06/10/2016, 15.22
INDIA
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Medico cattolico: Contro l'eutanasia. Cosa significano sofferenza e morte per la Chiesa

di Pascoal Carvalho

Il dott. Pascoal Carvalho è uno dei relatori del Simposio nazionale organizzato per il 20mo anniversario della Commissione diocesana per la vita umana a Mumbai. Pubblichiamo il suo intervento, in cui spiega il valore cristiano della sofferenza. L’eutanasia è diventato il modo in cui si “termina l’esistenza di esseri umani considerati un peso”.

Mumbai (AsiaNews) – Oggi la vita umana “è minacciata su tutti i fronti: all’inizio della vita, ci sono forze potenti che promuovo l’aborto, cercando di eliminarla. Le minacce continuano durante tutta l’esistenza della persona; alla fine, si reclama l’eutanasia. Se questo trend continua, la terra non sarà più un posto abitabile per gli esseri umani”. Lo dice mons. Agnelo Gracias, vescovo ausiliare di Mumbai. Egli sarà presente al Simposio nazionale con cui la diocesi di Mumbai festeggerà il 20mo anniversario della Commissione sulla vita umana dal 21 al 23 ottobre. In esclusiva per AsiaNews, pubblichiamo l’intervento del dott. Pascoal Carvalho, medico cattolico e membro della Pontificia accademia per la vita, dal titolo “La comprensione cristiana della morte”.

Il medico riflette sulla pratica dell’eutanasia e sottolinea che la società di oggi “è passata dal proteggere la vita a misure concrete per terminare le esistenze degli esseri umani ritenuti un peso”. Egli ricostruisce il significato cristiano di vita e di morte, quest’ultima intesa come il momento più alto della sofferenza che accumuna l’uomo alla Passione di Cristo. Non bisogna aver paura della morte dal momento che “l’obiettivo è stare alla destra del Padre”. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews.

Eutanasia deriva dalle parole greche “eu” e “thanatos”, cioè “buona” e “morte” e significa morte “buona” o “facile”. L’eutanasia consente di aiutare e accelerare in processo di morte con lo scopo di alleviare la sofferenza intollerabile e incurabile del paziente. Si presume che il motivo sia misericordioso e inteso a porre fine alla sofferenza o all’angoscia fisica.

L’inclinazione sfuggente

La società è passata dal proteggere la vita – permettendo al vulnerabile di ricercare una via di fuga facile e indolore – a misure concrete per terminare le esistenze di tali esseri umani ritenuti un peso. Si inizia al momento del concepimento con aborto, fecondazione in vitro, manipolazioni genetiche e si finisce con coloro che hanno un male incurabile o soffrono grandi dolori. Per fermare la degenerazione di questo modo di pensare, dobbiamo rifocalizzare l’attenzione sul significato della vita e della morte.

Nel Catechismo della Chiesa cattolica l’eutanasia è definita come “ogni azione o omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte di persone handicappate, malate o moribonde allo scopo di porre fine al dolore” (CCC n. 2277).

 L’eutanasia è una forma di omicidio e perciò è proibita dal Quinto Comandamento che dice “Non uccidere”. Essa “costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere” (CCC n. 2277).

Significato cattolico di sofferenza e morte

La morte è una realtà a cui nessuno può sfuggire. Mentre essa si avvicina, iniziamo a riflettere sul significato della vita, della sofferenza e di quello che verrà dopo. La malattia terminale ci dà il tempo per l’introspezione e la riflessione e riporta in prima linea le domande sulla nostra fede e su ciò che non abbiamo osato affrontare prima. Il modo in cui affrontiamo a accettiamo questa realtà è la cosa più importante per l’individuo, la famiglia e la comunità.

San Giovanni Paolo II ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa: “Confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale” (Evangelium Vitae, n. 65).

La Lettera apostolica “Salvifici Doloris” (SD, sul valore salvifico della sofferenza) del 1984 di papa Giovanni Paolo II offre uno sguardo profondo sulla sofferenza e la nostra relazione con Dio.

Per i cattolici la sofferenza è un processo di purificazione e la morte può essere il momento finale del compimento.

L’Apostolo Paolo dice: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa”. San Giovanni Paolo II afferma: “Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo cammino che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell’uomo ed illuminata dalla Parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una definitiva scoperta, che viene accompagnata dalla gioia; per questo l’Apostolo scrive: ‘Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi’. La gioia proviene dalla scoperta del senso della sofferenza”.

La sofferenza trova il suo vero significato in Gesù Cristo. Cristo, con la sua sofferenza, ha dato un senso salvifico. L’uomo che soffre è chiamato a condividere, come Cristo, la redenzione dell’uomo.

Maria la Madre di Cristo ha condiviso la sofferenza salvifica dall’inizio con la profezia di Simeone, fino alla Crocifissione. La sofferenza richiede coraggio e forza d’animo, riporre la speranza in Cristo e nella sua vittoria sul mondo attraverso la sua sofferenza, e ci insegna ad unirci a Cristo.

