03/03/2021, 08.55
LIBANO
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Il grido dei libanesi, in piazza contro la crisi politica

Sempre più persone manifestano all’insegna del motto: “Non abbiamo più niente da perdere, perché abbiamo già perso tutto”. Le proteste hanno coinvolto diverse città del Paese, con strade bloccate e pneumatici incendiati. Crolla la lira libanese, al mercato nero ne servono 10mila per un dollaro.

Beirut (AsiaNews/Agenzie) - “Non abbiamo più niente da perdere, perché abbiamo già perso tutto”. È questo lo slogan intonato a più riprese ieri da una folla sempre più inferocita, che si è riversata per le vie e piazze di diverse città libanesi per manifestare contro il crollo continuo della moneta locale e una crisi politica che rischia di affossare il modello su cui si fonda nazione. Al mercato nero un dollaro era scambiato alla cifra record di 10mila lire libanesi, un record - in negativo - senza precedenti.

Da Tiro ad Akkar, da Nabatiyé a Saïda, dalla capitale a Békaa, Jbeil, Tripoli e Batroun, giunge lo stesso grido disperato contro una classe politica e dirigente sempre più considerata origine e causa della crisi che aleggia sul Paese dei cedri da oltre un anno e mezzo. Anche a Beirut i dimostranti hanno bloccato strade, incendiato gomme e cassonetti gridando: “Il popolo vuole la caduta del regime”. 

“Non abbiamo elettricità da due settimane, il dollaro è scambiato a 10mila lire, non c’è lavoro per i libanesi” afferma a L’Orient-Le Jour (OLJ) un manifestante che non vuol dire il proprio nome, ma dice di venire da Khandak el-Ghamik, feudo del movimento Amal. “Siamo contro tutti” afferma riprendendo lo slogan delle manifestazioni del 17 ottobre 2019, per poi precisare che fanno “eccezione” il presidente del Parlamento Nabih Berry e il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah. 

“Blocchiamo le strade, perché non abbiamo elettricità, non abbiamo soldi, non abbiamo sicurezza” grida il 18enne Omar, proveniente dal quartiere di Aïcha Bakkar. “Qui - prosegue - tutti i manifestanti sono sciiti e io sono sunnita, ma siamo solidali”. Egli afferma di voler combattere “tutta la classe politica, ad eccezione di Sheikh Saad” (Hariri, il premier incaricato). Uno scenario simile emerge anche all’incrocio conosciuto con il nome di Chevrolet, nel distretto di Furn el-Chebback. “Non abbiamo più soldi” grida il 20enne Antoine, studente alla Saint Joseph University, “i nostri genitori non possono più pagare le nostre tasse universitarie”, mentre sullo sfondo la polizia vigila - senza intervenire - sulla deriva delle manifestazioni di piazza e l’aria si fa via via sempre più irrespirabile per i pneumatici in fiamme.

“Non posso più pagare le mie tasse universitarie” afferma sconsolato il 21enne Elias. Il giovane è convinto che la rivolta popolare non sia finita anzi, sia solo un inizio di un percorso ben più lungo. Per Fouad, 43 anni, disoccupato da un anno, è fondamentale che i libanesi “si muovano per sbarazzarsi di una classe politica che continua a ignorarci”.

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