Migranti cinesi a Port Moresby: da avventurieri a base per una seconda vita
In un lungo reportage Sixth Tone racconta come è cambiata l’emigrazione dalla Cina alla Papua Nuova Guinea. L’isola meta “sempre più importante” per infrastrutture, estrazione mineraria ed edilizia. I tentativi di integrazione dei migranti con la realtà locale, anche se alcuni continuano a restare isolati per il timore di furti e rapine.
Port Moresby (AsiaNews) - Per decenni migranti cinesi, molti dei quali giovani, hanno scelto Papua Nuova Guinea - le sue ricchezze e i suoi tesori - per fare fortuna e guadagnare soldi facilmente, per poi tornare nel Paese di origine. Oggi, però, a fronte di una presenza crescente del Dragone in tutta la regione del Pacifico e difficoltà interne in tema di occupazione parte dei migranti, soprattutto fra le giovani generazioni, sceglie di rimanere e costruirsi una seconda vita come racconta Sixth Tone in un lungo reportage. Secondo quanto riferisce il magazine online filo-statale in lingua inglese, oggi l’isola è una destinazione “sempre più importante” per gli investimenti di Pechino “in infrastrutture, estrazione mineraria ed edilizia, in un contesto di vita “impegnativo, ma appagante”.
Per decenni i migranti cinesi hanno cercato - e trovato - opportunità nella nazione insulare del Pacifico, ricca di risorse. In molti sono arrivati alla ricerca del loro “primo lingotto d’oro”, aprendo negozi di ferramenta, supermercati e centri commerciali. Essi lavoravano per gran parte del tempo, vivevano in modo frugale e spesso se ne andavano una volta guadagnato denaro a sufficienza.
Uno di questi era Fan Haoyu, oggi 26enne, salito su un volo per la Papua Nuova Guinea nell’estate del 2021. “La nostra azienda originariamente vendeva solo ferramenta - racconta - ma da quando io e alcuni giovani colleghi siamo entrati a farne parte, ci siamo espansi nei progetti di ingegneria. Quando vedi costruire ospedali e scuole che hai progettato, non puoi fare a meno di pensare di aver fatto qualcosa per questo posto”.
In Papua Nuova Guinea, Fan è oggi parte di una generazione più giovane di cinesi attratti non solo dalle risorse non sfruttate del Paese ma, più in generale, anche dalla possibilità di lavorare, gestire e talvolta rimanere. Per molti si tratta di un silenzioso ribaltamento della vecchia logica del guadagnare velocemente e andarsene. Mentre le generazioni più anziane vivevano in modo frugale, risparmiavano in modo aggressivo e mantenevano le distanze dalla popolazione locale, i nuovi arrivati arrivano con lauree, padronanza dell’inglese e un senso di scelta. Entrano a far parte di aziende affermate, insegnano, forniscono consulenza e gestiscono il personale locale. E, nel contempo, stanno lentamente riscrivendo il significato di essere cinesi all’estero.
La madre di Fan, Niu Li, è arrivata per la prima volta in Papua Nuova Guinea nel 2011 come membro del team di ricognizione di una società mineraria cinese nelle Western Highlands. Tuttavia, il progetto è fallito a causa delle proteste delle comunità locali. “La resistenza era palpabile”, afferma. Il coinvolgimento straniero nelle industrie estrattive dell’isola è stato a lungo accolto con sospetto. Le aziende cinesi, spesso viste come i nuovi protagonisti di una vecchia contesa per la terra e le sue risorse, hanno incontrato la stessa resistenza che un tempo era stata riservata alle aziende australiane e occidentali.
Dopo ripetuti ritardi e contrattempi, Niu è tornata in Cina. Ciononostante, nel 2018 è tornata, questa volta come investitrice. Con due soci, ha contribuito a creare un’azienda di ferramenta e materiali da costruzione che ora gestisce cinque negozi e impiega più di 200 lavoratori locali. “La Papua Nuova Guinea - afferma - è ancora in una fase iniziale di sviluppo e le sue relazioni con la Cina continuano a crescere”. Al contempo, la donna ha anche osservato un cambiamento di tono: negli ultimi anni l’atteggiamento della popolazione locale nei confronti dei migranti cinesi si è ammorbidito. Secondo analisti e osservatori, fra le ragioni vi è anche il cospicuo investimento in capitali e progetti infrastrutturali realizzati nell’ambito dell’iniziativa cinese Belt and Road.
Una differenza nell’approccio e nei rapporti con gli immigrati cinesi avvertita anche dalle autorità e da funzionari locali. Kolda, vice presidente del consiglio di amministrazione dell’Autorità sanitaria provinciale delle Western Highlands e membro del consiglio provinciale dell’istruzione, ritiene che molti migranti cinesi si stiano integrando più delle generazioni precedenti. “Partecipano - sottolinea - attivamente alle attività della comunità e mostrano un forte interesse per la cultura locale”. Altri, invece, mantengono le distanze. “Alcuni sembrano più riservati” aggiunge Kolda. “Evitano di sedersi allo stesso tavolo per i pasti o persino di viaggiare nella stessa auto con la gente del posto”.
In realtà, per qualcuno mantenere le distanze è l’unico modo per gestire i rischi. Jack, 34enne imprenditore di seconda generazione originario del Fujian, residente a Port Moresby, riferisce che l’azienda di famiglia è stata derubata per tre volte negli ultimi anni. “La popolazione locale - spiega - vede tradizionalmente i cinesi come ricchi uomini d’affari, considerandoli obiettivi primari [per furti e rapine] in zone con scarsa sicurezza”.
Da oltre un secolo, piccole comunità cinesi hanno messo radici in Papua Nuova Guinea a partire dai lavoratori a contratto sotto il dominio coloniale alla fine del 1800. Nel 1966, i registri ufficiali contavano solo 2.455 residenti di etnia cinese. Questo numero è cresciuto rapidamente negli anni ‘90 del secolo scorso, quando i commercianti del Fujian, una provincia costiera nota per la sua cultura commerciale e le reti familiari all’estero, hanno iniziato ad arrivare in numero sempre maggiore. Gli immigrati cinesi hanno aperto supermercati, negozi di ferramenta e officine meccaniche in città come Port Moresby, la capitale del Paese, e Mount Hagen, costruendo quello che sarebbe diventato il nucleo della comunità imprenditoriale cinese della Papua Nuova Guinea.