Le 'vacanze forzate' imposte da Pechino ai dissidenti cinesi
Il governo cinese costringe attivisti e difensori dei diritti umani a lasciare le loro case, sotto scorta di polizia, per evitare proteste o interviste durante eventi politicamente sensibili. Un rapporto di Safeguard Defenders documenta la pratica, di fatto una forma di detenzione che viola i diritti umani e che, dopo il Covid-19, è diventata meno "lussuosa" a causa delle difficoltà economiche della Cina, ma non meno oppressiva.
Pechino (AsiaNews) – Il Partito comunista cinese organizza “vacanze forzate” per attivisti, dissidenti e avvocati per i diritti umani. A raccontare questa pratica è un recente rapporto pubblicato da Safeguard Defenders. Intitolato “China Travel Magazine: Dissident Edition”, il rapporto documenta come i cittadini vengono costretti a lasciare le proprie abitazioni, spesso sotto scorta della polizia, durante eventi politicamente sensibili per evitare che organizzino proteste, scrivano petizioni o parlino con i media e i funzionari stranieri. Si tratta di una pratica che il PCC preferisce all’arresto formale per non attirare critiche a livello internazionale.
Le date considerate sensibili da Pechino sono il 4 giugno, giorno del massacro di Piazza Tienanmen, oppure le giornate in cui si tengono eventi politici interni come le "due sessioni" che ogni anno si svolge a marzo, e il congresso nazionale del PCC, che si svolge invece ogni cinque anni. Ma i dissidenti vengono mandati “in vacanza” persino durante vertici internazionali o visite di capi di stato stranieri. Le destinazioni dei viaggi forzati variano ampiamente, a seconda della durata dell'evento e, più recentemente, dei budget delle amministrazioni locali.
Prima della pandemia da covid-19, questi viaggi potevano anche comprendere alberghi lussuosi, pasti costosi e visite turistiche. Un avvocato per i diritti umani ha raccontato che i funzionari cinesi si contendevano il diritto di accompagnarlo perché vedevano l’esperienza come una vacanza gratuita. Tuttavia, dopo la pandemia, a causa di crescenti difficoltà economiche e della riduzione dei fondi dedicati alla “stabilità”, i viaggi sono diventati più brevi, più economici e spesso limitati a sobborghi cittadini. L’attivista Ji Feng, per esempio, ha riferito che i suoi viaggi forzati sono stati limitati alle aree vicine alla città in cui vive, a differenza degli anni precedenti in cui era stato portato in destinazioni più lontane. In alcuni casi le autorità cinesi hanno preferito imporre arresti domiciliari o diramare semplici avvertimenti per contenere ulteriormente le spese.
Il rapporto documenta diversi casi. Durante il congresso nazionale del PCC nell'ottobre 2022, per esempio, l’editore e attivista Bao Pu e sua moglie erano stati portati con la forza fuori Pechino, così come la giornalista settantenne Gao Yu e l'avvocato Pu Zhiqiang. Gao, in un'occasione precedente, era rimasta senza medicine durante il viaggio. Prima delle due sessioni del 2022, Yin Dengzhen, firmataria di diverse petizioni, e il marito malato Xiao Shujun erano stati costretti a lasciare Pechino. "Se mi detengono, Xiao morirà di fame a Pechino", ha detto Yin al Rights Protection Network.
Pechino attua anche un’altra forma di detenzione, detta Non-Release Release (NRR), in cui attivisti di alto profilo rilasciati dal carcere vengono immediatamente portati in un hotel distante per impedirgli di parlare con i media. Questa pratica, sebbene presentata come una "vacanza", rappresenta una grave violazione dei diritti umani, sottolinea Safeguard Defenders, contraria al diritto alla libertà di movimento e di espressione, e alla privacy, come sancito sia dalla Costituzione cinese (articoli 35 e 37) che dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (articoli 9, 12 e 13).
Il rapporto solleva anche preoccupazioni riguardo a una possibile estensione di queste misure a Hong Kong. Sebbene non ci siano prove di viaggi forzati che rientrino nella definizione standard, nel 2023 l'attivista pro-democrazia Agnes Chow è stata costretta a un'azione coercitiva simile: la polizia per la sicurezza nazionale della città l'ha scortata a Shenzhen per un tour di propaganda del PCC, come condizione per la restituzione del suo passaporto. Chow ha dichiarato di aver accettato perché era l'unico modo per ottenere il suo passaporto e fuggire da Hong Kong. Ora vive in esilio in Canada.
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