01/06/2022, 08.51
CINA
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Le menzogne della polizia cinese nello Xinjiang

di Vladimir Rozanskij

Pubblicati documenti ufficiali sottratti ai server delle autorità cinesi: 3mila fotografie di detenuti, diversi video, 20mila verbali di arresto e oltre 300mila dati personali. Confermano che quelli nella regione cinese sono campi di concentramento per le minoranze turcofone di fede islamica.

Mosca (AsiaNews) – La Fondazione Usa per la memoria delle vittime del comunismo ha pubblicato dei materiali segreti sui “campi di rieducazione” nella regione autonoma cinese dello Xinjiang. I documenti sono stati ottenuti grazie all’hackeraggio dei server della polizia locale. Adrian Zenz, antropologo tedesco divenuto noto per le sue ricerche sul genocidio culturale degli uiguri dello Xinjiang, ha ricevuto la documentazione da una fonte che ha preferito rimanere anonima, creando un apposito sito chiamato “Le fake news della polizia nello Xinjiang”.

Sul sito sono consultabili decine di direttive operative per i poliziotti cinesi, oltre 3mila fotografie di detenuti, diversi video, 20mila verbali di arresto e oltre 300mila dati personali degli abitanti dello Xinjiang. I collaboratori della Fondazione hanno lavorato per oltre sei mesi alla sistematizzazione di tutti questi materiali. Lo stesso Zenz ha rilasciato un’intervista alla Bbc, in cui spiega che i documenti confermano che i campi di rieducazione non sono affatto delle “istituzioni formative volontarie”, come ripetono le autorità della Cina.

Come racconta Zenz, “abbiamo tutto, i documenti confidenziali, gli stenogrammi degli interventi dei leader, in cui parlano liberamente di quello che pensano, le tabelle elettroniche e le immagini. Si tratta di una documentazione senza precedenti, che smentisce tutta la narrazione della propaganda cinese”. I file della polizia contengono dei verbali che indicano la presenza obbligatoria di guardie armate nei campi, la disposizione delle armi e delle munizioni nei depositi, e le precise direttive riguardo alla necessità di aprire il fuoco su quelli che tentano di fuggire. Si ordina anche di bendare gli occhi, applicare le manette e le catene ai piedi di qualunque “studente” che debba essere trasportato da un campo all’altro, o perfino in ospedale.

I materiali pubblicati confermano le affermazioni degli attivisti umanitari sul fatto che la popolazione musulmana dello Xinjiang sia oggetto di repressioni per la semplice espressione pubblica della propria fede religiosa. Come esempio, i giornalisti della Bbc hanno estratto dai file la storia di Tadžigul Tahir: sulla fotografia è mostrata una donna, e in secondo piano delle persone con i manganelli. Tadžigul è finita nel campo di concentramento a causa del figlio, internato a sua volta con accuse di terrorismo, che dai verbali viene definito “persona con pervicaci convinzioni religiose” soltanto per il fatto che non beve né fuma.

Vi sono molti altri esempi di persone punite in modo retroattivo per azioni compiute molti anni prima, anche decenni, come lo studio dei testi islamici in età scolastica. Le autorità ne hanno condannato alcune a 10 anni di detenzione per l’uso insufficiente dei propri dispositivi informatici, e in molti casi gli abitanti della regione vengono puniti per il credito a zero della propria linea telefonica, azioni ritenute come tentativi di sottrarsi alla sorveglianza digitale continua.

Gli esperti ritengono che i file della polizia rivelino non solo molti dettagli del sistema penitenziario cinese, ma anche la sua ampiezza complessiva. Zenz fa osservare che la maggior parte dei materiali riguardi la provincia di Konašekher, dalla cui analisi risulta che negli anni 2017-2018 solo in essa si trovassero circa 23mila detenuti, vale dire oltre il 12% dell’intera popolazione locale. L’autenticità delle fotografie ritrovate è stata confermata dagli esperti dell’università californiana di Berkeley, mentre dall’ambasciata cinese a Washington viene il commento riguardo ai file pubblicati per cui si tratterebbe soltanto di “materiali legati alla lotta contro il terrorismo, il radicalismo e il separatismo”, e non vi sarebbero elementi che tocchino i diritti umani o la libertà religiosa.

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