03/04/2023, 13.13
TURCHIA
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Iskenderun, mons. Bizzeti e i volontari di Amo: Pasqua di ‘condivisione’ coi terremotati

A due mesi dal sisma molti cercano ancora un modo per fuggire all’estero o in altre parti del Paese. In città riaprono i primi negozi e attività, ieri le celebrazioni della domenica delle Palme che hanno unito cristiani turchi e stranieri. Giovani dall’Italia portano aiuto fra le macerie. Universitario di Firenze: “Esperienza forte”.

Iskenderun (AsiaNews) - A due mesi dal devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria, con il suo lascito di distruzione e morte (oltre 57mila le vittime), “molte persone sono partite, altre stanno cercando una sistemazione per potere andare via, perché non è semplice restare sotto le tende”. Si vive ancora una fase di piena emergenza e precarietà nella regione colpita dal sisma del 6 febbraio scorso, come racconta ad AsiaNews il vicario d’Anatolia mons. Paolo Bizzeti il quale aggiunge che “non è semplice dipendere dagli aiuti” ed è ancora “forte” la voglia di fuggire “per chi può”. In questi giorni il prelato sta coordinando l’opera di alcuni volontari giunti dall’Italia per vivere la Pasqua con gli sfollati e contribuire nell’assistenza, in un clima di “solidarietà e condivisione”. 

“Chi ha parenti all’estero o persone che possano ospitare” lascia la Turchia, altri “si dislocano in città non troppo lontane dalle aree in cui vivevano un tempo” contando su contatti e conoscenze, spiega mons. Bizzeti, anche perché “in Turchia vi è molta solidarietà a livello familiare”. Intanto a Iskenderun “stanno riaprendo alcuni negozi e attività” e il quadro è decisamente meno complicato rispetto ad Antiochia che resta il cuore della devastazione. Ieri si sono tenute le celebrazioni della domenica delle Palme “con cristiani locali e stranieri uniti nella fede. Ad Antiochia, invece, non vi sono luoghi per celebrare e anche i frati cappuccini sono andati via. Vi sono zone scoperte, dove non si sa ancora se e come si terrà la Pasqua”. 

Il problema, osserva il vicario d’Anatolia, da un lato è quello della “rimozione delle macerie” che restano in grande quantità, dall’altro “la possibilità di aiutare, costruire e ricostruire” con maggiore velocità e minori intoppi burocratici. “Ogni azione - prosegue - passa sotto un comitato di coordinamento governativo e non vi è grande possibilità di libera iniziativa personale. Edificare villaggi “con case prefabbricate” e dare un tetto agli sfollati resta impresa “complicata”, perché “servono permessi dalle autorità” che hanno modalità di operare e tempistiche dilatate. Proprio il fattore tempo “costituisce uno dei principali ostacoli” di fronte ai bisogni che restano enormi. “È chiaro - precisa - che serve un coordinamento, ma una cosa è organizzare i lavori, altro è creare un imbuto attraverso il quale deve passare ogni attività”. 

In risposta all’emergenza, l’associazione Amici del Medio Oriente Onlus (Amo) ha promosso l’iniziativa “E ora rialzo la testa”, come recita il salmo 26. Una settimana, dal 2 al 9 aprile, di volontariato nelle zone terremotate in occasione della Pasqua in un’ottica di “servizio” al prossimo e di condivisione di una festa, che possa essere davvero occasione di rinascita. “Una idea - racconta mons. Bizzeti - nata dalla sensibilità di un confratello gesuita, p. Francesco Cavallini, anch’egli parte di Amo. Abbiamo pensato di invitare giovani a condividere questa esperienza con i cristiani di qui, vivere le celebrazioni della settimana santa e fornire aiuto, coniugando servizi e celebrazioni”. 

All’iniziativa hanno aderito una dozzina di giovani provenienti da diverse parti dell’Italia e altri ancora dovrebbero arrivare nelle prossime ore. “Adesso stanno mettendo a posto il materiale liturgico, i libri da archiviare e catalogare - racconta il vicario - vi sono i beni alimentari da distribuire nei magazzini, per poi spedirli dove servono”. Fra quanti hanno raccolto l’invito di Amo vi è il 20enne Francesco Busoni, universitario a Firenze. “Meno di una settimana fa - racconta - un amico mi ha segnalato l’annuncio, invitandomi a vivere una esperienza in cui avrebbero fatto molto più i terremotati per me, di quanto non possa fare in realtà io per loro. Una esperienza personale forte, per questo ho colto al volo l’opportunità”.

“Sono arrivato ad Adana e percorrendo il tragitto fino a Iskenderun dove mi trovo ora ho visto interi paesini e villaggi rasi al suolo” a due mesi dal terremoto. “Macchine sepolte dalle macerie, intere case crollate con i panni ancora appesi” prosegue, una vista “che fa effetto”. “Ieri mi sono recato in una tendopoli - sottolinea - e ho visto bambini seguire le lezioni all’aperto, perché la loro scuola è crollata. Anche in un periodo di festa, ci si accorge di quanto la quotidianità non sia mai scontata. Ora vi devo salutare - conclude - perché dobbiamo andare a sistemare il muro della chiesa e spostare alcuni oggetti”. 

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