05/10/2025, 07.36
ECCLESIA IN ASIA
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I martiri cinesi 25 anni dopo: le polemiche di ieri, il silenzio di oggi

di Gianni Criveller

Il 1 ottobre ricorreva un anniversario importante della canonizzazione voluta da Giovanni Paolo II che segnò il momento più conflittuale delle relazioni tra Pechino e la Santa Sede. Ricordarlo forse risulta imbarazzante nel dialogo di oggi con le autorità di Pechino. Ma la comunità cattolica cinese ha il diritto di ricordare e onorare i propri martiri, come le altre chiese nel mondo.

Milano (AsiaNews) - Mercoledì scorso, 1 ottobre, ricorreva il 25° anniversario della canonizzazione dei 120 martiri di Cina, tra i quali Alberico Crescitelli, l’unico santo del Pime. È stato un anniversario passato nel silenzio, ma ricordo l’impatto enorme che allora l’evento ebbe in tutti coloro che erano coinvolti nelle vicende della chiesa di Cina, compreso l’allora direttore del Centro Pime p. Giancarlo Politi.

La canonizzazione aveva sollevato una grave crisi tra la Santa Sede, la Chiesa cattolica e le autorità politiche della Cina. Forse l’argomento risulta imbarazzante anche oggi. La Santa Sede è impegnata a realizzare l’accordo con Pechino del 2018, sperando in risultati migliori, e certamente la vicenda dei martiri costituisce, purtroppo, un episodio divisivo.

Non possiamo, credo, dimenticare il valore spirituale, ecclesiale e di evangelizzazione che per i cattolici di Cina ha la memoria dei propri 120 santi martiri. Chiese dell’Asia orientale e sud-orientale come quella della Corea, del Giappone, del Vietnam e delle Filippine celebrano con devozione i loro santi martiri, promuovendo i luoghi e le storie della loro testimonianza. In Cina questo non è possibile. Anche se per molti questa impossibilità è così scontata che non la ritengono neanche riprovevole, vorrei ribadire che la comunità cattolica cinese ha il diritto di ricordare e onorare i propri martiri, come le altre chiese nel mondo.

I 120 martiri di Cina includono 87 cinesi (tra i quali ragazzi e ragazze molto giovani) e 33 missionari esteri, uomini e donne. Sono storie di fedeli cinesi e missionari che si estendono in un periodo di ben tre secoli: dal 1648 al 1930. La maggior parte di loro hanno donato la loro vita nel corso della cosiddetta rivolta dei boxer (1900). Prima di dare giudizi affrettati, sarebbe bene conoscere da vicino ciascuno di loro: si scoprirebbero storie esemplari di persone che sono state semplicemente leali alla loro fede in circostanze drammatiche. La gran parte di loro ha coscientemente scelto la morte piuttosto che la rinuncia alla fede.

Le vicende riguardano contesti storici e politici molto diversi tra loro e precedenti all’avvento della Repubblica popolare cinese. Nonostante nessuno dei martiri sia stato vittima dell’attuale ordine politico, il governo di Pechino reagì a queste canonizzazioni in modo molto ostile. I martiri furono etichettati come non patrioti e vittime della propaganda straniera. I missionari furono bollati come imperialisti, e tre di loro, fra i quali il nostro Alberico Crescitelli, furono accusati di essere veri e propri criminali. Inoltre le autorità considerarono la scelta della data del 1 ottobre, festa nazionale della Repubblica popolare cinese, come una provocazione e una sfida.

Allora io prestavo servizio presso l’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong, e producemmo un’ampia documentazione di commento dei risvolti della vicenda e di approfondimento sulla vita dei martiri e le circostanze storiche del loro martirio, rispondendo in modo documentato alle accuse denigratrici.

I cattolici cinesi, sia delle comunità ufficiali sia di quelle sotterranee, onorarono i santi in vari modi e sempre in modo non pubblico. Ricordo bene come a Hong Kong la comunità cattolica, guidata dal cardinale John B. Wu, celebrò una solenne santa messa in onore dei santi nonostante l’invito da parte dei rappresentanti di Pechino in città a farlo in ‘modo dimesso’.

Consapevole della sfavorevole reazione delle autorità di Pechino, nel corso della cerimonia di canonizzazione in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II affermò che non era quello il momento di fare delle analisi storiche o politiche, e che ci sarebbero stati altri momenti in cui studiare e riflettere su che cosa era accaduto davvero. In questa circostanza, affermò il papa, la Chiesa proclama solo le virtù eroiche e cristiane dei santi martiri “esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e che fanno onore al nobile popolo cinese”.

Successivamente Giovanni Paolo II scrisse una lettera personale all’allora presidente cinese, Jiang Zemin (altre lettere erano state scritte in circostanze precedenti). In quella specifica missiva il papa spiegava che la sua intenzione era stata quella di onorare il popolo cinese, e che la Chiesa non intendeva emettere un giudizio storico o politico su complesse situazioni. Jiang Zemin non rispose.

La Santa Sede ribadì che la scelta della data non intendeva essere una mancanza di rispetto alla Cina. La persona che controllava allora l’agenda del papa, ossia l’influente segretario personale Stanisław Dziwisz, potrebbe persino essere stato inconsapevole del carattere sensibile di quel giorno per il regime cinese. Il 1° ottobre 2000 essendo di domenica, nel corso dell’Anno Santo e festa della patrona delle missioni santa Teresa di Lisieux, era stato riservato a possibili canonizzazioni fin dal 1998.

La canonizzazione dell’ottobre 2000 fu il punto più basso alle relazioni fra il governo cinese e Giovanni Paolo II, il quale in seguito fece un’ultima apertura alla Cina in occasione del 400° anniversario dell’arrivo di Matteo Ricci a Pechino (24 ottobre 2001). Nel suo messaggio il papa affermò di voler seguire la strada di Ricci, il cui primo libro in Cina (1595) è intitolato in modo significativo L’amicizia. La Chiesa, disse il papa, non cerca privilegi ma amicizia, rispetto reciproco e libertà. Giovanni Paolo II espresse inoltre rammarico per gli errori commessi in passato da missionari e persone di Chiesa: “Mi dispiace che essi abbiano ingenerato in non pochi l’impressione di una mancanza di rispetto e di stima della Chiesa cattolica per il popolo cinese, inducendoli a pensare che essa fosse mossa da sentimenti di ostilità nei confronti della Cina. Per tutto questo chiedo perdono e comprensione”. Fu un gesto di grande magnanimità e amicizia.

Mi piace pensare che presto i santi martiri di Cina non siano più un problema ma una risorsa di fede. Sono uomini e donne vittime della violenza, non hanno cercato il conflitto ma l’hanno subito, dando la vita in nome di un ideale. Per questo, credenti e non credenti, possono riservare loro devozione e rispetto.

 

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