Mons. Menamparampil: ‘Sussurrare il Vangelo in Asia: non per paura ma per intimità’
La testimonianza portata al Congresso missionario asiatico dall’arcivescovo emerito di Guwahati: “Di fronte ai nazionalisti che ci considerano stranieri, difendiamo i valori dei nostri popoli. Come missionari stiamo facendo ancora troppo poco. Guariamo le memorie negative e costruiamo relazioni profonde nelle quali far entrare Gesù".
Penang (AsiaNews) - L’odierna festa di san Francesco Saverio è un’occasione speciale per riflettere sulla missione dei cristiani in Asia, che è stata al centro nei giorni scorsi del Grande pellegrinaggio della speranza, il Congresso missionario che le Chiese del continente hanno tenuto a Penang in Malaysia. Tra i relatori presenti a questo importante appuntamento c’era anche mons. Thomas Menamparampil, teologo salesiano, arcivescovo emerito di Guwahati nel nord-est dell’India. Ottantanove anni, considerato un maestro da tanti cattolici dell’Asia e dallo stesso Benedetto XVI che un anno gli affidò le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo, mons. Menamparampil con grande lucidità ha proposto un intervento sul tema: come vivere da cristiani in una comunità pluralista? Pubblichiamo qui sotto una nostra trascrizione di ampi stralci del suo discorso, non rivisti dall’autore.
Come vivere da cristiani in una società pluralistica? La nostra realtà è quella di una minoranza. In molti posti siamo addirittura una micro-minoranza. Siamo chiamati, con umiltà, il sale della terra, che vuol dire non tutta la massa, ma solo il sale della terra.
Oggi viviamo anche in un periodo post-coloniale; esiste una sorta di orgoglio culturale e nazionalista in ogni Paese. Legittimo in sé, ma oggi un po’ esagerato. Così spesso si pensa che noi cristiani rappresentiamo l’Occidente e alcune tradizioni culturali che abbiamo adottato - nel vestire, nel cibo o in altre cose - ci hanno reso persone considerate “occidentali” e quindi minoranze.
Ma il cristianesimo viene dall’Oriente, dall’Asia. Continuiamo a ripeterlo ai nostri fratelli indiani: viene dall’Asia, è nato qui, in mezzo a voi. Ma siccome il cristianesimo è arrivato tramite l’Occidente, il marchio rimane. E anche noi possiamo addirittura avere un modo di pensare troppo influenzato da atteggiamenti occidentali. In altre parole, possiamo diventare persone sradicate nella nostra stessa società. Su questo è utile un po’ di esame di coscienza.
Siamo persone sradicate? Se siamo davvero missionari non dovremmo esserlo… Ho conosciuto missionari venuti nel nord-est dell’India: erano “occidentali”, ma si sono radicati molto velocemente. Si sono identificati fortemente con la comunità locale, che li ha accettati. Si sono identificati con la politica e la cultura, con le preoccupazioni fondamentali della nostra civiltà, con i nostri valori religiosi asiatici, la rinuncia di sé, per esempio, l’armonia, la pace...
Quando conosci intimamente le preoccupazioni fondamentali della civiltà, della cultura e della società per cui lavori, allora arrivi all’anima di una comunità. Per questo amo utilizzare l’espressione “sussurrare il Vangelo all’anima dell’Asia”: più ci identifichiamo con essa, più ne diventiamo parte.
Lo abbiamo detto tante volte: dobbiamo essere cristiani leali al Paese, alla cultura, alle tradizioni della società; dobbiamo anche lottare - insieme ai nostri amici non cristiani, nostri vicini - per i sistemi di valori tradizionali che conservano ciò che è prezioso nella nostra civiltà. Dobbiamo stare con i leader della società civile, con coloro che difendono questi valori, che hanno una certa misura di dignità, soprattutto oggi che la politica è così degradata.
Oggi il re della società è chi si vanta. È diventata quasi una forma di spiritualità: l’uomo che fa soldi o il politico che decanta i suoi successi. Ma noi non ci identifichiamo con questo tipo di leader. E anche da minoranza, pur non potendo influenzare tutto, possiamo agiamo con senso di responsabilità, per il bene comune, con impegno, esercitando un’influenza soprattutto sulla parte pensante della società. Dobbiamo essere presenti nelle università, nei media, nei mercati, in parlamento, almeno attraverso una rete di amici e istituzioni. Non per ottenere favori dal governo, ma per sostenere i sistemi di valori. Dobbiamo far crescere piantatori di ideali, presentatori di visioni, sostenitori di energie, ispiratori dell’anima: scrittori, professori, insegnanti, persone autentiche. Se stiamo tra loro come missionari, diventiamo anche noi uno di loro.
Molti di questi intellettuali mi chiedono: “Padre, lei che cosa ne pensa?”. Nei momenti importanti ti chiedono un’opinione: questa è evangelizzazione. Insieme, quando siamo a questo livello, esercitiamo grande influenza. Agiamo come cittadini onesti e responsabili.
