03/06/2025, 12.20
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Iran la protesta degli autotrasportatori: prezzi alle stelle, decine di arresti

di Dario Salvi

A quasi due settimane dall’inizio, lo sciopero - oscurato dai colloqui sul nucleare - si è esteso a 155 città. I camionisti contro gli aumenti nei premi assicurativi e le politiche governative sul carburante. Almeno 20 manifestanti sono stati fermati, mentre i generi alimentari, fra cui la frutta, registrano un +50%. Per reprimere il dissenso gli ayatollah ricorrono alla tecnologia. 

Milano (AsiaNews) - La diplomazia internazionale e le cancellerie occidentali seguono con attenzione i negoziati fra Stati Uniti e Iran sul nucleare, ma nella Repubblica islamica si sta consumando da quasi due settimane - e nel silenzio generale - un fronte interno di scontro in progressiva espansione. Protagonisti della protesta dei camionisti, che hanno indetto uno sciopero nazionale che tocca almeno 155 città e sta paralizzando il trasporto di beni e merci determinando una pesante impennata dei prezzi che rischia di svuotare le già esili tasche dei cittadini. Le autorità iraniane hanno compiuto una ventina di arresti fra i trasportatori a Bijar e nelle province di Kermanshah, Ardabil, Gilan-e-Gharb, Fars, Isfahan, Hormozgan e Behbahan. Alla protesta, fra le più imponenti e partecipate degli ultimi anni in tema di lavoro, si sono uniti nei giorni scorsi anche i tassisti di Sabzevar, mentre il sindacato di categoria e l’organizzazione dei trasportatori invoca “l’immediato e incondizionato rilascio dei colleghi arrestati”. 

Crisi dell’autotrasporto

Alla base dello sciopero vi è il forte aumento dei premi assicurativi e le nuove politiche di prezzo del carburante, che secondo gli autisti minacciano i mezzi di sostentamento, oltre alle numerose difficoltà economiche e sociali che hanno riguardato la categoria nell’ultimo anno. Ad aprile, diversi autisti sono stati uccisi e i camion devastati dalle esplosioni nel porto Shahid Rajaee a Bandar Abbas, uno dei principali hub commerciali. Nello stesso periodo un’inchiesta della Bbc in lingua persiana ha mostrato il flusso di autisti afghani che entravano in Iran attraverso il confine di Dogharoun, in competizione con i locali per il lavoro. Tuttavia, il punto di rottura è coinciso con l’annuncio governativo di un drastico aumento dei premi assicurativi, balzati da circa 2,4 milioni di tomans a 3,3 milioni - più o meno da 29 a 40 dollari al cambio attuale. I premi erano ancora più alti per gli autisti nuovi e inesperti, arrivando a toccare quota 4 milioni di tomans (circa 50 dollari). Gli aumenti sono stati causati dai tagli alle sovvenzioni statali che, in passato, aiutavano a coprire i costi assicurativi. Ora, solo i conducenti esperti possono usufruire della riduzione del sostegno governativo, mentre i nuovi si vedono costretti a pagare l’intero importo.

Oltretutto molti affermano di aver faticato anche in passato nel permettersi l’assicurazione pur a fronte di tariffe agevolate, sebbene l’apice della crisi coincida con l’incidente al porto di Bandar Abbas: a fronte di mancati risarcimenti per i mezzi danneggiati o distrutti, i camionisti si vedono tuttora costretti a sostenere i costi legati all’acquisto e gestione. Reza Akbari, capo dell’Organizzazione per la manutenzione e il trasporto stradale, si è impegnato a lavorare per ridurre le polizze, ma ciò richiederà modifiche normative e ulteriori finanziamenti. Intanto la protesta ha ricevuto un sostegno senza precedenti dal mondo della scuola: il leader del sindacato degli insegnanti Mohammad Habibi ha sottolineato come il movimento dei camionisti rifletta la crescente “maturità sociale”, soprattutto dopo le proteste del 2022 per Mahsa Amini. “Questa maturità sociale, soprattutto dopo il movimento ‘Donna, Vita, Libertà’, si sta formando e consolidando” ha proseguito l’attivista in una intervista a IranWire. “L’emergere ripetuto di tali movimenti collettivi tra diversi gruppi sociali, fra cui lavoratori, pensionati, insegnanti, infermieri e camionisti, dimostra - conclude - che la società ha raggiunto un proprio grado di consapevolezza”.

Impennata nei prezzi

Nei giorni scorsi personalità di primo piano hanno espresso il loro sostegno ai camionisti in sciopero. Fra questi vi è il regista Jafar Panahi, recentemente vincitore della Palma d’Oro a Cannes, che ha invitato gli autisti a estendere la protesta a livello nazionale. “Questo sciopero è un grido potente al Governo: quando è troppo è troppo. Mettete fine all’oppressione e allo sfruttamento - ha scritto in un messaggio su Instagram - prima che non rimanga nulla per il popolo”. Un attestato di vicinanza e solidarietà giunge anche dalla premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, che dal carcere ha espresso il proprio sostegno alla protesta in una breve nota rilanciata su X (ex Twitter). 

