11/01/2013, 00.00
IRAQ
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Mons. Sako: un Iraq diviso e violento è un “inverno arabo” per cristiani e musulmani

di Dario Salvi
L’arcivescovo di Kirkuk denuncia l’uso della religione per “finalità politiche” e il rischio sempre più concreto di una partizione settaria del paese. A 10 anni dalla caduta di Saddam la situazione è peggiorata e la gente è “delusa”. Un richiamo alla Chiesa, e al futuro patriarca, perché siano fonte di unità, dialogo e garanti della presenza cristiana in Medio oriente.

Roma (AsiaNews) - In Iraq la religione riveste un "ruolo essenziale" ed è "sfruttata per finalità politiche". Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein ha preso piede "una mentalità settaria" nella quale "l'identità individuale vale più dell'unità nazionale". È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Louis Sako, in una lunga intervista in cui analizza la storia recente del Paese, del Medio oriente e della vita dei cristiani. Sono ormai trascorsi circa 10 anni dall'invasione internazionale (marzo 2003) che ha determinato la cacciata del rais; tuttavia, secondo l'arcivescovo di Kirkuk - nel nord del Paese, centro nevralgico in cui si gioca la sfida per il petrolio fra governo centrale e indipendentisti curdi - democrazia, pari diritti e libertà "restano un sogno" e la gente è "delusa".

Nei giorni scorsi le violenze hanno colpito anche la minoranza cristiana: il 7 gennaio la morte di una donna, sgozzata durante una rapina; il giorno seguente l'esplosione di un'autobomba, che ha ucciso uno studente universitario laureando in medicina. Episodi legati al clima tensione che si respira in tutto il Paese, teatro di una lotta confessionale fra sunniti e sciiti e di uno scontro di potere che ha per protagonisti arabi, curdi e turcomanni. Gli intellettuali musulmani e i cristiani vivono un inverno arabo", aggiunge il prelato, che vede nel nuovo patriarca (che verrà eletto a Roma a fine gennaio) una figura chiave "padre e pastore", chiamato a "prendere iniziative e promuovere riforme".
Ecco, di seguito, l'intervista rilasciata da mons. Louis Sako ad AsiaNews:

Eccellenza, nei giorni scorsi sono stati uccisi due cristiani a Mosul. Un clima che ricorda gli anni più bui (2004-2006) di violenze. Qual è la situazione?
L'Iraq è abitato da un miscuglio di etnie, religioni e lingue: arabi, curdi, turkmeni, cristiani e musulmani sunniti e sciiti. Questo è diventato un elemento di preoccupazione perenne per i politici irakeni, che sembrano incapaci di risolvere i problemi. Anche i vari referendum, le elezioni e la distribuzione dei posti sono solo una lotta interna fra loro. Si moltiplicano proteste, manifestazioni e marce. Le minacce e le violenze hanno creato un vero e proprio vuoto istituzionale, nel quale si sono infiltrati gruppi criminali ed estremisti aggravando il clima.
Al momento non si vedono soluzioni concrete all'orizzonte, anzi vi è una sempre più netta divisione anche fra gli stessi gruppi politici ed etnici. I sunniti arabi accusano gli sciiti e i curdi di violare i loro diritti. I turkmeni sembrano essere emarginati da tutti. E i cristiani si sentono perseguitati.

A 10 anni dalla caduta di Saddam Hussein il Paese sembra peggiorato, anche per i cristiani. Vi sono prospettive di miglioramento?
Il governo attuale ha passato gli ultimi 10 mesi tentando di darsi una forma e, ancora oggi, non è completato. L'esecutivo vorrebbe anche fare qualcosa, ma le altre parti non lo aiutano. Permane una mentalità tribale, in cui tutti vogliono essere capi (sheikh). C'è una lotta per il potere, alle volte senza nemmeno una competenza specifica. Il cambiamento avviene col dialogo e il negoziato, non attraverso le violenze e il disordine.
Qui la religione riveste un ruolo cruciale ed è sfruttata per fini politici. Un leader che si presenta come laico, va alla moschea, indossa una "gelabia" (il camice islamico) e comincia a cantare i versi del Corano. Legge, istituzioni e Costituzione sono interpretati in modo diverso. Sono una materia di conflitto. Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein si è creata una mentalità settaria e confessionale con sciiti, sunniti, musulmani, cristiani, arabi, curdi, turkmeni. E l'identità individuale vale più di quella nazionale. Il fratello diventa avversario.
Temiamo davvero la divisione del Paese in cantoni! La malattia del presidente Jalal Talabani e l'influsso dei Paesi della regione aggravano la situazione; ogni gruppo, senza tenere conto degli altri, vuole imporre la propria agenda. Democrazia e libertà nei Paesi della Primavera araba sembrano ancora oggi un sogno e un lungo cammino. Siamo davvero delusi!

