26/07/2025, 08.45
MONDO RUSSO
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Le giustificazioni religiose nel tempo della guerra

di Stefano Caprio

Alla Duma si discute del matrimonio con i caduti della guerra, a cui si vuole attribuire un valore civile anche se non si è riusciti a renderlo ufficiale prima della partenza per il fronte, ponendo la questione del “relativismo morale” fondato sulla guerra come valore civile e religioso allo stesso tempo. Un dibattito che chiama in causa la Chiesa ortodossa nell'indicare il livello di “tradizionalità” dei valori da difendere, come in una versione russa della "casuistica" della scolastica medievale.

Le nuove leggi e i progetti di modifiche che si susseguono alla Duma di Stato della Federazione russa in tempi sempre più affannosi, per cercare di disegnare a livello giuridico la Russia nella versione più corretta e “patriottica”, cercano sempre di più di applicare il “filtro morale” dei valori tradizionali, che per lo più passano attraverso le valutazioni del patriarcato ortodosso di Mosca.

Una delle questioni riguarda la giustificazione religiosa del matrimonio con i caduti e i feriti della guerra, a cui si vuole attribuire un valore civile anche se non si è riusciti a renderlo ufficiale prima della partenza per il fronte, ponendo la questione del “relativismo morale” fondato sulla guerra come valore civile e religioso allo stesso tempo. Alcuni ritengono che nel concetto di “valori tradizionali” si possa inserire anche l’assassinio in azioni militari, se questo è realmente necessario allo Stato, per altri questa motivazione è alquanto dubbia.

Il presidente del comitato del Consiglio della Federazione per le questioni sociali, il senatore Andrej Klišas, ha pubblicato sul suo canale Telegram un appello al patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev), per ottenere la sua benedizione alle “relazioni matrimoniali di fatto” in circostanze belliche. In questa accezione si dovrebbero considerare le donne, che sono unite in convivenza o matrimonio solo civile con i caduti o i feriti, allo stesso livello delle mogli unite in sacramento ecclesiastico, ciò che permetterebbe di inserirle in categorie di maggiori garanzie a livello sociale. Il patriarca ha risposto direttamente allo speaker del parlamento, Vjačeslav Volodin, affermando che il progetto “merita sostegno”.

In realtà, contro questa proposta si sono espresse le due vice-speaker, Anna Kuznetsova, moglie di un sacerdote e madre di sette figli, e Irina Jarovaja, autrice delle leggi più restrittive nell’ambito della libertà religiosa, che ritengono la proposta una “violazione dei valori tradizionali”, affermandosi come più ortodosse dello stesso patriarca. Volodin stesso si è visto costretto ad appoggiare la versione delle due dame “tradizionali”, e il progetto di legge è stato rimandato a tempo indeterminato.

Dietro a questo conflitto ideologico si ricorda l’amicizia del potente protoierej Vsevolod Čaplin, il consigliere “tradizionalista” del patriarcato, morto nel 2020 in tempo di Covid, con l’allora semplice senatore Klišas, e in conflitto con lo speaker Volodin. Nella valutazione del livello canonico dei matrimoni, sembra che il patriarca Kirill non abbia dimenticato gli equilibri di simpatie e antipatie dei politici con le istituzioni ecclesiastiche, nonostante egli stesso avesse a suo tempo defenestrato Čaplin, per cercare di rimanere più equilibrato a livello ideologico. Il protoierej, nella cerchia del potere religioso fin dalla fine del periodo sovietico, ricordava spesso che “il patriarca Kirill è un progetto collettivo”, affiancandolo in questo alla stessa presidenza del nuovo zar Vladimir Putin.

Non tutti i progetti di legge, almeno per adesso, necessitano della benedizione patriarcale, ma si pone comunque in modo evidente la questione del livello di “tradizionalità” dei valori da difendere, che senza un pronunciamento dei vertici della Chiesa ortodossa rimangono in una dimensione sospesa e poco credibile. La questione dei matrimoni “di guerra”, al di là delle specifiche di ogni situazione, sta ponendo in maniera piuttosto spinosa la contrapposizione delle diverse concezioni di questi “valori”, dei quali la stessa popolazione ha una comprensione alquanto fumosa e variabile, considerando la scarsa propensione dei russi ai legami familiari stabili a lungo termine, come del resto avviene per lo stesso presidente Putin e la cerchia dei principali gerarchi del regime, ancora molto legati alla tradizione sovietica, più che a quella ortodossa. La legge sul divorzio era stata proclamata da Lenin a marzo del 1918, un mese dopo lo scioglimento dell’assemblea costituzionale che aveva sancito il suo potere assoluto, ammettendo l’annullamento unilaterale dell’unione matrimoniale da parte di uno dei due coniugi con una semplice comunicazione agli uffici anagrafici, senza neppure avvisare il marito o la moglie.

