio a garantire la piena democrazia per il 2017.

La bozza di riforma elettorale per Hong Kong è stata presentata nell’agosto del 2014 dalla Commissione permanente dell’Assemblea nazionale del Popolo di Pechino ed è identica a quella ribadita dall’esecutivo del Territorio. In pratica, il governo centrale cinese vuole scremare gli sfidanti alla carica di Capo dell’Esecutivo e “concede” al Territorio la possibilità di scegliere fra due o tre candidati vagliati da una commissione elettorale composta da membri vicini alla Cina.

Dopo il pronunciamento cinese, decine di migliaia di persone hanno deciso di aderire al movimento pacifico “Occupy Central with Peace and Love”, che per mesi ha tenuto in scacco il governo locale chiedendo una vera riforma in senso democratico.

Ora la situazione è arrivata a un punto di stallo. Per essere approvata, la proposta necessita anche di alcuni voti del blocco democratico. Se invece viene respinta non è chiaro cosa accadrà: di certo le elezioni del Capo dell’Esecutivo del 2017 si svolgeranno con le modalità attuali, ovvero attraverso l’elezione da parte di una maxi commissione che sceglierà il candidato.

La discussione inizierà il prossimo 17 giugno al Consiglio legislativo, il “Parlamento” dell’ex colonia britannica, e andrà avanti fino a quando verrà decisa la data per il voto (che si terrà con ogni probabilità il giorno dopo). Per sensibilizzare la popolazione sulle ragioni dei democratici, racconta la Hung, “abbiamo deciso con altri gruppi della società civile di iniziare da questa sera una protesta pacifica e ad oltranza davanti al Consiglio. Vogliamo che sia chiaro che continueremo a lottare per avere una genuina democrazia, come previsto dalla nostra Costituzione”.

È improbabile, continua la rappresentante, “che la Cina continentale faccia cambiamenti o concessioni. Di fatto, siamo davanti a un test che intende misurare la nostra determinazione. Siamo nelle mani della popolazione, di cui abbiamo il sostegno. Se il movimento di Occupy ha subito battute d’arresto anche dal punto di vista popolare, è perché alcuni hanno cercato di snaturarne la natura pacifica. La polizia e i politici fedeli a Pechino hanno sfruttato questa stortura per dare un’immagine distorta del nostro impegno”.

Questo, conclude la Hung, “non succederà di nuovo. Non ci faremo trovare impreparati e non cadremo nella stessa trappola un’altra volta”. Proprio ieri, migliaia di persone hanno manifestato in maniera pacifica per le strade del Territorio chiedendo al governo di “ascoltare la voce della democrazia”. Altri raduni e incontri di protesta sono previsti per tutta la settimana.

Tuttavia, la popolazione di Hong Kong non sembra avere una posizione compatta sul destino del pacchetto di riforme. Prima di un incontro pubblico che si è svolto ieri nell’Università di Hong Kong, al quale hanno partecipato tre deputati democratici e tre pro-Pechino, il 49% dei partecipanti era contrario all’approvazione mentre il 42% era a favore. Dopo il dibattito, i numeri sono cambiati: 54% contrari alla riforma voluta dalla Cina contro il 38% di favorevoli. Secondo Charles Mok, uno dei democratici che ha animato il dibattito, “la soluzione è qui. Quando si parla in maniera chiara, la popolazione mette a fuoco e capisce meglio cosa sta succedendo”. 

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