La Croce di Cristo getta luce salvifica sulla vita dell’uomo e in particolare sulla sua sofferenza, nel modo più penetrante. Per mezzo della fede la Croce raggiunge l’uomo insieme alla Resurrezione: il mistero della Passione è contenuto nel Mistero Pasquale. I testimoni della Passione di Cristo sono allo stesso tempo testimoni della sua Resurrezione. Scrive Paolo: “Perché io possa conoscere lui (Cristo), la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti” [SD, n. 21].

La possibilità di diventare compagni nel mistero pasquale, nel modo conosciuto a Dio, “è offerta a tutti gli uomini. Egli disse ai suoi discepoli: ‘Prendete la croce e seguitemi’” (Mt. 16:24). Perciò condividere la sofferenza di Cristo è allo stesso tempo soffrire per il Regno di Dio. Coloro che “partecipano alle sofferenze di Cristo diventano degni di questo Regno. Mediante le loro sofferenze essi, in un certo senso, restituiscono l’infinito prezzo della passione e della morte di Cristo, che divenne il prezzo della nostra redenzione: a questo prezzo il Regno di Dio è stato nuovamente consolidato nella storia dell'uomo, divenendo la prospettiva definitiva della sua esistenza terrena. Cristo ci ha introdotti in questo Regno mediante la sua sofferenza. E anche mediante la sofferenza maturano per esso gli uomini avvolti dal mistero della redenzione di Cristo” [SD, n. 21].

Spunti di riflessione

Quindi la sofferenza non è più un’esperienza di inutilità e fardello per gli altri. Essa fornisce un’opportunità di grazia e la possibilità di mostrare amore per gli altri. Per noi la vita terrena non è la fine ma è creata come un inizio per l’eternità.

Dio è il creatore della vita e colui che guida il nostro destino. L’uomo non è raffigurato solo mentre ricerca la liberazione dal fardello della vecchiaia, ma anche mentre ripone la sua fiducia nella provvidenza amorevole di Dio come Abramo, nostro padre nella fede. La Bibbia non ci insegna mero fatalismo e rassegnazione, ma suscita fede in Dio e fiducia nella sua misericordia e promesse.

La sofferenza è un processo di purificazione. La lotta ti purifica da tutti gli attaccamenti [terreni]. La persona ha il tempo per purificare e separare se stesso/se stessa dai beni materiali.

Non si può interferire con il momento di illuminazione della persona. Per esempio, di sicuro c’è sofferenza, ma la sua accettazione porta alla calma, per la consapevolezza che noi stiano partecipando con Cristo alla redenzione dell’uomo e saremo alla destra di Dio per l’eternità. Per Dio il tempo della sofferenza è il momento di scegliere.

Dio è il solo custode della nostra vita. Noi non possiamo, in alcun modo o tramite la legge, sovvertire questa intima relazione tra l’uomo e Dio, ingannando l’uomo che la vita non ha significato e ha una fine sulla terra. In che modo l’uomo potrebbe essere diverso dall’animale?

La morte è il punto più alto di purificazione e per Dio la decisione definitiva. I santi sono passati attraverso questo. Persino Cristo sulla croce ha gridato a Dio: “Perché mi hai abbandonato?”.

Prima della morte c’è una vita sola. Qui, in questa vita, noi dobbiamo prendere una decisione precisa pro o contro Dio. Ci sentiamo abbandonati, eppure la nostra fede e l’accettazione del Volere di Dio è il punto più alto della spiritualità.

La sofferenza salvifica è il credo cristiano che la sofferenza umana, accettata e offerta in sacrificio in unione con la Passione di Gesù, può rimettere la giusta punizione dai peccati di uno o dai peccati di un altro o dai bisogni psichici o spirituali propri o dell’altro.

La sofferenza è soprannaturale, perché Dio l’ha legata alla salvezza, ma anche umana, perché essa è garantita a tutti gli uomini. Attraverso la sofferenza umana gli uomini trovano la propria identità in se stessi e in Cristo.

Magistero della Chiesa cattolica sull’eutanasia

Il Concilio Vaticano II (1962-1965) insegna che la varietà dei crimini è numerosa: “[…] Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; […] tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” (Gaudium et Spes, n. 27).

Riflessioni e conclusioni

Gesù ha detto ai suoi discepoli di non avere paura per la propria vita; la vita eterna ha infinitamente più valore della vita terrena: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna” (Mt. 10:28). Nella sua Lettera ai Filippesi, l’apostolo Paolo guarda al momento in cui lascerà questa vita terrena dietro di sé e sarà con Cristo.

San Giovanni Paolo II spiega che seguire Cristo “è non solo imitare le sue virtù, è non solo vivere come Cristo in questo mondo, quanto più possibile secondo la sua parola; ma è un viaggio che ha un obiettivo. E l’obiettivo è essere alla destra del Padre. Noi dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che c’è la vita eterna, che questa è la vera vita e che da questa vera vita giunge la luce che illumina questo mondo”.

Nessuno ha il diritto di frapporsi in questa relazione unica tra Dio e l’uomo.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho)

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