28/10/2025, 12.21
MALAYSIA - ASEAN - CINA
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Il futuro dell’Asean nella guerra dei dazi fra Washington e Pechino

di Joseph Masilamany

Intervenendo al vertice il premier cinese Li Qiang invita a “serrare le fila” di fronte alle sfide globali, in primis quella commerciale con gli Stati Unti. Per il Sud-est necessario mantenere aperti i mercati evitando, di rimanere coinvolti in un duello commerciale tra superpotenze. Aggiornato l’accordo di libero scambio Asean-Cina, per il prossimo anno la presidenza passa alle Filippine.

Kuala Lumpur (AsiaNews) - Il premier cinese Li Qiang ha esortato i paesi Asean a “serrare le fila” e difendere l’indipendenza economica della regione di fronte a quelle che ha definito “prevaricazioni” e “irragionevoli” pressioni commerciali da parte delle potenze straniere. Parole che celano un riferimento, nemmeno troppo velato, alle nuove tariffe applicate da Washington nel novero della cosiddetta guerra dei dazi lanciata dal presidente Usa Donald Trump. Intervenendo al 28° vertice Asean-Cina tenutosi parallelamente al 47° vertice dell’Associazione che riunisce 11 Paesi del Sud-est asiatico, Li ha avvertito che la regione potrebbe essere “divisa e governata” se non agirà con una unità di intenti. L’obiettivo comune, ha avvertito il premier cinese, dece essere quello di fare fronte comune davanti all’intensificarsi delle rivalità economiche globali.

“Il protezionismo unilaterale ha avuto un grave impatto sull’ordine economico e commerciale internazionale. L’ingerenza nella regione da parte di forze esterne - sottolinea il premier cinese - è in aumento. Molti Paesi sono stati sottoposti in modo irragionevole a tariffe elevate”. “Se non ci uniamo e, al contrario, formiamo fazioni di fronte alla politica di potere e al bullismo economico, non solo non otterremo alcun beneficio, ma saremo anche divisi e governati da forze esterne”.

In conclusione del suo intervento, Li ha confermato l’impegno di Pechino a lavorare a stretto contatto con l’Asean per rafforzare le catene di approvvigionamento, salvaguardare la stabilità regionale ed eliminare le “ingerenze esterne”; un chiaro riferimento alle crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, che hanno travolto le economie più piccole di tutta l’Asia.

Trump: Shock tariffario 2.0

Le osservazioni di Li seguono il rinnovato regime tariffario del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, entrato in vigore il 5 aprile, che segna una brusca svolta verso il nazionalismo economico durante il suo secondo mandato.  In base alla nuova politica, Washington ha imposto una tariffa base del 10% su quasi tutti i beni importati, oltre a “tariffe reciproche” punitive verso nazioni ritenute in possesso di vantaggi commerciali sleali o che mantengono ingenti surplus con gli Stati Uniti: una diretta ripresa della precedente dottrina commerciale “America First” del Tycoon Usa.

La mossa ha scatenato un’ondata di misure di ritorsione da parte di Pechino, che ha imposto tariffe elevate sulle esportazioni agricole e tecnologiche statunitensi, ha inasprito i controlli sulle esportazioni di terre rare e ha ampliato le restrizioni commerciali sulle aziende americane. Nel mezzo si trovano le economie Asean, importanti centri di produzione e di esportazione profondamente integrati nelle catene di approvvigionamento sia statunitensi che cinesi. Infatti, i suoi membri sono stati tra i più colpiti a livello globale dai dazi statunitensi, in particolare le economie in via di sviluppo che dipendono fortemente dalle esportazioni manifatturiere.

Le prime aliquote tariffarie hanno portato la Cambogia al 49%, il Vietnam al 48% e il Laos al 46%, tra le più alte al mondo. La Malaysia ha inizialmente dovuto affrontare dazi del 25%, successivamente ridotti al 19% dopo una serie di negoziati condotti dal ministro degli Investimenti, del commercio e dell’industria Tengku Zafrul Aziz. Fonti diplomatiche hanno affermato che la riduzione per Kuala Lumpur è stata resa possibile da “concessioni mirate” e da un “impegno a favore del commercio” nell’ambito del quadro Asian-Stati Uniti. 

