12/11/2025, 00.31
KIRGHIZISTAN
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Le donne migranti dell'Asia Centrale

di Vladimir Rozanskij

Secondo i dati del ministero del lavoro del Kirghizistan, a fine 2024 le donne costituivano il 55% di oltre mezzo milione di kirghisi che lavoravano all’estero. Ma l’Organizzazione per le migrazioni denuncia la loro maggiore esposizione a precarietà nel lavoro, violenze o forti pressioni psicologiche.

Biškek (AsiaNews) - Le donne che si recano all’estero per cercare lavoro si trovano in condizioni di fragilità e scarsa protezione non solo nel Paese estero dove lavorano per mantenere la famiglia, ma anche quando tornano in patria, come illustra una ricerca dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, in seguito a un’inchiesta in Kirghizistan e Tagikistan. All’estero si trovano spesso di fronte ad atteggiamenti sprezzanti e discriminatori, a casa vengono accusate di comportamenti inadeguati, con ben poca comprensione.

La 33enne Ajzat ricorda a Radio Azattyk i suoi otto anni di vita a Mosca, dove “mi stancavo molto a lavare i pavimenti e sistemare le toilette, mentre i russi mi guardavano con aria irritata mentre conversavano con toni disgustati, ma sopportavo per non lasciare i miei figli affamati”. Un anno e mezzo fa lei è tornata a Biškek, e con i soldi guadagnati è riuscita a comprarsi una casetta dove vive insieme ai figli. Guardandosi indietro le sovvengono solo ricordi oscuri, raccontando dei tanti giorni in cui si è dovuta separare da loro. Partendo per Mosca “avevo paura che la mia famiglia andasse in rovina”, racconta Ajzat, che in effetti si è separata dal marito quando l’ultimo figlio aveva poco più di un anno, e non li ha visti andare a scuola, ma “adesso sono con me, e mi sento davvero felice”, anche se i parenti del marito non la trattano certo molto bene.

Gli uomini che tornano dalla migrazione lavorativa con buoni guadagni vengono considerati degli eroi, mentre verso le donne c’è sempre molta diffidenza. In realtà sono sempre di più le donne che si recano all’estero in cerca di lavoro, per le difficoltà economiche crescenti e anche perché i ruoli lavorativi ora sono meno esclusivi in Russia e in altri Paesi, e permettono alle donne di trovare offerte disponibili in molti settori. Secondo i dati del ministero del lavoro del Kirghizistan, a fine 2024 le donne costituivano il 55% di oltre mezzo milione di kirghisi che lavoravano all’estero, con un profitto complessivo di 3,8 miliardi di dollari, la metà guadagnati dalle donne, per il 17% dell’intero Pil del Paese. La migrazione non è quasi mai volontaria, ma forzata dalle condizioni economiche delle famiglie, per pagare l’istruzione dei figli e ripagare i prestiti ottenuti.

Alcune donne seguono i mariti nel trasferimento lavorativo, come la 35enne Žajnagul, che nel 2017 si è recata a Mosca dalla città kirghisa di Oš, con l’intenzione di mettere insieme il necessario per costruirsi una casa. I figli sono stati affidati a sua mamma, con grande sofferenza fino alla depressione, e il lavoro era senza pause o giorni festivi. La coppia è arrivata ad acquistare una casa con un credito a lungo termine, ma l’azienda edilizia è fallita, e tutte le speranze sembravano perdute, dovendo ricominciare da capo in quella che Žajnagul definisce una “lotta per la sopravvivenza”. Dopo cinque anni è tornata in Kirghizistan per poi riprovare a lavorare a Mosca come cuoca, capitando nel periodo dell’attentato al Krokus City Hall e l’ondata di xenofobia sempre più oppressiva e cruenta, per cui “era impossibile girare per la città da sola, abbiamo vissuto nel terrore”, finché non è riuscita a tornare a Oš.

Secondo i dati dell’Organizzazione per le migrazioni, il 18% delle donne all’estero per lavoro subiscono violenze o forti pressioni psicologiche, l’8% dei datori di lavoro ritira i loro passaporti, e al 6% lo stipendio viene dato in misura ridotta. Oltre la metà di loro è costretta a tornare a casa per questioni familiari, senza riuscire a raggiungere i propri obiettivi, e rimangono senza lavoro, al massimo trovando qualche piccolo impiego nell’ambito dei servizi. La grande maggioranza delle donne kirghise e tagiche afferma di non sapere a chi rivolgersi per ottenere assistenza, per cercare lavoro in patria e ottenere aiuto giuridico. In questi Paesi non esistono programmi specifici di reintegrazione dei migranti lavorativi, men che meno per le donne. Quando una donna torna dall’estero, i parenti cercano di trattenerla in casa, senza aiutarla a cercare un’occupazione, e la migrazione in generale è vista come un problema, più che un’opportunità sociale.

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