Intanto vanno registrati i primi, pesanti impatti dello sciopero sul trasporto delle merci (e i prezzi) in materia di cibo, carburante e materiali industriali, in quanto i camion sono responsabili di oltre il 90% del movimento di beni e prodotti in Iran. I rapporti provenienti da tutto il Paese indicano che le principali autostrade e i terminal dei camion rimangono in gran parte deserti, e la carenza di rifornimenti sta iniziando a colpire sia le aree urbane che quelle rurali. Nonostante le vaste riserve di petrolio e gas dell’Iran consentano di mantenere i prezzi del carburante tra i più bassi al mondo, gli aumenti hanno scatenato un’ira diffusa.

Un esempio su tutti riguarda il costo della frutta, che è cresciuto nell’ultima settimana di oltre il 50% in un quadro generale di criticità per la rete dei trasporti. Il monitoraggio dei prezzi effettuato dall’agenzia di stampa Tabnak mostra inoltre picchi significativi in diverse categorie di prodotti. I frutti di stagione appena raccolti, tra cui ciliegie, albicocche e gelsi bianchi, hanno registrato forti aumenti di prezzo all’arrivo sul mercato. Le mele rosse e gialle sono aumentate in media di 40mila tomans, arrivando a costare fino a 100mila tomans al chilogrammo. Prezzi elevati, se si considera che il dollaro Usa equivale a circa 82mila tomans e lo stipendio medio mensile è di circa 200 dollari. Le statistiche ufficiali mostrano che oltre il 70% della popolazione iraniana vive al di sotto della soglia di povertà e, ogni anno, circa 10mila bambini abbandonano la scuola a causa delle difficoltà economiche, aggiungendosi al milione già fuori dal sistema scolastico. Queste condizioni economiche disastrose hanno creato terreno fertile per agitazioni sindacali in vari settori e proteste di piazza, con le autorità che rispondo usando un nuovo approccio e diversi modelli repressivi. 

Tecnologia contro il dissenso

In una fase di crescenti proteste di piazza e malcontento popolare in risposta alla crisi economica e commerciale, alimentata dalle sanzioni occidentali, le autorità iraniane fanno sempre più ricorso alla tecnologia - più delle armi - per il controllo sociale. Analisti e studiosi parlano di “nuova fase” della Repubblica islamica in tema di governance della sicurezza, in cui il controllo non si mantiene più in via esclusiva a colpi di proiettili e arresti, quanto piuttosto con analisi dei dati, sorveglianza e ingegneria dell’informazione. Questo passaggio dalla violenza aperta all’uso dell’algoritmo è inquadrato dalla propaganda di Stato come “smartification” e “sicurezza psicologica”, parole d’ordine che mascherano un obiettivo più profondo: costruire un sistema più efficiente di controllo sociale, per anticipare più che reprimere proteste e malcontento.

Da un lato l’Iran apre ai negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti, ma sul fronte interno si sta preparando ad un fallimento dei colloqui con gli Stati Uniti e all’inasprimento della crisi. Da qui l’ampio ricorso delle autorità al monitoraggio di internet, al tracciamento dei cellulari, al riconoscimento facciale, alla sorveglianza dei negozi fino alle telecamere domestiche obbligatorie, per costruire una società basata sul controllo digitale. L’obiettivo: neutralizzare il dissenso prima che inizi, con un “volto repressivo” più “morbido” o, secondo alcuni, persino “benevolo” della polizia e di certo meno invasivo grazie alle moderne tecnologie. 

Il risultato è un regime senza soluzione di continuità e predittivo progettato non solo per sorvegliare i cittadini, ma per anticiparli e contenerli. Negli ultimi anni Teheran ha adottato un approccio più sistematico e tecnico al controllo digitale. Un chiaro indicatore di questa tendenza è la risoluzione approvata dal Consiglio supremo del cyberspazio nel gennaio 2025: sebbene sia stata presentata come piano per “eliminare il filtraggio” dei contenuti, la direttiva espande le regole sull’attività online. E autorizza il governo a controllare i “contenuti criminali”, a limitare le Vpn e a penalizzare la diffusione delle cosiddette “fake news”. Gli stessi strumenti sono utilizzati per far rispettare i codici di abbigliamento come avviene a Isfahan, dove le autorità usano lettori di pagamenti contactless e telecamere di sorveglianza per identificare le donne senza l’hijab obbligatorio. Questa strategia non si limita a reprimere la resistenza, ma mira a cancellarne la possibilità stessa, oltre a interrompere le comunicazioni e congelare gli spazi pubblici e digitali. Se l’obiettivo verrà centrato, l’Iran non sarà solo uno Stato di sorveglianza, ma uno che anticipa il dissenso stesso dove gli individui vengono profilati, categorizzati e neutralizzati prima che agiscano. Dove la repressione non indossa più un’uniforme, ma opera silenziosa per prevedere e prevenire.

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