Da allora, il Vietnam e la Cambogia hanno visto un leggero calo dei dazi rispettivamente al 20% e al 19%, mentre il Laos continua a dover affrontare una tariffa elevata del 40%, che riflette i progressi più lenti nelle riforme commerciali e nei negoziati. La rinnovata guerra commerciale ha sconvolto le catene di approvvigionamento e gettato incertezza sulle prospettive economiche collettive del blocco dei Paesi del Sud-est asiatico, saliti a 11 dopo l’ingresso a pieno titolo di Timor Est. Secondo gli analisti, molti leader regionali guardano sempre più a un approfondimento degli scambi commerciali intra-Asean e a legami più forti con la Cina per superare le difficoltà.

Asean a un bivio

Gli analisti osservano che l’appello all’unità lanciato da Li riflette sia la strategia di apertura di Pechino, sia la lotta dell’Asean per mantenere l’equilibrio nel contesto della rinnovata rivalità tra Stati Uniti e Cina. Oh Ei Sun, analista del Singapore Institute of International Affairs, ha affermato che il messaggio è “tanto un avvertimento quanto un invito”. “Li Qiang - spiega - sta dicendo all’Asean che la frammentazione avvantaggia le potenze esterne, in particolare gli Stati Uniti, mentre l’unità rafforza il potere della regione. Ma l’Asean deve muoversi con cautela per non apparire allineata con nessuno dei due blocchi”, ha aggiunto Oh a The Edge.

Secondo gli osservatori, il tono del vertice di quest’anno sottolinea come le controversie commerciali stiano ridefinendo il panorama politico asiatico, con il Sud-est impantanato in una terra di mezzo. Per l’Asean, la scelta potrebbe non riguardare la presa di posizione, ma piuttosto l’elaborazione di una strategia di sopravvivenza in un mondo in cui sia Washington che Pechino stanno ridefinendo la globalizzazione secondo i propri termini. Come ha concluso Li nel suo discorso: “Solo attraverso la solidarietà possiamo salvaguardare gli interessi a lungo termine della regione e garantire che il futuro dell’Asia rimanga nelle mani degli asiatici”.

Quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca nel gennaio 2025, non ha perso tempo a riprendere una delle sue politiche distintive: l’agenda commerciale intransigente improntata su “America First” che un tempo ha scosso i mercati globali. Nei suoi primi 100 giorni, il Tycoon ha firmato un ordine esecutivo che imponeva una tariffa base del 10% su quasi tutte le importazioni, sostenendo che decenni di libero scambio avevano “svuotato” le industrie americane. La mossa ha segnato la misura protezionistica più radicale nella storia moderna degli Stati Uniti.

L’amministrazione Usa ha poi presentato un “quadro tariffario reciproco”, che prevedeva dazi più elevati per Paesi e settori specifici, in particolare quelli con grandi surplus commerciali o i cui prodotti erano considerati sovvenzionati o con prezzi sleali. La Cina era in cima alla lista. I dazi sui prodotti elettronici, sull’acciaio e sui pannelli solari cinesi sono saliti oltre il 50%, scatenando la ritorsione di Pechino. Ma i danni collaterali si sono rapidamente diffusi in tutta l’Asia, dove le catene di approvvigionamento sono profondamente intrecciate con entrambe le economie.

I Paesi Asean si sono trovati nel mezzo del fuoco incrociato. Paesi come Vietnam, Malaysia e Thailandia, basi produttive chiave per i beni tecnologici e di consumo Usa, si sono trovati all’improvviso ad affrontare pesanti dazi sulle esportazioni, spingendo i leader regionali a rinegoziare i privilegi commerciali o ad approfondire i legami con la Cina. Gli economisti avvertono che lo “shock tariffario 2.0” di Trump rischia di frammentare il commercio globale, vanificando i progressi compiuti nell’ambito di accordi multilaterali come il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep).

Per il Sud-est asiatico, la sfida ora consiste nel mantenere aperti i mercati evitando al contempo di rimanere coinvolti in un duello commerciale tra superpotenze che potrebbe plasmare il prossimo decennio di crescita della regione. Nel frattempo, la firma dell’accordo aggiornato sull’area di libero scambio Asean-Cina (Acfta 3.0), la cerimonia di chiusura del 47° vertice e dei summit correlati e il passaggio ufficiale della presidenza alle Filippine hanno caratterizzato l’ultima giornata del vertice odierno.

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