Al tempo di Brežnev, quando si sono formati i giovani Putin e Kirill, il potere sovietico cercò di rilanciare l’immagine del matrimonio con la celebrazione di funzioni civili che ricalcavano i riti ecclesiastici, ma con scarsissimi risultati. La “tradizione dei valori” si pose quindi in una strana alternativa tra il “fondamentalismo” e la ikonomia, usando il termine ortodosso che indica la “canonicità”, considerando che nelle tradizioni della Chiesa russa si ammette il secondo e anche il terzo matrimonio, come “riparazione” all’insuccesso di quello sacramentale. Il matrimonio “indissolubile” viene propagandato in effetti principalmente dai laici “super-conservatori”, come l’oligarca ortodosso e ideologo putiniano Konstantin Malofeev, che peraltro ha lasciato la prima moglie per sposare una ex-moglie di un sacerdote ortodosso. Seguendo i consigli dei più ferventi startsy dei monasteri, Malofeev e i suoi seguaci del “Concilio universale russo ortodosso” propagandano l’importanza del matrimonio canonico, salvo ottenere per sé stessi le dispense ecclesiastiche.

I tradizionalisti ortodossi russi, del resto, sono in parte condizionati dalle campagne dei protestanti americani più conservatori, che hanno avuto un notevole influsso in Russia negli anni Novanta, in un corto circuito delle influenze e negazioni che oggi presenta il conto a livello ideologico globale. Il divieto all’aborto e la contrarietà ai divorzi sono cavalli di battaglia anche dei russi più fervorosi, dovendo però fare i conti con le abitudini di un popolo in cui le percentuali di aborti e divorzi sono le più alte a livello mondiale. Malofeev e la sua sostenitrice Ekaterina Muzilina, direttrice del “Centro di aiuto all’infanzia”, erano in rapporti molto stretti con il “Congresso mondiale delle famiglie” legato ai neo-con americani, sospesi ovviamente fin dal 2014 con l’inizio del conflitto in Ucraina, ma che ora sembrano riprendere forza con la nuova amministrazione di Donald Trump. Questa connessione era stata definita la “svolta moralistica del Cremlino” negli anni passati.

Il patriarca Kirill ha cercato quindi di ristabilire il principio ortodosso della ikonomia, una versione più duttile dell’applicazione delle norme canoniche, secondo cui in ogni singolo caso vanno valutate diverse circostanze e diversi fattori, come nella “casuistica” della scolastica medievale assunta anche dalle accademie teologiche russe. L’interpretazione russa di questo approccio considera principalmente la “utilità per la vita dello Stato”, prima delle necessità dei singoli fedeli: se lo Stato è schierato genericamente a favore dei “valori tradizionali”, allora non è il caso di andare troppo per il sottile sulle singole questioni. Le necessità dello Stato sono “fonte di redenzione” delle diverse infrazioni alle leggi morali, e sono in grado di “sacralizzare” anche i matrimoni più scombinati, da quello del presidente a quelli dei soldati sul campo.

Le “vedove civili” possono dunque andare a testa alta e ricevere i sussidi materiali del proprio status ritenuto onorevole, assicurando con questo un ulteriore sostegno alla guerra con la gratitudine allo Stato amorevole e alla Chiesa misericordiosa. L’amministratrice del patriarcato, l’igumena Ksenia Černega, ha chiarito che la Chiesa appoggia il progetto di legge non soltanto per simpatia, ma per sostenere le intenzioni del presidente nella conferma dei valori degli eroi e dei veterani della “guerra santa”. Per sostenere questi principi, fin dall’inizio di luglio sono in corso in tutta la Russia le “parate della famiglia”, che preparano la festa solenne del Battesimo della Rus’ del 28 luglio, facendo sfilare in tutte le regioni della Russia, dalla Kamčatka a Kaliningrad, centinaia di migliaia di cittadini radunati nelle varie generazioni delle famiglie, nonni, genitori, figli e nipoti, non importa quanto in regola a livello canonico, per esaltare lo slogan che “la Russia è la famiglia delle famiglie”.

Del resto, fino al giorno prima del Battesimo del 988, lo stesso principe Vladimir di Kiev era famoso per la grande quantità delle mogli e delle concubine (soprattutto minorenni), che le antiche cronache contavano in oltre ottocento, e anche i suoi dodici figli ufficiali, i futuri capi delle tribù del “nuovo popolo eletto”, erano stati generati da diverse mogli. Uno solo di essi, il principe primogenito Svjatopolk detto “il Dannato”, era figlio di una straniera, la principessa bizantina Irina, per la quale Vladimir aveva accettato il battesimo cristiano in funzione anche degli accordi economici con Costantinopoli. Fu proprio lui, il primo “agente straniero” della storia russa, a iniziare la guerra con tutti gli altri fratelli, uccidendo i più giovani Boris e Gleb, i primi santi canonizzati della storia russa nel 1025, quando ancora non era avvenuto nemmeno lo scisma con i cattolici. Per fortuna i successori di Vladimir, a partire dall’altro figlio Jaroslav il Saggio, rimisero tutto a posto col successo della guerra nei territori dell’attuale Ucraina, ristabilendo i “valori tradizionali” del cristianesimo russo e delle sue vittorie contro tutte le tentazioni del mondo.

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