06/04/2024, 09.55
IRAQ
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Mosul, card. Sako: l’inaugurazione della chiesa distrutta dall’Isis segno di speranza

È quanto ha sottolineato il porporato nella messa di inaugurazione della chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, nel quartiere di al-Dawasa. Il luogo di culto era stato conquistato e devastato dai jihadisti, poi trasformato in una caserma di polizia dello Stato islamico. La gioia degli oltre 300 cristiani che hanno partecipato alla funzione. 

Mosul (AsiaNews) - Un risultato “eccezionale” che può “incoraggiare” i cristiani “a tornare nella loro cara città, con la certezza che ciò contribuirà a creare speranza, promuovere una convivenza armoniosa e preservare il bellissimo e diversificato tessuto di Mosul”. È quanto ha sottolineato il patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, nell’omelia della messa celebrata ieri di inaugurazione della chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso nella metropoli del nord dell’Iraq, al termine dei lavori di ristrutturazione. Un luogo di culto simbolo delle devastazioni dello Stato islamico (SI, ex Isis), che l’aveva occupata - e dissacrata - al momento della conquista nell’estate del 2014 e liberata tre anni più tardi dall’esercito iracheno. “Ho gestito questa chiesa e patrocinato la scuola per 15 anni - ha ricordato il porporato - e ci sentivamo una sola famiglia, cristiani e musulmani, in completa armonia”. 

Canti, inni, slogan provenienti da una comunità cristiana in festa hanno accompagnato la messa di inaugurazione della chiesa caldea, 80 anni di storia alle spalle, dopo essere diventata sotto l’Isis un ufficio della polizia religiosa. Alla celebrazione hanno partecipato leader religiosi e politici cristiani, musulmani, yazidi e sabei di Mosul e della piana di Ninive, oltre a personalità internazionali, compresi quanti hanno finanziato la ricostruzione del luogo di culto, e almeno 300 fedeli. Fra le personalità ecclesiastiche il vescovo Nicodemus Daoud Sharaf della Chiesa siro-ortodossa, mons. Imad Khoshaba, attuale arcivescovo di Teheran dei caldei e mons. Michael Najib Michael, arcivescovo di Mosul oltre a sacerdoti, suore e religiosi. 

“Ho aspettato questo giorno” racconta all’Afp il 74enne ex direttore scolastico Ilham Abdullah, il quale sottolinea di sperare che “le famiglie cristiane tornino e che la vita riprenda come una volta” a Mosul, sede di una delle comunità più antiche al mondo. Salim, venuto in città proprio per la messa, ha raccontato che i caldei “sono venuti a vedere la loro chiesa” abbandonata “quando gli oppressori di Daesh l’hanno rovinata”. Al momento nella metropoli del nord - teatro della storica visita di papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Iraq nel 2021 - vi sono altre chiese e monasteri in fase di ristrutturazione, ma la ricostruzione è lenta e molti non sono ancora tornati. 

Nell’omelia il card. Sako ha sottolineato il ruolo “pionieristico” dei cristiani nella costruzione della civiltà e società irachene, della cultura e del progresso del governatorato di Mosul. Per questo si dice “dispiaciuto” per la mancata partecipazione del governatore attuale, la cui presenza avrebbe “incoraggiato” i cristiani a tornare nella loro città “ma sembra che a lui non importi”. “Circostanze difficili - aggiunge - minacciano la loro esistenza”, per questo “attendiamo con speranza” un sistema politico “al servizio dei cittadini” e misure volte a “giustizia e uguaglianza” per superare “settarismo, quote e componenti” in una prospettiva di “pace e fiducia”. È necessario, conclude, lottare contro la corruzione, il dilagare delle armi e “smantellare l’ideologia estremista”. 

Le devastazioni causate dallo Stato islamico erano emerse nel marzo del 2017 al momento della liberazione del quartiere di al-Dawasa per mano delle forze irachene che, perlustrando l’area, hanno rinvenuto una chiesa cristiana usata come base dai miliziani. Si trattava proprio di Um al-Mauna (Nostra Signora del Perpetuo Soccorso) che, in quel momento, non portava più alcun segno del suo passato perché crocifisso e statue erano andati distrutti, sostituiti da manifesti e simboli di Daesh (acronimo arabo per l’Isis). L’insegna sopra la porta, “Chiesa cattolica caldea”, insieme all’altare di marmo grigio testimoniano la funzione originaria dell’edificio, mentre sui muri era affisso un divieto di ingresso collocato dalla polizia religiosa jihadista. 

Manifesti affissi sulle colonne di marmo del luogo di culto un tempo cristiano illustravano la vita al tempo dell’Isis. Uno fra questi riportava le 14 regole per Mosul, fra cui l’obbligo per le donne di vestire in maniera modesta e mostrarsi in pubblico solo “se necessario”. Sul pavimento ricoperto da detriti, è stato trovato un volantino in cui si elencano le punizioni corporali previste (con immagini esplicative) per i colpevoli di furto, consumo di alcool, adulterio e omosessualità. Lo Stato islamico aveva conquistato la metropoli nel giugno 2014, obbligando i cristiani a scegliere fra convertirsi all’Islam, pagare una tassa speciale, fuggire o venire uccisi. Poche settimane dopo devastavano Qaraqosh, nella piana di Ninive, costringendo alla fuga gran parte dei 120mila cristiani.

(Foto tratte dal sito del patriarcato caldeo)

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