Accordo su Gaza: la Cina resta lontana
Dopo l'enfasi di un anno fa sulla "storica riconciliazione" tra le fazioni palestinesi a Pechino "benedetta" dal ministro degli Esteri Wang Yi, la Repubblica popolare cinese è rimasta lontana dai tentativi di mediazione per il cessate il fuoco a Gaza. E anche dopo la svolta di stanotte appare fredda. Il nodo degli affari da garantire nella regione.
Milano (AsiaNews/Agenzie) - “La Cina auspica che un cessate il fuoco completo e permanente a Gaza possa essere raggiunto il prima possibile, che la crisi umanitaria venga efficacemente alleviata e che le tensioni nella regione si attenuino. La Cina sostiene il principio secondo cui ‘la Palestina deve essere governata dai palestinesi’ e promuove l'attuazione della soluzione dei due Stati. Siamo pronti a collaborare con la comunità internazionale per compiere sforzi incessanti al fine di giungere a una soluzione rapida, completa, giusta e duratura della questione palestinese e a un Medio Oriente pacifico e stabile”.
Nella liturgia sempre molto significativa delle conferenze stampa quotidiane del ministero degli Esteri, a Pechino oggi è stata confinata alla risposta all’ultima domanda – formulata da un giornalista dell’agenzia AFP – la posizione di Pechino sulla notizia del giorno in tutto il mondo, l’accordo raggiunto a Sharm el Sheikh sulla prima fase del piano Trump che dovrebbe portare al cessate il fuoco a Gaza e alla liberazione nell’arco di 72 ore degli ultimi ostaggi israeliani ancora in vita nella Striscia e di circa 2mila detenuti palestinesi dalle carceri israeliane. Nella gerarchia delle notizie - abbastanza comprensibilmente - è venuta prima la domanda di CCTV sul discorso con cui Xi Jinping ha annunciato la sua presenza alla sessione inaugurale dell’incontro dei Leader globali sulla Condizione delle donne che le Nazioni Unite si apprestano a celebrare nella capitale cinese il 13 e 14 ottobre a trent’anni dalla Conferenza di Pechino del 1995.
Ma è emblematico che nessuno dei media di Stato cinesi abbia ritenuto opportuno porre una domanda sulla reazione del governo cinese a questo delicato accordo, ritenendo più urgente capire la posizione del ministero degli Esteri cinese sulla proposta della “tregua olimpica” per i Giochi di Milano-Cortina (“Al momento, il mondo non è né pacifico né tranquillo, e continuano a emergere focolai di tensione in diverse regioni: la Cina sostiene l’idea di cogliere l’occasione offerta dalla risoluzione sulla Tregua Olimpica” la risposta del portavoce Guo Jiakun).
Vista con gli occhi di oggi appare decisamente lontana l’immagine del 23 luglio 2024, quando sotto la “benedizione” del ministro degli Esteri della Repubblica popolare cinese Wang Yi i rappresentanti di 14 fazioni palestinesi di riunivano a pechino per una “storica riconciliazione” che avrebbe dovuto essere l’inizio della svolta cinese per la soluzione dello storico conflitto in Medio Oriente. Dovevo essere l’inizio di un processo per la costituzione di un governo nazionale di riconciliazione che avrebbe affrontato il dopoguerra a Gaza. Alla fine invece è rimasta solo la più classica delle photo-opportunity, con Pechino rimasta volutamente ai margini degli sforzi diplomatici per arrivare al cessate il fuoco.
Del resto la posizione della Repubblica popolare cinese sul conflitto israelo-palestinese è un gioco di equilibrismi. Storicamente fautrice del riconoscimento dell’autodeterminazione dei palestinesi, al tempo stesso ha investito molto negli affari con Israele: dai porti di Shanghai e Ashdod fino alle forme di cooperazione (più o meno confessabili) nel settore dell’hi-tech. E anche nell’opinione pubblica interna non sono pochi i cinesi che – dopo anni di insistenza nazionalista di Pechino sulla minaccia “terroristica” nello Xinjiang – simpatizzano più per Netanyahu che per i palestinesi. Di qui l’interesse a restare “lontano” dal terreno pericoloso della pace in medio Oriente. Per non pregiudicare altri interessi, molto più urgenti per la Repubblica popolare cinese.
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