10/10/2023, 12.50
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Mons. Nahra: Israele senza sicurezza finché fingerà che non esistano i palestinesi

di Dario Salvi

Il vicario patriarcale per Israele racconta lo sgomento per l’attacco al cuore del Paese. Una strage che ha colpito innocenti, donne e bambini, giovani che volevano divertirsi. Una violenza che trae origine dalla negazione dei diritti del popolo palestinese, a vincere sono “i rispettivi estremismi”. Chiesa di Terra Santa non ”potere politico” ma “voce di pace” che resta “il traguardo necessario”. 

Milano (AsiaNews) - Israele non può pensare di garantirsi la sicurezza “facendo accordi con Egitto, Giordania, Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti” se, al tempo stesso, “ignora i palestinesi, finge che non esistano o lo afferma apertamente” come ha fatto di recente un ministro [delle Finanze Bezalel Smotrich]. Mons. Rafic Nahra, vescovo ausiliare di Gerusalemme e dal 2021 vicario patriarcale per Israele, ricorda che la pace in una terra santa, ma insanguinata da esplosioni cicliche di violenza, dalle guerre, non può prescindere “da giustizia, diritto, reciproco riconoscimento” all’esistenza. Ancor più oggi, coi miliziani di Hamas che da Gaza hanno colpito in pieno territorio di Israele, provocando la più grave strage di civili mentre il resto della popolazione osservava impotente e sotto shock i filmati delle violenze sui social o in televisione. Facendo precipitare al contempo nel caos e nella disperazione una intera nazione. “I palestinesi - sottolinea ad AsiaNews il prelato dalla sua residenza a Nazareth - sono cinque milioni e non si possono ignorare”. 

Dopo ore di silenzio sono tornate a risuonare in mattinata le sirene di allarme nel sud di Israele, segno del possibile arrivo di nuovi razzi dalla Striscia; intanto l’esercito sta piantando mine a ridosso della barriera per scongiurare ulteriori intrusioni di miliziani, dopo la falla del fine settimana scorso che ha favorito l’ingresso di Hamas. I vertici militari israeliani “consigliano” ai palestinesi di Gaza di lasciare il territorio attraverso il valico di Rafah con l’Egitto che “è ancora aperto”, mentre aumenta il bilancio delle vittime: oltre 900 sul versante israeliano, dopo il ritrovamento di 108 corpi nel kibbutz di Be’eri, mentre sale a 704 quello dei palestinesi, tra cui 143 bambini e 105 donne cui si aggiungono circa 4mila feriti. 

“Quanto è successo sabato scorso - racconta mons. Nahra - è un fatto davvero impressionante e difficile da sopportare. La reazione di Israele è altrettanto forte, per la morte di molti civili che erano disarmati e inermi. Si tratta di uomini, donne, giovani e anziani, bambini la cui uccisione ha provocato uno shock generale nel Paese. Chiaro che si tratta di atti inaccettabili e che non possono essere in alcun modo giustificati. Al tempo stesso è altrettanto evidente che vi è una rabbia dilagante fra i palestinesi che si è andata accumulando negli anni, sentendosi impotenti perché altri decidono o hanno deciso per loro in passato. Dai nuovi insediamenti alle irruzioni ad al-Aqsa, questi fattori hanno alimentato e continuano a nutrire una grande ira nel popolo palestinese che, in questo modo, appare destinata a non finire mai”. 

Le stesse parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che fin dall’inizio si è rivolto alla popolazione dicendo che il Paese “è in guerra”, fanno presupporre un conflitto che “rischia di essere molto lungo” osserva il vicario patriarcale. “Già 187mila palestinesi - prosegue il 64enne prelato nato in Egitto da genitori libanesi emigrati per lavoro - hanno dovuto abbandonare le loro case” a conferma che quello che si sta consumando rischia di diventare sempre più “il dramma degli innocenti. Come i giovani che si erano radunati per il festival musicale, per ballare e divertirsi: è insopportabile - afferma mons. Nahra - pensare a come sono morti, averlo visto nei filmati… sono innocenti che hanno pagato un prezzo elevatissimo”. 

Per cercare di disinnescare il conflitto israelo-palestinese, serve innanzitutto garantire “dignità” al popolo palestinese, unita alla “libertà” di una vita vissuta in una “terra che sia [anche] la loro”. Ma sino a che non si realizzeranno queste condizioni, sottolinea il prelato, “la pace non ci sarà. Al contrario, a vincere oggi - prosegue - sono gli estremisti di entrambe le parti, sono loro che dettano le regole mentre gli altri soffrono”. Questo avviene tanto sulla sponda palestinese con Hamas, quanto sul fronte israeliano con le leggi e il potere esercitato in questi ultimi anni secondo il criterio del “fare ciò che voglio. A perdere in tutto questo è il popolo, anche quello palestinese: si pensi - spiega - che negli ultimi mesi almeno 30mila persone da Gaza andavano in Israele per lavorare, ora non hanno più niente. Non sono loro che vincono, ma gli estremisti”. 

Ecco perché, oggi più di prima, servono “decisioni coraggiose” per il bene comune, di entrambi i popoli a partire da quello israeliano “che ha vissuto un trauma. Io stesso - afferma il prelato - ho sofferto assieme a una nazione ferma e incollata agli schermi a guardare le immagini delle violenze che stavano consumando, i giovani uccisi, i bambini presi come ostaggio”. Per compiere un passo in avanti “servirà del tempo, ma spero che i governanti sapranno essere coraggiosi e diranno ai rispettivi popoli che non vi potrà essere pace, senza onore e dignità reciproca”. 

L’ideologia estremista e radicale, che nega il diritto alla vita dell’altro considerato un nemico da colpire, e annientare, è anche la stessa che ha portato in questi ultimi mesi a una progressiva escalation di attacchi da parte di ebrei ultra-ortodossi contro i cristiani. Spesso nel silenzio, se non con l’avallo delle autorità e l’omertà dei media e del mondo dell’informazione, non ultimi gli sputi rivolti ai cristiani al loro passaggio in processione a Gerusalemme, nelle scorse settimane. “Chiaro che non si tratta dello stesso livello di violenza - precisa mons. Nahra - ma l’ideologia alla base è la stessa, per questo si sono moltiplicate le denunce della Chiesa e le prese di posizione, anche forti, del patriarca [Pizzaballa]. Gli estremisti si sono sentiti a lungo protetti, autorizzati a compiere atti di violenza in un silenzio incredibile, ma ora anche i media hanno iniziato a parlarne, qualcosa è cambiato anche se sono serviti mesi”. 

L’auspicio, osserva l’ausiliare di Gerusalemme, è che “Israele non si faccia prendere dalla sete di vendetta” e che “sappia distinguere fra il popolo e gli estremisti”. In questo quadro di violenza, sangue e terrore “la Chiesa, pur non avendo un potere politico, continuerà a essere una voce di pace, un richiamo all’umanità, anche in un teatro di guerra riconoscere che anche gli altri restano pur sempre esseri umani e che gli innocenti non devono pagarne il prezzo. Servono umanità e giustizia, serve assicurare un posto ai palestinesi in cui vivere in onore e dignità” unitamente alla sicurezza per gli israeliani. “La Chiesa continua a indicare questo cammino - conclude il prelato - è anche se non la si otterrà a breve la pace resta il traguardo necessario”. 

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