30/03/2010, 00.00
VIETNAM
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Il Vietnam “è la nuova Cina”, con pregi e difetti molto simili

Uno sguardo alla 3a economia dalla crescita più rapida in Asia, dove il Pil dal 2000 è cresciuto del 7,2% annuo. Aumenta la ricchezza privata, ma pure il divario tra città e campagna e lo sfruttamento degli operai. Ma nelle grandi città si vive l’entusiasmo per i rapidi cambiamenti.
Ho Chi Minh City (AsiaNews/Agenzie) – Da quando il Paese nel 1986 si è aperto a un’economia di mercato, ha attirato l’attenzione degli investitori internazionali. Dal 2000 al 2009 il Prodotto interno lordo è cresciuto alla media del 7,2% annuo, secondo i dati del Fondo monetario internazionale, e in Asia è dietro solo a Cina e Cambogia. Per il 2010 il governo prevede una crescita del 6,5%, con definitivo superamento dei problemi portati dalla crisi finanziaria globale. Sempre dal 1986, gli investimenti esteri diretti sono cresciuti da 0 a 60,3 miliardi di dollari nel 2008, circa 3 volte le riserve di valuta estera del Paese.
 
Ma il Vietnam è un mercato difficile, con repentini e violenti mutamenti di tendenza, come molti investitori hanno imparato a proprie spese. Il mercato azionario, dopo anni di ottimi risultati, nel 2008 è crollato del 66%, per le conseguenze della crisi mondiale e per la rapida inflazione in atto, che ha avuto un picco del 28,3% nell’agosto 2008. Per contenerla, sempre nel 2008 la Banca centrale ha alzato più volte i tassi di interesse, giungendo al 14%. Molti grandi investitori hanno liquidato le loro partecipazioni in ditte locali, con grandi perdite finanziarie. Ma nel 2009 l’indice del mercato azionario di Ho Chi Minh City è salito del 57% e quest’anno è salito di circa il 3,5% al 24 marzo. Con grande soddisfazione di chi, invece, ha rischiato ed è rimasto nel mercato.
 
Esperti osservano che il Paese ha 86 milioni di abitanti e dicono che non bisogna seguire le ondate emotive, ma puntare sulla continua espansione del mercato interno e del settore privato. Grazie agli investimenti esteri, il reddito pro-capite medio è passato dai 375 dollari del 1999 ai 1.042 del 2008.
Son Nam Nguyen, imprenditore della primaria ditta di consulenza finanziaria Vietnam Capital Partners, osserva all’agenzia Bloomberg che il Vietnam “è la nuova Cina, nessuno vuole restarne fuori”.
 
Il paragone con la Cina appare valere anche per i problemi che spesso accompagnano il rapido sviluppo dei Paesi emergenti: sfruttamento di mano d’opera a basso costo, rapida crescita del divario tra un’economia cittadina in rapida espansione e quella rurale più statica, corruzione diffusa.
Di certo i consumi privati sono in rapido aumento, almeno nelle città, flagellate dal traffico caotico che appare conseguenza inevitabile della crescita economica. Si affermano persino caffè e ristoranti di tipo occidentale. Come la catena Highlands Coffee, considerata la Starbucks del Paese, creata nel 2002 da David Thai, fuggito a Seattle dopo la fine della guerra, tornato dopo la svolta liberista economica. Si rivolge a una clientela abbiente: un latte piccolo costa 44mila dong, circa 1,80 euro, l’equivalente di una scodella di brodo di manzo per due persone. Gli 80 locali della catena hanno aria condizionata, televisori e schermo piatto, connessione wi-fi. A gennaio lo stesso gruppo ha aperto il primo Hard Rock Café del Paese a Ho Chi Minh City, con un investimento di oltre 2 milioni di dollari. Ma in molte zone rurali il problema è ancora la sussistenza quotidiana. Nel luglio 2008 l’agricoltura occupava 22 milioni di persone, circa la metà dell’intera forza lavoro, secondo i dati dell’Ufficio statistiche generali di Vietnam. E’ vero che dal 2000 al 2008 gli operai nel settore manifatturiero sono raddoppiati giungendo a 6,3 milioni, il 14% della forza lavoro. Ma, come in Cina e in altri Paesi, i capitali esteri sono attirati dal basso costo della mano d’opera e dal limitato rispetto dei diritti civili e sindacali dei lavoratori.
 
Peraltro la crescita significa anche il proliferare rapido della industrie locali. Come la Socbay.com, ditta leader quale motore per le ricerche internet in lingua vietnamita, che molti ritengono sarà la Google locale.
 
Il gruppo Transparency International, che studia la corruzione nel settore economico in tutto il mondo, nella classifica di integrità mette il Vietnam al 120° posto su 180 Paesi considerati, dietro a Cina, Thailandia e Indonesia. Il gruppo, in un rapporto del 2006, rileva il grande divario tra la condanna ufficiale della corruzione e la sua diffusione di fatto, e conclude che “avere i giusti collegamenti –e il denaro- è decisivo per ottenere quanto occorre”.
 
Sembra in un’altra epoca il 30 aprile 1975, quando un carro armato nordvietnamita entrò attraverso le porte del palazzo presidenziale a Saigon, per simboleggiare il controllo comunista del Paese. Nei mesi e anni successivi milioni di vietnamiti fuggirono dal Paese, anche a piedi o su incerte imbarcazioni attraverso il Mar Cinese Meridionale. La fuga dei cervelli e la politica del nuovo governo spinsero il Paese nell’isolamento. Fino a quanto nel 1986 Pham Van Dong, primo premier della Repubblica socialista di Vietnam, ammise le imprese a capitale privato, tolse il controllo dei prezzi e aprì poi le porte agli investimenti esteri. Nel 1994 il presidente Usa Bill Clinton tolse l’embargo verso il Paese. Negli ultimi anni c’è stato il ritorno di tanti profughi, entusiasti di investire nel loro Paese e creare nuove iniziative.
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