Tutto questo è la prima parte. Ma dobbiamo anche condividere ciò che abbiamo di più prezioso nel cuore: la nostra fede in Gesù. “Guai a me se non annunciassi il Vangelo”. Certo, non è facile trasmettere un messaggio, specialmente quando si è minoranza. I media non sono nelle nostre mani. E tuttavia, ci inseriamo là dove la società ha bisogno di noi: povertà, sviluppo, educazione, salute. E questo ci dà un enorme vantaggio. Pur essendo una minoranza, plasmiamo la mente di milioni di persone. La gente viene nei nostri ospedali. Attraverso le nostre istituzioni, possiamo avere un impatto molto grande. A patto di superare davvero le barriere culturali: anch’io provengo dal sud dell’India. Sono uno straniero per il nord-est dell’India, un completo straniero. Ma se siamo buoni missionari ci inseriamo nelle nostre comunità. Dobbiamo essere come san Patrizio, che divenne irlandese. Bonifacio che divenne tedesco, sassone, e così via.
Lo dico però onestamente: su questo la maggior parte di noi missionari sta rendendo meno del dovuto, siamo al 30%, 40% di ciò che saremmo in grado di fare. Stiamo sprecando la nostra motivazione, la stiamo perdendo a causa delle barriere culturali. È una cosa triste. Pochissimi si inseriscono completamente nella cultura.
Occorre costruire più relazione, diventare gradualmente intimi con le persone che incontriamo. Non potremo esserlo con duemila bambini, certo, ma possiamo avere un momento intimo con ciascuno di loro in un dato momento.
Intimità vuol dire anche attenzione ai cambiamenti di umore collettivo. Durante la pandemia c’era un certo umore. Durante la guerra ce n’è un altro. Forse il Vangelo del giorno richiama alla gioia. Ma bisogna fare attenzione all’atmosfera generale, ai pregiudizi nella società, alle memorie negative: l’Olocausto da una parte, Hiroshima dall’altra. Anche nel nostro Paese, per esempio, gli indù hanno memorie negative riguardo al dominio islamico e a quello britannico. Dobbiamo essere un po’ prudenti con queste memorie negative. Trattarle con sensibilità.
Anche guarire le memorie negative della società fa parte dell’evangelizzazione. Non è facile. Gandhi stesso disse: “Non sono riuscito a eliminare completamente i pregiudizi che i nostri amici indù nutrono verso i nostri amici musulmani”.
Per di più noi non siamo neutrali in questo: non apparteniamo totalmente alla mentalità di alcuni e questo ci chiede prudenza. Ma come missionari, questo atteggiamento deve far parte del modo in cui ci relazioniamo con le persone: siamo chiamati a portare guarigione alla nostra e ad altre comunità. Contano le parole gentili che usiamo, i simboli che mostriamo a quanti hanno sofferto secoli fa ma portano ancora la memoria delle ferite.
E poi dobbiamo prestare più attenzione alle aree ricettive al messaggio cristiano. Tra l’India del nord e del nord-est, il nord della Thailandia e della Birmania, il Sud della Cina e il Vietnam ci sono 200 milioni di persone appartenenti a gruppi tribali. Ne ho visitati molti: le letture che ho condiviso con loro li hanno colpiti. Se si trovano nelle nostre aree, dobbiamo dare loro attenzione speciale. Penso alla nostra area nel nord-est dell’India: all’inizio del secolo scorso c’erano 2.000 cattolici. Ora ce ne sono 2 milioni. Su questo i nostri fratelli protestanti sono più avanti di noi.
Se uso l’espressione “sussurrare il Vangelo” non è per paura o solo per prudenza (che in parte ci vuole). È proprio per sottolineare l’intimità, la vicinanza personale. Gesù sussurrava nel cenacolo, parlava alla samaritana: sussurrare è quel tipo di conversazione personale, intima, profonda, che trasmette un messaggio profondo. Non si tratta di fare lezioni “dall’alto”: può valere forse per i cristiani che già credono. Ma quando condividi qualcosa di nuovo con qualcuno, quando discuti, lo stile è quello dell’intimità.
Penso al leader di un gruppo tribale della mia zona: grazie alla nostra amicizia una sera ho potuto avere una lunga conversazione con lui. E passo dopo passo sono riuscito a condurlo fino al battesimo: ora - dopo 20 o 30 anni - lui, la sua famiglia, il suo villaggio, la sua tribù, sono tutti venuti alla fede. Ma questo è accaduto solo grazie a una condivisione intima.
Se diventiamo capaci di questo, c’è gioia nel condividere un messaggio così vivificante come quello che Gesù ci ha dato. Che questa sia la nostra esperienza.
* arcivescovo emerito di Guwahati (India)