Come risponde la classe dirigente del Paese alla popolazione?
In un quadro simile, popolazione e classe politica sono sfiduciati. Per questo non è possibile avviare un vero cammino di riconciliazione, uno scambio reciproco in un'ottica di perdono. La mentalità che spinge alla vendetta regna anche al di fuori della legge e della legalità. I politici e i dirigenti non indicano un piano preciso e comune per lo sviluppo del Paese. Il conflitto a livello regionale e la lotta per il potere e la forza nell'islam politico, non permettono di intravedere in futuro una politica aperta, pluralista, in cui tutti i cittadini sono davvero eguali.

Intanto cresce il pericolo di divisione dell'Iraq. Quale ruolo possono avere i cristiani, da sempre un "collante" della nazione?
Il pericolo di partizione resta forte ed è rafforzato ogni giorno di più dalla situazione attuale in Siria ed Egitto. Non vi sono politici indipendenti. Ci sono invece partiti religiosi ed etnici che fanno i loro interessi e vogliono solo la loro autonomia. Le milizie complicano ancor più la situazione. Il numero dei cristiani continua a diminuire, l'esodo prosegue per tante ragioni. La Chiesa non fa niente e i partiti politici cristiani hanno fallito nel loro compito di aiutare i cristiani a rimanere, malgrado abbiano la grande possibilità di essere presenti, influire e creare ponti fra le varie componenti della nazione, grazie anche al loro livello di studi e formazione.
Né la Chiesa né i politici cristiani hanno una visione concreta, un piano chiaro e preciso, risposte concrete. Per questo si diffonde sempre maggiore sfiducia fra i fedeli e in generale nella popolazione. Sono delusi! La libertà religiosa non viene rispettata in modo eguale per tutti. Vi è la religione di Stato, che vale per tutta la regione del Medio oriente, mentre le altre sono "tollerate" nel senso dispregiativo del termine.  

E anche il petrolio, risorsa preziosa, invece di diventare un bene comune è fonte di scontro...
L'Iraq è un Paese ricco non solo di petrolio, ma anche di acqua, di terreni e potrebbe attirare un grande flusso turistico. Durante il vecchio regime i soldi venivano utilizzati per gli armamenti. Ora la nazione è impoverita. Il bene pubblico non viene rispettato. La gente è stanca e questo clima di sfiducia generale ha reso più debole la nazione.

Come si colloca l'Iraq nel contesto del Medio oriente e cosa è rimasto della Primavera araba?
Penso che la chiave di lettura sia l'idea di Medio oriente pianificato dagli Stati Uniti e dall'Occidente. Siamo al cospetto di un laboratorio ideato con la finalità di dividere su base etnica e religiosa. I Paesi della regione spingono a questo progetto, a seconda della specifica conformazione. In Siria la lotta è fra sunniti e sciti alawiti. Ed è una questione di vita o di morte! Purtroppo l'Occidente complica la situazione, invece di contribuire a migliorarla, appoggiando l'opposizione non aiuta a raggiungere una soluzione politica che sia valida per tutti. Per i cristiani e gli intellettuali musulmani è "l'inverno arabo", non la Primavera tanto sognata!

Eccellenza, come si prepara la Chiesa d'Iraq all'elezione del nuovo patriarca? E quali prospettive si possono aprire dopo il Sinodo e l'Ecclesia in Medio oriente di Benedetto XVI?
Noi e i nostri fedeli preghiamo per un patriarca che sia padre e pastore per tutti: cristiani e non; un uomo aperto, ecumenico, che sa dialogare, coraggioso e capace di assumere buone iniziative, fra cui riforme liturgiche, pastorali e spirituali per la formazione del clero. Una persona che unisce e non divide, avvicina e non scaccia via. Uno che conosce la situazione del Paese e la politica - nel centro, come nel Kurdistan - e che sia cosciente delle sfide. Che cerca, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, soluzioni concrete. Desideroso di collaborare con le altre Chiese del Medio oriente per applicare l'Esortazione apostolica "La Chiesa in Medio oriente: comunione e testimonianza", per un futuro migliore per tutti. In tutto questo la Santa Sede ha un ruolo cruciale, anche e soprattutto per garantire ai cristiani la possibilità di restare nel proprio Paese e mantenere il proprio posto. Al riguardo, penso che la visita del card Leonardo Sandri in Iraq ed Egitto vada letta in quest'ottica. Aspettiamo fiduciosi lo Spirito Santo. 

 

 

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